I migliori dischi del 2022, a leggere in giro

Quelli più citati nelle classifiche di fine anno della stampa specializzata, da Rosalía a una musicista d'avanguardia colombiana

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Da un po’ di tempo le liste dei dischi più belli dell’anno messe insieme ogni dicembre dai siti di musica e dai giornali tradizionali sono diventate meno divertenti da consultare. Soprattutto sulla stampa americana, ormai tendono spesso a riconoscere il successo commerciale degli album più che a individuare quelli che per un motivo o per l’altro potrebbero rimanere, invece di perdersi tra le uscite musicali effimere e dimenticabili dell’era dello streaming. Per una serie di fattori e ragioni, poi, succede che alcuni artisti particolari finiscano “di diritto” nelle primissime posizioni delle classifiche di alcuni giornali, senza che l’effettivo valore del disco sia preso più di tanto in considerazione.

Da diversi anni sul Post cerchiamo di raccogliere i dischi che sono finiti in più liste, e in posizioni più alte, in un elenco che ha due funzioni: attestare quali sono piaciuti di più alla critica e segnalare quelli che può valere la pena ascoltare se nel frattempo ce li si è persi. Per mettere assieme l’elenco di quest’anno abbiamo tenuto conto soprattutto delle liste più originali e meno orientate al successo di vendite dei dischi, per esempio quella di The Wire,  di NME, del Guardian, e quella che mette insieme il sito Album of the Year aggregandone a decine dalla stampa anglosassone e non solo.

Rosalia, Motomami

Rosalia è catalana, ha 30 anni ed è uno dei fenomeni musicali non anglosassoni di maggior successo degli ultimi anni. Ha preso la musica tradizionale spagnola e l’ha reinterpretata attraverso le chiavi del pop e dell’hip hop contemporanei, anche del reggaeton, con una grande freschezza e con grande attenzione alla produzione e alla performance dal vivo. Motomami è il suo disco più riuscito, è piaciuto tantissimo e vale sicuramente un ascolto anche per chi storce il naso quando sente musica latina o spagnoleggiante. In una canzone c’è anche The Weeknd.

Wet Leg, Wet Leg

Sono due, sono inglesi dell’isola di Wight, hanno una trentina d’anni e suonano entrambe la chitarra. Si chiamano Rhian Teasdale e Hester Chambers, insieme Wet Leg, e si sono fatte notare praticamente da subito: come gruppo esistono dal 2019, e tre anni dopo – con in mezzo la pandemia – girano per i principali festival, andranno in tour con Harry Styles e hanno fatto un disco scelto tra i migliori dell’anno da molti siti e riviste. Il disco è finito anche tra i finalisti del Mercury Prize, un prestigioso premio musicale britannico. Dentro ci sono diversi singoli irresistibili, schitarrate distorte e insistenti, un gran gusto per i ritornelli orecchiabili e per i cori.

Kendrick Lamar, Mister Morale and the Big Steppers

Il nuovo disco del rapper più celebrato degli ultimi dieci anni si è fatto attendere: è arrivato a cinque anni dal precedente, Damn. È molto diverso dagli altri, a partire dal fatto che non contiene grandi singoli e che non ci sono collaborazioni altisonanti. Le produzioni – cioè le basi, gli arrangiamenti, in generale il modo in cui il disco suona – sono ricercate come al solito ma anche generalmente più minimaliste. Questo aspetto, unito ai testi ancora più riflessivi e profondi del solito, ha portato molti a descriverlo come un disco «intimista». Di sicuro è il meno immediato di quelli fatti finora da Lamar: per apprezzarlo è consigliabile ascoltarlo tutto di fila, con una certa attenzione e i testi sotto mano. E più volte.

Big Thief, Dragon New Warm Mountain I Believe In You

È il quinto disco della band, che arriva da Brooklyn. La cantante Adrianne Lenker, che ha fatto anche diversi bei dischi da solista, ha una voce molto riconoscibile, un po’ dolente e spesso volutamente storta, che si incastra benissimo con lo stile irruente e rumoroso del chitarrista Buck Meek. Dragon New Warm Mountain I Believe In You è fatto di 20 canzoni – sono una band particolarmente prolifica – e tiene insieme il lato acustico e quello elettrico dei precedenti dischi, che hanno messo i Big Thief ai vertici di quei gruppi che oggi stanno rinnovando la cosiddetta Americana, la musica rock, country e folk di tradizione, per l’appunto, americana.

Fontaines DC, Skinty Fia

Skinty Fia è un’esclamazione di sconforto che usava spesso la pro-zia del batterista dei Fountaines DC, band irlandese di grande successo negli ultimi anni. Significa qualcosa tipo “la maledizione del cervo”, e si riferisce in particolare al cervo gigante, una specie della megafauna, quegli enormi animali che si aggiravano sulle terre emerse decine o centinaia di migliaia di anni fa. Rispetto ai dischi precedenti della band, Skinty Fia contiene canzoni più melodiche e meno ruvide, un po’ meno punk e più tradizionalmente rock.

