La peste c’è ancora

Se ne parla poco e sembra un ricordo del Medioevo, ma è una malattia di cui si muore anche oggi: nel New Mexico ci sono stati tre casi da inizio anno (ma niente paura)

Un "medico" con la classica maschera a forma di becco, nel quale erano inserite spezie che si pensava purificassero l'aria evitando i contagi da peste, in una stampa di metà Seicento (Hulton Archive/Getty Images)
Un "medico" con la classica maschera a forma di becco, nel quale erano inserite spezie che si pensava purificassero l'aria evitando i contagi da peste, in una stampa di metà Seicento (Hulton Archive/Getty Images)

Dall’inizio dell’anno in New Mexico, negli Stati Uniti, sono stati registrati tre casi di peste, una malattia solitamente associata alle grandi epidemie del Medioevo e che oggi è piuttosto rara, soprattutto nei paesi occidentali. Due donne, una di 52 e una di 62 anni, sono state ricoverate in ospedale a Santa Fe, dove sono state sottoposte a trattamenti con antibiotici per fermare l’infezione. In precedenza un uomo di 63 anni era stato sottoposto a un breve ricovero sempre a causa della peste. In New Mexico non c’è naturalmente un’emergenza sanitaria per la peste e nulla di comparabile alle epidemie del passato, ma le autorità sanitarie non vogliono sottovalutare il problema, considerato che alcuni isolati casi della malattia sono segnalati ogni anno. Grazie ai farmaci la peste è meno letale rispetto a qualche secolo fa, ma deve comunque essere trattata il prima possibile, per evitare complicazioni che in alcuni casi possono portare alla morte.

Cos’è la peste
La peste è una malattia infettiva causata dal batterio Yersinia pestis, che viene in contatto con l’uomo per via diretta attraverso la puntura delle pulci dei ratti, o per via indiretta se si viene morsi da un ratto o da un altro roditore infestato dalle pulci. Anche se in forma minore, le pulci e i pidocchi dell’uomo possono a loro volta portare al contagio tra individui. I sintomi della peste dipendono molto dalle aree in cui si concentrano le colonie di batteri nell’organismo: può essere polmonare, bubbonica e setticemica.

La peste polmonare ha un periodo di incubazione (cioè l’intervallo di tempo tra il momento del contagio e quello in cui si manifestano i sintomi) che varia a seconda delle persone e va da 1 a 7 giorni. I sintomi più ricorrenti sono abbassamento della temperatura corporea, difficoltà a respirare, tosse, debolezza. Se la malattia non viene trattata per tempo, a questi subentrano gravi problemi neurologici ed edema polmonare acuto (accumulo di liquidi nei polmoni) che causa la morte. È l’unico tipo di peste che può essere facilmente trasmesso da persona a persona per via aerea.

La peste bubbonica, invece, ha un periodi di incubazione tra i 2 e i 12 giorni. I sintomi compaiono improvvisamente e in modo piuttosto violento: febbre molto alta, mal di testa, nausea, dolore alle articolazioni, vomito e debolezza diffusa. La malattia causa l’infiammazione e il rigonfiamento delle ghiandole (linfonodi) nell’area inguinale e sotto le ascelle. Si gonfiano a tal punto da formare bubboni (da qui il nome della malattia). Se non viene trattata per tempo, l’infezione si diffonde portando alla necrosi dei tessuti a partire dalle estremità (dita di mani e piedi), fino a complicazioni ancora più gravi a carico dei reni e dell’apparato cardiocircolatorio.

La peste setticemica causa una grave infezione delle cellule del sangue, portando a necrosi dei tessuti, che diventano quindi neri e non più vitali. In molti casi questa condizione si associa agli effetti della peste bubbonica negli stadi più avanzati della malattia.

