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  • Sabato 4 febbraio 2023

Il Brasile ha affondato una nave piena di amianto nell’Atlantico

Da ottobre la portaerei dismessa São Paulo girava in tondo al largo delle coste brasiliane perché nessun porto voleva farla attraccare

La portaerei São Paulo nel mare Adriatico nel 1998
La portaerei São Paulo nel mare Adriatico nel 1998, quando ancora si chiamava Foch ed era usata dalla Francia (EPA PHOTO AFP/PASCAL GUYOT, ANSA)
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Venerdì la marina del Brasile ha affondato una portaerei dismessa nell’oceano Atlantico, a 350 chilometri di distanza dalle coste brasiliane, in una zona che raggiunge profondità intorno ai 5mila metri. La São Paulo era una nave costruita in Francia alla fine degli anni Cinquanta e conteneva grandi quantità di amianto, all’epoca molto usato come materiale da costruzione per le sue proprietà ignifughe e solo in seguito rivelatosi un potente cancerogeno. Negli ultimi anni il Brasile aveva cercato un luogo per smantellarla in modo sicuro, ma dopo una serie di fallimenti giovedì aveva deciso di affondarla in modo controllato, nonostante le proteste di vari gruppi ambientalisti.

Dal 1963 al 2000 la São Paulo era stata una nave della marina francese. Lunga 266 metri, in origine si chiamava Foch e con quel nome prese parte ai test con le bombe nucleari francesi nell’oceano Pacifico negli anni Sessanta e venne usata in Africa, in Medio Oriente e durante la guerra nei Balcani degli anni Novanta. Poi venne comprata dal Brasile, ma nel 2005 un incendio scoppiato a bordo la danneggiò parecchio e non veniva usata da circa un decennio, sebbene fosse ufficialmente fuori servizio solo dal 2018. Da allora in alcuni degli ambienti della nave si erano accumulate tali quantità di gas tossici da rendere pericoloso anche il solo entrarci, secondo le valutazioni degli ispettori che ne avevano giudicato le condizioni.

Nel 2021 il Brasile si era accordato con le aziende MSK Maritime Services & Trading e Sok Denizcilik per far demolire la nave, smaltire l’amianto e riciclare in Turchia parte dei metalli di cui era fatta (quelli non contaminati da sostanze tossiche).

Tuttavia lo scorso agosto, dopo alcune proteste ambientaliste secondo cui la São Paulo conteneva molte più sostanze pericolose di quanto dichiarato, e mentre la portaerei stava per entrare nel mar Mediterraneo rimorchiata da un’altra nave, il suo viaggio era stato interrotto dal ministero dell’Ambiente, dell’Urbanizzazione e del Cambiamento climatico della Turchia: le autorità turche avevano chiesto a quelle brasiliane un rapporto sulle sostanze pericolose presenti a bordo, come previsto dalla “Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi e sulla loro eliminazione”, e insoddisfatte della replica avevano cancellato i permessi di importazione della nave.

Le proteste erano dovute al sospetto che sulla São Paulo ci fosse molto più amianto delle 9 tonnellate stimate dagli ispettori. In una portaerei della stessa classe della São Paulo, la Clemenceau, smantellata negli anni Duemila, si trovavano almeno 45 tonnellate di amianto, molte di più secondo gli ambientalisti: secondo la ong Shipbreaking Platform, specializzata nel denunciare i casi di smantellamenti navali pericolosi e promuovere procedure sicure, la São Paulo conteneva probabilmente 760 tonnellate di materiali contaminati con amianto oltre a 200 tonnellate di materiali contaminati con policlorobifenili (PCB), sostanze pericolose per gli ecosistemi marini usate per decenni in numerose applicazioni industriali, con metalli pesanti nelle vernici, mercurio e forse con residui radioattivi.

La marina brasiliana aveva detto che parte dell’amianto sulla São Paulo era stato rimosso nel corso degli anni, ma non ne aveva fornito le prove, e Grieg Green, la società norvegese che si era occupata delle ispezioni aveva detto che, non potendo accedere a tutti gli ambienti della nave per ragioni di sicurezza, aveva fatto solo una stima dell’amianto presente: «Potrebbe essercene molto di più».

Non potendo andare in Turchia, la nave era stata riportata verso il Sud America, ma non nel porto di Rio de Janeiro, da dove era inizialmente partita. Shipbreaking Platform aveva trovato altri cantieri disposti a occuparsi dello smantellamento, ma le proposte non erano state accolte.

Per via dei rischi ambientali segnalati dalle organizzazioni ambientaliste nessuna autorità locale brasiliana voleva concedere l’accesso ai porti, quindi sebbene dopo le due traversate atlantiche fosse necessario farla attraccare per effettuare un minimo di manutenzione, da ottobre la São Paulo si trovava al largo delle coste nord-orientali del Brasile, continuando a spostarsi in cerchio con il proprio rimorchiatore.

Nemmeno la marina brasiliana aveva messo a disposizione le proprie basi: non aveva spiegato come mai ma si era giustificata dicendo che ormai la portaerei non le apparteneva più, essendo stata venduta alla MSK e alla Sok Denizcilik.

A dicembre la nave era stata fatta spostare più lontano dalla costa, a circa 300 chilometri, per il timore che sarebbe affondata creando dei problemi per la navigazione: nel frattempo infatti le sue condizioni si erano molto deteriorate. Il mese scorso, mentre la nave continuava a muoversi in tondo facendo bruciare ogni giorno 20 tonnellate di carburante al proprio rimorchiatore, la MSK aveva detto di aver perso 5 milioni di dollari in tutta la storia. Due settimane fa la marina aveva stimato che la portaerei poteva resistere solo un altro mese prima di affondare. Infine questa settimana è stato deciso di affondarla in modo controllato per limitare i danni, nonostante nuove proteste ambientaliste portate avanti dalle organizzazioni Greenpeace e Sea Shepherd secondo cui l’affondamento avrebbe causato grossi danni agli ambienti marini.

Le autorità brasiliane hanno però valutato che fosse l’unica soluzione possibile e che fosse meglio scegliere il punto in cui sarebbe affondata. Secondo Shipbreaking Platform invece si sarebbe potuta gestire la situazione in un altro modo e l’affondamento ha violato tre diversi trattati internazionali che riguardano la tutela dell’ambiente. Uno di questi, la “Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti” del 2001, vieta di diffondere in mare i PCB.