Black Thought & Danger Mouse, Cheat Codes

Black Thought è la voce principale dei Roots, la storica band hip hop di Philadelphia, Danger Mouse è stato uno dei più richiesti produttori musicali degli ultimi vent’anni (per dirne una: è uno degli autori principali di Demon Days dei Gorillaz, e ha fatto anche Modern Guilt di Beck). È il loro primo disco insieme, ed è un compendio di hip hop vecchia scuola, anni Ottanta e Novanta, con un gran lavoro di ricerca sulle basi. È un disco che è stato in lavorazione per anni, infatti ci compare anche MF Doom, uno dei più grandi artisti hip hop di sempre, che è morto nel 2020.

Jockstrap, I Love You Jennifer B

Il disco dell’anno secondo la rivista The Quietus, nota per le sue scelte particolarmente sofisticate e talvolta elitarie, è il primo di un duo inglese composto da Georgia Ellery, alla voce, alla chitarra e al violino, e Taylor Skye, che fa tutto il resto: sintetizzatori, drum machine, eccetera. Lei è anche la cantante dei Black Country, New Road, band di buon successo e originalità recentemente messa in grande difficoltà dall’abbandono del cantante e chitarrista Isaac Wood, che era la testa principale dietro alle canzoni del band.

I Jockstrap e i Black Country, New Road sono accomunati da un notevole eclettismo e anche da certo virtuosismo musicale – a tratti “riccardonismo”, espressione dello slang dell’internet musicale italiana che indica musicisti che tendono a mettere la tecnica davanti alla musicalità – e da una intensa ricerca di sonorità nuove e sofisticate. I Love You Jennifer B è un disco frenetico e pieno di influenze diverse, che secondo il Guardian suona a volte come «un incubo», ma è anche piuttosto divertente. Com’è il caso della canzone “Greatest Hits”.

The Smile, A Light For Attracting Attention

Durante i lockdown la maggior parte di noi ha migliorato le proprie abilità in cucina o si è letto qualche romanzo in più, Thom Yorke e Jonny Greenwood, cantante e chitarrista dei Radiohead, hanno fatto i The Smile. Hanno tirato in mezzo Tom Skinner, che era il batterista del gruppo jazz dei Sons of Kemet, e a sorpresa hanno registrato un concerto senza pubblico per il Glastonbury del 2021, presentando otto canzoni che poi sono finite quest’anno in A Light For Attracting Attention. C’erano pochi dubbi che un nuovo disco di Yorke e Greenwood finisse per essere uno dei migliori dell’anno: dentro ci sono influenze e stili molto vari, pezzi più duri e rumorosi simili a quelli degli anni Novanta e altri dalle atmosfere più jazz, sintetizzatori analogici e gli archi della London Contemporary Orchestra. La cosa migliore fatta dai Radiohead al di fuori dei Radiohead, secondo molti critici.

Hudson Mohawke, Cry Sugar

Hudson Mohawke, che si chiama in realtà Ross Matthew Birchard, è un produttore 36enne che arriva da Glasgow e che si fece conoscere una decina di anni fa in una nicchia della musica elettronica, quella del cosiddetto “wonky”, che mescolava generi e stili diversi – hip hop, dub, pop, glitch – con un approccio pirotecnico e barocco. Pubblica da sempre con la Warp Records, storica etichetta di elettronica di Sheffield, e negli anni ha prodotto musica per gente come Kanye West (per Yeezus), Drake e Pusha T. Secondo Resident Advisor, in Cry Sugar «si possono sentire gli ultimi dieci anni del rap riflessi attraverso il prisma pieno di sfaccettature di Birchard, che è spesso divertente, ma anche pesante, ma anche geniale».

Sudan Archives, Natural Brown Prom Queen

Brittney Denise Parks non è del Sudan, è dell’Ohio, ma durante i suoi studi di etnomusicologia si appassionò a come si suona e suonava il violino – il suo strumento – in Africa, e il nome d’arte venne di conseguenza. Natural Brown Prom Queen è il suo secondo disco, in cui ha tenuto insieme tante declinazioni della musica afroamericana, dall’R&B all’hip hop all’electro, sempre con una preferenza per le canzoni che non fanno stare fermi. «Sudan Archives ignora le convenzioni della musica pop per dire esattamente quello che vuole: che è il motivo per cui non suona come nessun altro artista che fa R&B oggi», scrive Crack.

Alex G, God Save the Animals

Alexander Giannascoli non ha ancora 30 anni ma ha già fatto nove dischi: alcuni più riusciti di altri, e God Save the Animals è sicuramente nella prima categoria. Arriva dalla Pennsylvania e ha l’abitudine di fare tutto da sé, dalla composizione alla registrazione, motivo per cui viene spesso inserito nel filone del cosiddetto “lo fi”, l’approccio più casalingo e volutamente scalcinato alla produzione musicale. Secondo molti God Save the Animals è il disco in cui ha dato maggiormente mostra delle sue grandi capacità di compositore di canzoni, e in cui ha mischiato più efficacemente il folk, che è il suo genere di riferimento, e tutte le altre cose che gli piacciono, dal rock all’elettronica.

