Forse ce la siamo presa troppo coi ratti per la peste
Una nuova ricerca mette in dubbio il loro ruolo nella diffusione della malattia che nel Trecento decimò la popolazione europea
Un nuovo studio ipotizza che i ratti e le loro pulci non ebbero un grande ruolo nel diffondere la “peste nera” nel quattordicesimo secolo, a differenza di quanto teorizzato finora. Secondo il gruppo internazionale di ricerca che se ne è occupato, le condizioni ambientali in buona parte dell’Europa avrebbero reso molto difficile la permanenza della peste per lunghi periodi in quegli animali. L’ipotesi è che quindi la peste fu reintrodotta più volte da Oriente e che i ratti fecero solo temporaneamente da riserva in Europa.
La “peste nera” causò la morte di decine di milioni di persone in tutto il mondo, e in particolare nel continente europeo, secondo le stime più condivise. Si ritiene che la pandemia fu causata dal batterio Yersinia pestis, che può venire in contatto con gli esseri umani per via diretta attraverso la puntura delle pulci dei ratti, o per via indiretta se si viene morsi da un ratto o da un altro roditore infetto. Anche se in forma minore, le pulci e i pidocchi degli umani possono a loro volta portare al contagio tra individui.
I sintomi della malattia dipendono dalle aree in cui si concentrano le colonie di batteri nell’organismo. A seconda dei casi, la peste può essere polmonare, bubbonica e setticemica: quest’ultima causa una grave infezione delle cellule del sangue, portando a necrosi dei tessuti, che diventano quindi neri e non più vitali. Oggi la peste può essere trattata facilmente con gli antibiotici, ma un tempo in assenza di medicinali adeguati era spesso fatale.
La peste nera in Eurasia, che raggiunse il picco in Europa nella prima metà del Trecento, ebbe effetti catastrofici: causò a seconda delle stime la morte di 75 – 200 milioni di persone. Gli storici stimano che comportò la morte del 30 – 60 per cento di tutti gli europei, riducendo la popolazione mondiale da 450 milioni di persone a 360 circa nel Quattordicesimo secolo (furono necessari quasi tre secoli perché la popolazione mondiale tornasse ai livelli pre-peste).
Ricostruire le vie del contagio a secoli di distanza non è semplice, ma è molto importante per comprendere come si diffondono le malattie, argomento con cui facciamo i conti da tre anni a causa della pandemia da coronavirus. Per questo il gruppo di ricerca guidato da Nils Stenseth dell’Università di Oslo (Norvegia) ha realizzato uno studio per comprendere meglio il ruolo che ebbero i roditori durante la peste nera.
Solitamente la peste inizia nei roditori e poi passa agli esseri umani a causa di qualche casuale contatto con quegli animali o i loro parassiti. La malattia mantiene una propria presenza nel lungo periodo nei roditori, utilizzandoli come riserva.
Come raccontano sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS), Stenseth e il suo gruppo di ricerca hanno esaminato le caratteristiche del suolo, le condizioni climatiche e le varie specie di roditori che all’epoca della peste nera vivevano in Europa. Secondo le loro analisi, tutti questi fattori possono influire sulla permanenza della peste nelle riserve. L’alta concentrazione di alcuni elementi nel suolo, come rame e ferro, così come temperature più basse del solito in un certo periodo e poche piogge possono favorire la maggiore durata delle riserve, anche se non sono ancora molto chiare le cause.
Sulla base di questi dati e della loro analisi, lo studio ritiene che non ci fossero le condizioni per avere molti roditori che facessero da riserva per la peste tra la metà del Trecento e gli inizi del diciannovesimo secolo in Europa. C’erano invece le condizioni perché ciò avvenisse in Cina e più in generale nell’Asia centrale, dove analisi del DNA e documenti molto antichi offrono indizi sulla presenza della peste per millenni. Quando arrivò per la prima volta in Europa, la peste trovò nei roditori selvatici la riserva ideale, ma solo nel breve-medio termine. Le condizioni ambientali non erano invece ideali per la sua persistenza, di conseguenza il gruppo di ricerca ritiene che ci furono più casi di importazione della peste dall’Asia nel corso del tempo.
Lo studio ha poi analizzato le varie epidemie causate dalla peste, per valutare l’effettivo ruolo dei ratti nel diffondere la malattia. La peste interessò l’Europa una prima volta tra l’inizio del sesto secolo e la fine dell’ottavo. La seconda si presentò nei primi decenni del quattordicesimo secolo e durò, a fasi alterne, per 500 anni. Infine, la terza avvenne alla fine dell’Ottocento e perdura ancora oggi, seppure con una quantità di casi relativamente limitata.
Il tipo di peste più diffusa fu comunque quella bubbonica. La peste iniziata intorno al 1330 ebbe un alto tasso di letalità e si diffuse molto rapidamente, se confrontata con altri periodi in cui la malattia era comunque molto diffusa. Le differenze derivavano certamente dall’aumento degli scambi commerciali tra Occidente e Oriente, che portavano di conseguenza a maggiori contatti, ma la peste fu comunque tra le malattie a più rapida diffusione mai osservate fino ad allora e per vari secoli successivi.
Il gruppo di ricerca ha ricostruito la velocità di diffusione della malattia su base giornaliera e ha concluso che si propagò molto più velocemente rispetto alla capacità dei roditori di spostarsi da una parte all’altra dell’Europa. Le stagioni in cui si diffuse la malattia non sono inoltre pienamente compatibili con le fasi di sviluppo e crescita delle pulci dei ratti, considerate uno dei principali vettori della malattia.
Lo studio elenca varie altre discrepanze tali da mettere in dubbio il ruolo dei roditori nel diffondere la malattia, in particolare nel caso della peste bubbonica. Gli esiti della ricerca si avvicinano alle teorie di altri esperti, che ipotizzano che la malattia si diffondesse molto più facilmente e rapidamente da persona a persona, con un basso coinvolgimento dei ratti, una volta che era iniziata l’epidemia. Il nuovo studio non è comunque definitivo e saranno necessari ulteriori approfondimenti, con collaborazioni tra scienziati e storici per ricostruire l’andamento di una delle malattie che più incisero nella storia e nello sviluppo del continente europeo.