Il nuovo ruolo dei ricchi nel cinema e nella tv

Da “Triangle of Sadness” a “White Lotus” sempre più spesso vengono ridicolizzati e messi alla gogna, segnale di un rinnovato paradigma politico-culturale

triangle of sadness
Una scena del film del 2022 “Triangle of sadness”
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«Io ci sono nata, in questa vita. Non è stata colpa mia. Mi sono anche chiesta: “Perché?”. Siamo tutti uguali…», dice nel film Triangle of sadness una delle ricche ospiti di uno yacht da crociera di lusso a un’assistente a bordo, che intanto le versa altro champagne nel bicchiere mentre lei riflette in piscina ad alta voce. Triangle of sadness, diretto dallo svedese Ruben Östlund e candidato a tre premi Oscar, è stato uno dei film più premiati e apprezzati del 2022: ha vinto la Palma d’Oro, il premio più importante del Festival di Cannes, e due Golden Globe.

Riconoscimenti a parte, Triangle of sadness è considerato uno degli esempi più recenti di un gruppo di film e serie televisive di grande successo internazionale degli ultimi anni con persone ricche e facoltose come personaggi principali. Sono spesso serie e film di satira e di critica sociale, anche molto diversi tra loro: da The White Lotus a Squid Game, da The Menu a Parasite. Ma hanno tutti in comune una tendenza più o meno esplicita a mostrare e in alcuni casi ridicolizzare e mettere in discussione il ruolo dei ricchi nelle società, descrivendone vizi, eccessi, privilegi e debolezze.

Le classi sociali più ricche e facoltose sono da tempo uno dei temi ricorrenti nel cinema, soprattutto nel cosiddetto cinema d’autore. Grandi cineasti del Novecento, come il regista spagnolo Luis Buñuel, se ne sono spesso occupati in termini allegorici, attribuendo ai ricchi appetiti insaziabili, ipocrisie e insensibilità. Ma il caso dei film e delle serie recenti, nelle riflessioni più condivise su questo argomento, è considerato una novità nella misura in cui si rivolge a un pubblico di massa adottando in parte sentimenti, prospettive e orientamenti progressisti e anticapitalisti alla base di un nuovo paradigma politico-culturale avverso alla classe dei ricchi.

In molti casi le trame stesse dei film e delle serie che si occupano dei super ricchi sembrano sviluppate proprio a partire da alcuni noti slogan americani, messaggi espliciti come Eat the rich e Tax the rich (“mangiate i ricchi”, “tassate i ricchi”), utilizzati nel recente passato per sintetizzare campagne di protesta contro le disuguaglianze economiche. È un cinema che ruota intorno alle vite dell’1 per cento della popolazione, ha scritto l’Economist citando un altro slogan famoso: quello utilizzato dal movimento di protesta Occupy Wall Street nel 2011.

Parasite, il film del regista sudcoreano Bong Joon-ho che nel 2020 vinse quattro premi Oscar, inclusi quelli per il miglior film e la miglior regia, conteneva già diversi elementi di satira sociale presenti in altri film più recenti dello stesso genere (spesso sono “commedie nere”, con momenti drammatici, se non addirittura thriller o horror). Tutta la storia si sviluppa a partire dal tentativo di una famiglia povera di appropriarsi della vita di una famiglia ricca.

E sull’insofferenza e la rabbia delle classi più povere verso le più ricche e l’enorme divario di ricchezza e di status sociale tra le due ruotano, in buona sostanza, anche le storie raccontate nella popolare serie sudcoreana del 2021 Squid Game e la serie americana del 2022 The White Lotus, ambientata in un resort di lusso popolato da persone ricchissime e da altre al loro completo servizio, e niente nel mezzo: più o meno la stessa situazione a bordo dello yacht di Triangle of Sadness.

