Il problema dei tiktoker che riprendono i passanti senza il loro consenso

Che sia per fare un quiz o per una semplice conversazione, può portare a conseguenze sgradevoli e in teoria non è legale

di Viola Stefanello

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Qualche mese fa un’anziana coppia di immigrati è stata offesa per giorni online dopo essere apparsa senza saperlo nel video di un popolare tiktoker australiano. Il ragazzo gestisce un account con 1,3 milioni di follower su TikTok e pubblica “atti di gentilezza”, cioè video in cui si fa riprendere mentre paga la spesa o fa regali agli sconosciuti che sembrano averne bisogno. A novembre aveva finto di avere un braccio rotto e aveva chiesto una mano per aprire una bottiglietta d’acqua: la coppia di anziani l’aveva ignorato, continuando a camminare, ed era quindi stata accusata di essere disinteressata al dolore degli sconosciuti e sottoposta al giudizio di centinaia di migliaia di spettatori.

La figlia della coppia, che è una scrittrice, ha raccontato poi in un articolo di giornale che il content creator si era rifiutato di cancellare il video, nonostante gli fosse stato detto che la coppia di anziani stava vivendo molto male la situazione, dal momento che il post aveva troppe visualizzazioni e interazioni per rinunciarvi. «I miei genitori, che si stavano soltanto facendo gli affari propri, dovrebbero avere diritto alla privacy. Gli artisti di strada hanno bisogno del permesso per cantare negli spazi pubblici, ma chiunque abbia un telefono cellulare può “esibirsi” senza permesso e costringere uno sconosciuto a far parte del loro “contenuto” senza consenso», ha scritto. «Forse non possiamo impedire alle persone di filmare e caricare queste sciocchezze, ma non dobbiamo accettarle o consumarle».

La prassi di coinvolgere persone che non si conoscono nei propri contenuti destinati a una platea potenzialmente enorme online esiste da anni, ma è cresciuta a dismisura con l’ascesa di TikTok, che rende molto più facile sia produrre ed editare video di una discreta qualità, sia intercettare l’attenzione di milioni di persone da un momento all’altro. La possibilità di diventare famosi in modo molto più veloce rispetto alle altre piattaforme social ha portato moltissime nuove persone a dilettarsi nella creazione di contenuti: chi lo fa cerca spesso di individuare un formato che risulti abbastanza divertente, strano o sconcertante da trattenere l’attenzione degli utenti il tanto che basta per insegnare all’algoritmo che vogliono vedere altri contenuti simili.

Tra i formati di maggiore successo, probabilmente perché richiedono tendenzialmente poca preparazione e originalità, c’è quello impiegato dal tiktoker australiano in questione, in cui il creator esce di casa con il cellulare e un piccolo microfono e ferma i passanti per fare loro delle domande: che canzone stai ascoltando? Quanto sono costati i vestiti che indossi? Quanto paghi di affitto? Altri semplicemente filmano persone che non conoscono e mettono insieme i video per ottenere piccole collezioni di momenti della vita quotidiana altrui: coppie che si scambiano tenerezze sui mezzi pubblici, persone vestite particolarmente bene riprese mentre camminano per strada. Gente che finisce inconsapevolmente all’interno di video che possono ottenere anche milioni di visualizzazioni e commenti.

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Molti si prestano al gioco, e non hanno nessun problema nel rivedersi a distanza di ore o di giorni nel video di qualcun altro. Negli ultimi mesi, però, un numero crescente di persone ha cominciato a lamentarsi del fatto che, nella schiacciante maggioranza dei casi, i creator non chiedano il consenso alle persone prima di riprenderle e mostrare a una platea potenzialmente molto ampia dov’erano, cosa indossavano, che cosa stavano facendo e con chi.

In un caso, un tiktoker ha chiesto a una ragazza che indossava una maglietta degli AC/DC, intenta a farsi i fatti propri seduta su un muretto, se sapesse nominare tre canzoni di quel gruppo musicale: quando lei si era reso conto di essere ripresa, aveva scacciato via il microfono con una mano, visibilmente alterata. Nonostante la sua reazione, il creator aveva comunque pubblicato il video sul proprio account.

A inizio anno, nel Regno Unito ha fatto molto discutere il fatto che qualcuno abbia pubblicato il video di un uomo che ballava con entusiasmo e senza preoccupazioni in un club di Londra, scrivendo «yo, non tornerò mai più [in questo club]». L’uomo si è riconosciuto nel video, nel frattempo diventato molto virale, e ha detto che vedere le reazioni crudeli di molti utenti sul suo modo di ballare in un ambiente che considerava protetto gli ha spezzato il cuore.