Le grandi epidemie di peste
Come ricorda l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ancora oggi la peste è altamente pericolosa e mortale, se non trattata in fretta e con i giusti farmaci. Quella bubbonica porta nel 50 – 60 per cento dei casi alla morte. La peste ebbe effetti devastanti sulle popolazioni europee e asiatiche per secoli. La cosiddetta “peste di Giustiniano” fu una pandemia che si diffuse tra il 541 e il 542 soprattutto a Costantinopoli e in diverse città portuali del Mediterraneo: si stima che nel complesso uccise tra i 25 e i 50 milioni di persone, nelle varie ondate della malattia nei due secoli seguenti. La Peste Nera in Eurasia (e che raggiunse il suo picco in Europa nella prima metà del Trecento) ebbe effetti ancora più devastanti: causò nel complesso la morte di 75 – 200 milioni di persone. Gli storici stimano che comportò la morte del 30 – 60 per cento di tutti gli europei, riducendo la popolazione mondiale da 450 milioni di persone a 360 circa nel XIV secolo (furono necessari quasi tre secoli perché la popolazione mondiale tornasse ai livelli pre-peste).

peste nera

Come si cura la peste
Le epidemie di peste raggiunsero una scala così grande a causa delle scarse conoscenze mediche e igieniche, in un mondo che stava diventando sempre più collegato grazie all’apertura delle grandi rotte commerciali tra Europa e Asia. Fortunatamente oggi abbiamo a disposizione antibiotici e altri farmaci che possono fermare rapidamente e con successo un’infezione da peste, prima che sia troppo tardi. La peste bubbonica è più semplice da curare, mentre quella polmonare può portare a complicazioni cui è difficile sopravvivere, specialmente se subentra la setticemia.

Il New York Times cita l’esempio di John Tull, che nel 2002 contrasse la peste nel New Mexico e sviluppò i sintomi poco dopo, mentre era in vacanza a New York. Gli fu diagnosticata la peste setticemica: andò in insufficienza renale e i tessuti dei piedi e delle mani iniziarono a morire per la necrosi. Fu sottoposto per tre mesi a un coma indotto, con i farmaci, e gli furono amputate le gambe al di sotto delle ginocchia per impedire alla necrosi di diffondersi. Per quanto invasivo, il trattamento si rivelò efficace e Tull riuscì a sopravvivere alla malattia.

I casi di peste nel mondo
L’Organizzazione Mondiale della Sanità dice che i casi di peste in tutto il mondo riferiti dalle autorità sanitarie nel 2015 (l’ultimo anno su cui abbiamo dati certi) sono stati 320, 77 dei quali mortali. Negli ultimi anni numerosi casi di peste sono stati segnalati in Madagascar, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania e Uganda. Un picco a livello mondiale è stato raggiunto nel 2013 con 772 casi segnalati e 130 morti.

Perché il New Mexico
Il caso del New Mexico è rilevante perché è molto raro che la peste sia segnalata nei paesi occidentali, inoltre la malattia arrivò negli Stati Uniti molto tardi, si stima all’inizio del Novecento dalla Cina. Le pulci dei ratti sulle imbarcazioni cinesi passarono sui ratti urbani e di campagna statunitensi, diffondendo la malattia soprattutto nella parte occidentale degli Stati Uniti: New Mexico, Colorado, Arizona, California, Oregon e Nevada.

Nel New Mexico i casi di peste sono stati più ricorrenti rispetto ad altri stati. Nel 2015 sono state segnalate 4 persone con la malattia, una delle quali è morta a causa delle complicazioni. Altre quattro persone hanno contratto la peste nel 2016 e hanno ricevuto i trattamenti necessari per tempo, guarendo senza particolari problemi. Secondo gli esperti in New Mexico è la presenza di una popolazione ampia e varia di roditori a rendere più probabili i contagi da peste. Le pulci passano con facilità da una specie all’altra di roditori, compresi gli scoiattoli delle rocce, molto diffusi nella zona e nei giardini delle abitazioni.

Bonus
Nel famoso racconto nei Promessi Sposi della notte in cui Don Rodrigo capisce di avere contratto la peste, Alessandro Manzoni descrive efficacemente i sintomi e che cosa significava fare la terribile scoperta di essere malati e con poche speranze di sopravvivere.