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Tra i passeggeri ci sono imprenditori ricchissimi, tutti molto stilizzati, descritti in un modo che rende chiara l’intenzione di farli apparire parte di un’umanità completamente avulsa dal mondo abitato dalle persone normali. C’è una coppia di anziani inglesi titolari di una società di armi, che parla di limitazioni poste dall’ONU all’uso delle mine antiuomo come se parlasse di regolamenti nel commercio alimentare. C’è un imprenditore triste e solo che si autodefinisce «ricco da fare schifo», grazie alla vendita della sua azienda, e ci prova con una giovane modella e influencer che viaggia insieme al suo fidanzato insicuro e collerico (la coppia presente in tutto il film e, per alcuni aspetti, più vicina alle persone comuni).

E c’è poi un altro ricchissimo ospite della crociera, un oligarca russo del settore del letame («io vendo merda», racconta a tavola) che viaggia insieme a moglie e amante. È il protagonista di una delle parti del film in cui una certa retorica anticapitalista emerge più esplicitamente e in termini parossistici: quando si ubriaca con il capitano dello yacht, marxista convinto, e intrattiene con lui una conversazione surreale e confusa sul socialismo, mentre il resto degli ospiti sullo yacht è colto dagli effetti spettacolari e devastanti del mal di mare e di una probabile intossicazione alimentare.

«C’è un certo raccapricciante elemento fisico, utilizzato in queste storie per danneggiare i ricchi, che attinge a un pozzo di rabbia contro il sistema», disse al Guardian a settembre il critico e produttore cinematografico inglese Jason Solomons commentando alcuni film come Triangle of sadness. Secondo lui questa produzione recente dell’industria audiovisiva è il risultato di un’intuizione degli autori, che avrebbero colto la rabbia delle persone comuni per offrire loro il «piacere di una catarsi» attraverso la visione di film in cui i rapporti tra le classi sociali vengono capovolti.

«È una strategia che funziona, e spesso utilizza le funzioni fisiologiche, corporee o la violenza», aggiunse Solomons, segnalando anche un effetto che questo cinema tende ad avere sulle persone della classe media, che sono generalmente a metà tra le due classi sociali contrapposte nelle storie. Molte persone trovano scomoda o sgradevole la visione di questi film, secondo Solomons, perché la provocazione della classe media – «épater les bourgeois», impressionare i borghesi, come si diceva nella Francia dell’Ottocento – è proprio l’obiettivo dei registi: «Dopo tutto ci sentiamo tutti in colpa per queste divisioni, in qualunque punto ci troviamo».

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Triangle of Sadness, The White Lotus, Squid Game e Parasite fanno tutti parte di una produzione culturale che riflette un cambiamento nelle aspirazioni, ha commentato l’esperta di media e sociologia della comunicazione statunitense Ana Andjelic. Se interpretiamo la cultura come un insieme di storie che ci raccontiamo anche per dare senso alle cose che accadono nell’economia e nella società, ha aggiunto Andjelic, allora ha senso dire che questi film e serie descrivono quantomeno un’aspirazione a sovvertire un sistema dominato dai ricchi.

È un cambiamento che secondo Andjelic potrebbe in futuro avere ricadute non soltanto sulla politica ma su altri aspetti della società, inclusi i settori del lusso, della moda e del turismo, anche se non sappiamo come. Per lungo tempo il cinema ha descritto un’aspirazione collettiva a essere come i ricchi, avere quello che hanno i ricchi e comportarsi come i ricchi. E questa identificazione condizionava le abitudini di consumo: ogni decennio aveva una propria ideologia raccontata attraverso i prodotti culturali, come la rappresentazione delle donne casalinghe degli anni Cinquanta in case che non potevano non avere la lavatrice, per esempio.

L’ideologia e la pratica del consumismo alimentavano le aspirazioni collettive «quando c’era una classe media forte», ha scritto Andjelic, definendo peraltro film come American Psycho, Fight Club e Pulp Fiction espressioni di una forma di sottocultura emersa proprio in risposta a quell’ideologia dominante. Ora che le disuguaglianze nella ricchezza sono troppo profonde e non è più possibile emulare i ricchi, secondo Andjelic, la rappresentazione culturale delle persone più facoltose riflette un’aspirazione a rifiutare quel modello, a prendere in giro, ingannare e superare in astuzia i ricchi, per «riconquistare identità e controllo».