Poche settimane prima, una donna sessantenne di Melbourne, in Australia, ha detto ai giornali locali di essersi sentita «disumanizzata» perché un tiktoker le ha regalato dei fiori per strada senza spiegare cosa stesse succedendo e poi ha pubblicato il video dell’interazione online, commentando «spero di aver migliorato la sua giornata», dando l’impressione di pensare che la donna non ricevesse spesso quel genere di attenzioni.

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La possibilità di invadere la privacy altrui ritraendo qualcuno senza il suo consenso è un tema di discussione dal tardo diciannovesimo secolo, quando sono state introdotte le prime macchine fotografiche istantanee, che azzeravano di fatto il tempo in cui era necessario essere in posa per apparire in una fotografia e quindi permettevano di ottenere l’immagine di qualcuno senza il suo consenso. Già nel 1890 sulla Harvard Law Review appariva un articolo in cui gli avvocati statunitensi Samuel D. Warren e Louis D. Brandeis difendevano “the right to be let alone”, ovvero “il diritto di essere lasciati in pace”.

A distanza di oltre 130 anni, la legislazione in materia varia moltissimo in base al paese. In Italia gli strumenti legali per proteggersi dalla pubblicazione della propria immagine online senza consenso sono almeno tre: il diritto all’immagine previsto nel codice civile, il diritto al ritratto contenuto all’articolo 96 della legge sul diritto d’autore, e la tutela dei dati personali prevista dal Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR), valido in tutta l’Unione europea dal 2016.

«L’immagine del volto o del corpo di qualcuno in sé può contenere più di un dato personale sensibile, che ai sensi del GDPR va trattato con particolare cautela. Uno dei trattamenti dei dati più invasivi che ci siano è la sua diffusione, come la pubblicazione sui social network: c’è quindi tutta una serie di regole che non vengono rispettate nel momento in cui pubblico sul mio profilo social il video di un altro soggetto senza avere il suo consenso», spiega l’avvocato Carlo Blengino, specializzato nel diritto penale legato alle nuove tecnologie.

Il GDPR contiene un’eccezione – detta “household exemption” – che permette di fotografare o riprendere sconosciuti che si trovano in luoghi pubblici se viene fatto a fini personali e se si intende mostrare quella foto in privato soltanto ad amici e familiari, per esempio un’immagine scattata davanti alla Tour Eiffel affollata di turisti. La “household exemption”, però, non si estende ai contenuti pubblicati sui social network, che per loro natura saranno visti da un numero indistinto di persone. «Se io scopro su Facebook un’immagine di me sulla spiaggia e ne chiedo la rimozione, la persona che l’ha diffusa è obbligata a rimuoverla», dice Blengino.

Esistono naturalmente altri diritti da controbilanciare: le persone che partecipano a concerti, proteste o altre manifestazioni pubbliche – eventi che è ragionevole pensare saranno riprese o raccontate dai media – possono apparire in televisione o sui giornali senza che venga chiesto loro il consenso, in base al diritto di cronaca e di informazione. «Ma se io mi sto baciando con la fidanzata o l’amante al parco e tu mi fotografi, non c’è nessun diritto all’informazione, a meno che dietro di me in quel momento non stia avvenendo un omicidio», dice Blengino. «La libertà d’espressione dei tiktoker non è quasi mai una base giuridica sufficiente a superare l’obbligo di consenso». Ciononostante, è molto raro che qualcuno decida di arrivare fino in tribunale per sostenere la necessità di far rimuovere un video o una foto in cui è ritratto: nella maggior parte dei casi, il fastidio di essere finiti in un post virale senza volerlo non supera la fatica e la spesa richiesta per citare qualcuno in giudizio.

TikTok permette di segnalare se un video contiene dati personali o informazioni che permettano di essere identificati: le linee guida della community dicono che non sono consentiti «contenuti che violino la riservatezza dei dati personali o dei dati identificativi (ad esempio codice fiscale, numeri telefonici, indirizzi fisici)». L’azienda aggiunge: «Provvediamo a rimuovere dalla piattaforma i contenuti che riportino dati personali o dati identificativi». Non è però chiaro quanto tempo la piattaforma impieghi per processare queste richieste né se il volto sia considerato un dato personale, come è invece il caso del GDPR.

Finire in questo genere di video può risultare un’esperienza molto fastidiosa, se non dolorosa o pericolosa. Sbagliare a rispondere alle domande di un tiktoker apparso dal nulla può far apparire una persona ignorante di fronte a milioni di spettatori. Comparire in un video che mostra le persone meglio vestite di Milano la domenica mattina può attirare l’attenzione di qualcuno che, all’improvviso, sa dove quella persona prende il caffè di tanto in tanto. Un creator può scegliere di editare un video per far sembrare antipatico, scontroso, ridicolo o sgraziato qualcun altro. Anche chi dice esplicitamente ai creator di non voler essere ripreso finisce, di tanto in tanto, in una compilation di gente che dice di non voler essere ripresa.

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