Ma le coperte gli parvero una montagna. Le buttò via, e si rannicchiò, per dormire; ché infatti moriva dal sonno. Ma, appena velato l’occhio, si svegliava con un riscossone, come se uno, per dispetto, fosse venuto a dargli una tentennata; e sentiva cresciuto il caldo, cresciuta la smania. Ricorreva col pensiero all’agosto, alla vernaccia, al disordine; avrebbe voluto poter dar loro tutta la colpa; ma a queste idee si sostituiva sempre da sé quella che allora era associata con tutte, ch’entrava, per dir così, da tutti i sensi, che s’era ficcata in tutti i discorsi dello stravizio, giacché era ancor più facile prenderla in ischerzo, che passarla sotto silenzio: la peste.
Dopo un lungo rivoltarsi, finalmente s’addormentò, e cominciò a fare i più brutti e arruffati sogni del mondo. E d’uno in un altro, gli parve di trovarsi in una gran chiesa, in su, in su, in mezzo a una folla; di trovarcisi, ché non sapeva come ci fosse andato, come gliene fosse venuto il pensiero, in quel tempo specialmente; e n’era arrabbiato. Guardava i circostanti; eran tutti visi gialli, distrutti, con cert’occhi incantati, abbacinati, con le labbra spenzolate; tutta gente con certi vestiti che cascavano a pezzi; e da’ rotti si vedevano macchie e bubboni. – Largo canaglia! – gli pareva di gridare, guardando alla porta, ch’era lontana lontana, e accompagnando il grido con un viso minaccioso, senza però moversi, anzi ristringendosi, per non toccar que’ sozzi corpi, che già lo toccavano anche troppo da ogni parte. Ma nessuno di quegl’insensati dava segno di volersi scostare, e nemmeno d’avere inteso; anzi gli stavan più addosso: e sopra tutto gli pareva che qualcheduno di loro, con le gomita o con altro, lo pigiasse a sinistra, tra il cuore e l’ascella, dove sentiva una puntura dolorosa, e come pesante. E se si storceva, per veder di liberarsene, subito un nuovo non so che veniva a puntarglisi al luogo medesimo. Infuriato, volle metter mano alla spada; e appunto gli parve che, per la calca, gli fosse andata in su, e fosse il pomo di quella che lo premesse in quel luogo; ma, mettendoci la mano, non ci trovò la spada, e sentì in vece una trafitta più forte. Strepitava, era tutt’affannato, e voleva gridar più forte; quando gli parve che tutti que’ visi si rivolgessero a una parte. Guardò anche lui; vide un pulpito, e dal parapetto di quello spuntar su un non so che di convesso, liscio e luccicante; poi alzarsi e comparir distinta una testa pelata, poi due occhi, un viso, una barba lunga e bianca, un frate ritto, fuor del parapetto fino alla cintola, fra Cristoforo. Il quale, fulminato uno sguardo in giro su tutto l’uditorio, parve a don Rodrigo che lo fermasse in viso a lui, alzando insieme la mano, nell’attitudine appunto che aveva presa in quella sala a terreno del suo palazzotto. Allora alzò anche lui la mano in furia, fece uno sforzo, come per islanciarsi ad acchiappar quel braccio teso per aria; una voce che gli andava brontolando sordamente nella gola, scoppiò in un grand’urlo; e si destò. Lasciò cadere il braccio che aveva alzato davvero; stentò alquanto a ritrovarsi, ad aprir ben gli occhi; ché la luce del giorno già inoltrato gli dava noia, quanto quella della candela, la sera avanti; riconobbe il suo letto, la sua camera; si raccapezzò che tutto era stato un sogno: la chiesa, il popolo, il frate, tutto era sparito; tutto fuorché una cosa, quel dolore dalla parte sinistra. Insieme si sentiva al cuore una palpitazion violenta, affannosa, negli orecchi un ronzìo, un fischìo continuo, un fuoco di dentro, una gravezza in tutte le membra, peggio di quando era andato a letto. Esitò qualche momento, prima di guardar la parte dove aveva il dolore; finalmente la scoprì, ci diede un’occhiata paurosa; e vide un sozzo bubbone d’un livido paonazzo.