Secondo Crosetto sul caso Regeni l’Egitto vuole «cooperare al 100 per cento»

Nonostante il processo sia fermo proprio a causa dell'indisponibilità del governo egiziano, e dopo vari tentativi di depistaggio

(Mauro Scrobogna/LaPresse)
(Mauro Scrobogna/LaPresse)

Intervistato all’interno della trasmissione di approfondimento di Rete 4 Diario del giorno, martedì il ministro della Difesa Guido Crosetto ha parlato tra le altre cose delle indagini sull’omicidio di Giulio Regeni, il 28enne ricercatore italiano torturato e ucciso al Cairo, in Egitto, nel 2016. Il processo è fermo da tempo, e il motivo fondamentale è che le autorità egiziane si sono ripetutamente rifiutate di collaborare con l’Italia nelle indagini. Nonostante questa evidenza, Crosetto si è detto molto convinto del fatto che d’ora in poi la situazione potrà cambiare drasticamente:

Penso ci sia la volontà dell’Egitto di cooperare al 100 per cento con l’Italia, perché c’è la necessità delle due nazioni di parlarsi […]. Si rendono conto, le autorità egiziane, che il tema Regeni è un tema importante per il governo italiano e per l’Italia, e quindi hanno tutto l’interesse e la volontà a darci risposte chiare, serie, nel tempo più veloce possibile.

Regeni fu sequestrato al Cairo il 25 gennaio di sette anni fa, e da allora ottenere informazioni su quello che gli successe è stato molto difficile, anche a causa di vari tentativi di depistaggio messi in atto proprio dall’Egitto. Nel processo sono imputate quattro persone, tutti agenti dei servizi di sicurezza egiziani, accusate di sequestro di persona pluriaggravato, concorso in omicidio aggravato e concorso in lesioni personali aggravate.

Non è stato però nemmeno possibile notificare loro gli atti del procedimento, che per legge devono essere inviati agli indirizzi di domicilio o residenza, perché il governo egiziano si è sempre rifiutato di fornire questo genere di informazioni. Di fatto, quindi, il processo non è mai davvero cominciato perché è stato sabotato dalle autorità egiziane, e al momento risulta sospeso.

Negli scorsi giorni il ministro degli Esteri Antonio Tajani era stato in Egitto, dove aveva incontrato il presidente Abdel Fattah Al-Sisi. In seguito al loro colloquio anche lui aveva rilasciato dichiarazioni molto ottimistiche sulla collaborazione dell’Egitto nelle indagini su Regeni: «Sia il presidente sia il ministro degli Esteri mi hanno assicurato la volontà dell’Egitto di rimuovere gli ostacoli che possono creare problemi. Non c’è stata, devo dirlo agli italiani, nessuna reticenza da parte egiziana».

Non è la prima volta che l’Egitto si proclama disponibile per vie ufficiali senza che a questa disponibilità dichiarata ci sia realmente un seguito, per questo le dichiarazioni di Tajani sono sembrate a molti piuttosto ingenue o eccessivamente benevole nei confronti dell’Egitto, così come quelle di Crosetto arrivate a distanza di due giorni.

In un’intervista a Repubblica i genitori di Giulio Regeni avevano commentato le parole di Tajani dicendo: «Basta finte promesse. Pensiamo sia oltraggioso questo mantra sulla “collaborazione egiziana” che invece è totalmente inesistente».

Le responsabilità del governo egiziano nella morte di Giulio Regeni sono state accertate da una commissione parlamentare d’inchiesta, così come il tentativo di depistaggio dalla procura di Roma. A gennaio dello scorso anno la ministra della Giustizia Marta Cartabia aveva chiesto un incontro con il ministro della Giustizia egiziano, ma non aveva mai ricevuto risposta.