Lo stile di vita dei miliardari, insomma, è diventato sempre più evidentemente inconciliabile con i problemi del mondo: quelli sociali ed economici, ma perfino ambientali. In questo senso, rappresentarli in modo ridicolo è forse l’unico possibile rimasto, perché l’idea che siano modelli a cui aspirare è sempre meno “presentabile”, perlomeno in un contesto di produzione artistica come il cinema o la televisione.

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Altri critici e giornalisti hanno associato a questi film e serie obiettivi meno ambiziosi e argomenti meno militanti, giudicando gli elementi di satira sociale preminenti rispetto a quelli di critica e contestazione radicale del sistema. La caratteristica principale di queste storie è una sostanziale derisione della classe dei super ricchi, non un attacco né una «chiamata alle armi», ha scritto la critica inglese Hannah Strong. Anche perché il pubblico di questi film è popolato in molti casi – nei festival in cui sono proiettati, per esempio – dalle stesse persone che i film tentano di ridicolizzare.

La modella influencer di Triangle of sadness e il suo fidanzato, per esempio, formano una coppia a cui il modello di ricchezza rappresentato dagli altri passeggeri dello yacht non sembra attagliarsi perfettamente. Eppure è un modello a cui ambiscono di continuo, senza mostrare particolari qualità morali e mostrando anzi incapacità e debolezze che li accomunano agli altri passeggeri e a un’ampia parte della società in generale: dall’attitudine al consumismo sfrenato alla dipendenza da social ai complessi sulla mascolinità. È come se Östlund, ha osservato Andrew Marzoni su The New Republic, invitasse il pubblico «a stupirsi dell’incapacità dell’umanità di dare una mano» quando bisogna fare affidamento sulle forze di tutti e la ricchezza non serve a niente.

Film come Triangle of sadness e serie come The White Lotus, secondo Strong, si limitano a descrivere i ricchi prima di tutto come persone stupide, più che detestabili o astute. E peraltro è anche difficile comprendere quale sia il messaggio politico di fondo, ammesso che ce ne sia uno: in molti casi, da Triangle of sadness a Parasite, la classe sociale subalterna non si dimostra meno «mostruosa» dell’altra, e lo sviluppo delle storie suggerisce che una volta acquisita una posizione di potere tutti sono disposti a tutto pur di mantenerla.

Succession, serie tv di HBO di grande successo di questi anni, racconta invece una saga familiare che ha per protagonista un magnate miliardario del settore dei media, ispirato a Rupert Murdoch, e i suoi figli subdoli, incapaci, fannulloni, diabolici, invidiosi. Nella serie le classi subalterne compaiono poco, e i protagonisti sono ridicolizzati prima di tutto per la loro inettitudine. La loro ricchezza sfrenata è parte del paesaggio, paesaggio che rappresenta anche una parte importante dell’attrattiva della serie: dai vestiti bellissimi alle ville in Toscana, dai giganteschi yacht agli attici su Manhattan.

Anche The Menu, film del 2022 diretto dal regista inglese Mark Mylod e di genere un po’ diverso rispetto agli altri (è un thriller, quasi horror), sembra deridere più che criticare i personaggi della storia. Invitati su un’isola sperduta e priva di copertura telefonica per partecipare a una cena nel ristorante di lusso dello chef Julian Slowik, esperto di gastronomia molecolare, i ricchi ospiti del ristorante si dimostrano dei buoni a nulla man mano che gli eventi prendono una certa svolta macabra. Ma a parte la descrizione della loro inettitudine, ha scritto Strong, non c’è un messaggio politico sulle relazioni tra le classi sociali contrapposte che vada oltre la constatazione della crudeltà reciproca che le accomuna.

In un certo senso, ha scritto la giornalista Naomi Fry a proposito di Triangle of sadness sul New Yorker, la storia raccontata è un «esperimento mentale» su cosa accade quando il potere passa di mano e i ruoli vengono invertiti: «fondamentalmente, non scompaiono mai».