Alcune multinazionali dell’energia stanno andando molto forte in borsa

In gran parte del mondo i titoli delle società energetiche hanno avuto rialzi notevoli: in Italia le cose sono andate diversamente

(AP Photo/Michael Sohn)
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Dall’inizio della guerra in Ucraina i prezzi di petrolio e gas sono aumentati tantissimo e le società energetiche hanno guadagnato molto più del previsto. Grazie agli enormi utili aggiuntivi ottenuti con i rialzi dei prezzi (detti anche “extraprofitti”) queste aziende stanno ottenendo enorme successo anche in borsa.

Per gli investitori, nell’ultimo anno comprare azioni delle società energetiche è diventato un buon affare, perché i guadagni sono molto aumentati e quindi sono aumentati anche i dividendi, cioè i profitti che le aziende distribuiscono ai loro azionisti. Per questo molte società energetiche, soprattutto negli Stati Uniti, hanno deciso di quotarsi in borsa, dopo anni in cui avevano preferito rimanere private perché non erano sufficientemente allettanti per gli investitori.

Queste aziende hanno modelli di business particolari. Hanno bisogno di infrastrutture e strutture molto rilevanti e che richiedono notevoli investimenti, ma negli scorsi anni erano diventate molto poco redditizie rispetto al capitale che serviva per tenerle in piedi, a causa dei bassi prezzi di petrolio e gas. I loro margini di guadagno erano molto risicati. Per questo motivo non si quotavano in borsa e quelle già quotate non avevano andamenti troppo positivi. Prima del 2022, le aziende energetiche erano state colpite dai bassi prezzi a cui vendevano il loro prodotto finale, dagli enormi debiti contratti per mandare avanti le ricerche e le trivellazioni, ed erano sempre meno attrattive per gli investitori più attenti all’ambiente.

Dopo lo scoppio della guerra in Ucraina tutto è cambiato: i profitti dello scorso anno sono stati eccezionali per tantissime società energetiche e gli investitori ne sono nuovamente attratti. Negli Stati uniti le società energetiche si stanno quotando a un ritmo che non si vedeva da anni. Se le quotazioni previste per quest’anno dovessero andare tutte a buon fine il 2023 sarebbe l’anno migliore dal 2017.

Anche le società già quotate in borsa stanno andando molto bene: per esempio, i prezzi delle azioni della compagnia petrolifera britannica Shell nello scorso anno sono aumentati del 43 per cento, esattamente come quelle di British Petroleum (BP); quelle delle aziende statunitensi ExxonMobil e Chevron rispettivamente dell’80 e del 53 per cento.

Questi rialzi non si sono visti in Italia, dove le azioni delle più importanti aziende energetiche, come per esempio Eni, Enel, A2A ed Edison, hanno perso molto valore in borsa nel 2022. Le tasse sugli extraprofitti – ossia quelle imposte sugli utili extra ottenuti dalle aziende energetiche grazie ai notevoli rincari del prezzo dell’energia (introdotte prima dal governo di Mario Draghi e poi confermate dal governo di Giorgia Meloni) – hanno ridotto gli utili complessivi e gli investitori hanno deciso di vendere i titoli perché non avrebbero ottenuto i dividendi sperati.

Le tasse sugli extraprofitti delle società energetiche sono state introdotte in molti paesi e sono state la risposta politica a un sentimento ambivalente che suscitava la contrapposizione tra l’enorme successo delle società petrolifere e le difficoltà dei consumatori: da una parte ci sono società private che vendono materie prime il cui prezzo è aumentato per ragioni indipendenti dal loro volere, traendone un profitto; dall’altra ci sono i consumatori che subiscono questi rincari su vari fronti, quando vanno a fare rifornimento, quando pagano le bollette di luce e gas, ma anche quando comprano prodotti a prezzi superiori perché sono aumentati i costi di trasporto, che si sono riversati sul prezzo dei beni.

Molti governi occidentali hanno imposto queste tasse straordinarie in modo che parte del loro guadagno aggiuntivo potesse essere redistribuito sotto forma di aiuti e sussidi verso chi stava pagando tantissimo l’energia.

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