 

Shygirl, Nymph

Blane Muise ha 29 anni, viene da South London e ha origini caraibiche di Grenada. Ha un’etichetta sua, con cui ha pubblicato singoli ed EP prima di Nymph, il suo primo disco completo. Collabora in giro con alcuni dei musicisti più alla moda di questi anni, da Slowthai ad Arca a Mura Masa, coinvolti nel disco, che come tutto il pop che sia anche un po’ d’avanguardia mischia generi e influenze diversissime, in questo caso presi dalla tradizione della house inglese ma anche dal reggaeton e dell’hip hop (il risultato rientra in quello che viene spesso definito hyperpop).

Lucrecia Dalt, ¡Ay!

La colombiana Lucrecia Dalt finora è rimasta conosciuta soprattutto tra intenditori di musica un po’ sperimentale e strana, ma la sua notorietà aumenterà probabilmente dopo che il suo ultimo disco è stato celebrato dalla critica ed è finito in diverse liste di fine anno. Compresa quella della prestigiosa e rispettata rivista britannica The Wire, che l’ha messo al primo posto. Il fatto che sia una musicista d’avanguardia non deve spaventare: ¡Ay! è molto godibile anche per chi non è un esperto, ed è interessante e originale per come rinnova e sperimenta partendo dalla tradizione della musica ispanica e latina, una cosa che non capita di sentire spesso.

Arctic Monkeys, The Car

La storica rivista inglese NME ha scelto come miglior disco dell’anno il settimo degli Arctic Monkeys, che hanno confermato di essere passati a musica assai diversa da quella che li rese famosissimi quindici anni fa. In The Car, come già nel precedente Tranquility Base Hotel & Casino, sono praticamente assenti le chitarre distorte, che hanno lasciato il posto a pianoforti, organi anni Settanta e ritmiche funk, su cui si sviluppano le melodie da crooner (baritonali, suadenti, avvolgenti) del cantante Alex Turner. Ma secondo NME a rimanere invariata è l’intesa tra i membri della band, capaci di «limpide abilità compositive, instancabile innovazione e solido lavoro di squadra».

FKA Twigs, CAPRISONGS

Secondo il Guardian Tahliah Debrett Barnett, inglese del Gloucestershire, di origini giamaicane da parte di padre, «aveva dimostrato finora di saper fare praticamente tutto – cantare, scrivere, produrre, ballare la pole dance, combattere con la spada – ma fino all’uscita di CAPRISONGS c’era ancora una domanda in ballo: sa fare pezzi per ballare? CAPRISONGS dimostra che la risposta è una inequivocabile scritta al neon: sì». Nel disco ci sono diverse partecipazioni illustri, come the Weeknd e Pa Salieu, ed è un altro di quelli che, come si dice, mischia-molti-generi con l’idea di fare semplicemente un disco pop che abbia senso nel 2022.

Beyoncé, Renaissance

La stampa statunitense tende a stravedere per qualsiasi cosa faccia Beyoncé, e quindi non deve stupire che Renaissance sia in testa a gran parte delle classifiche americane, anche se l’impressione è che non abbia lasciato un segno paragonabile a quello di altri dischi precedenti come LemonadeBeyoncé. È pensato come una successione di pezzi riempipista, derivati dalla traduzione della dance music afroamericana: e quindi molta house, disco, soul, funk, con le canzoni mixate l’una all’altra come se fossero suonate da un dj in una discoteca. Non è peraltro l’unica “Renaissance” che ha fatto ballare le persone, quest’anno: l’omonima sigla della serie White Lotus è diventata un po’ a sorpresa un’improbabile hit dance in queste ultime settimane.

Alvvays, Blue Rev

Sono canadesi e da un po’ di anni sfornano dei dischi e dei singoli di un rock un po’ datato ma molto raffinato, che in alcuni casi hanno avuto un grandissimo successo (è possibile che abbiate sentito questa o questa). Amano arpeggi di chitarra che ricordano quelli dei R.E.M., dei Teenage Fanclub e degli Smiths, e secondo NME con questo disco «si sono avventurati con coraggio in un territorio di pop più profondo e sognante». «L’equivalente musicale di una zia ricca e silenziosa che sembra sempre indossare troppi gioielli», dice il Guardian.

Charlotte Adigéry & Bolis Pupul, Topical Dancer

Lei ha 32 anni, è nata in Francia e cresciuta in Belgio, e ha origini della Martinica e della Guadalupa (due isole caraibiche appartenenti alla Francia), e da qualche anno lavora con Bolis Pupul, produttore anche lui belga ma di origini cinesi. Topical Dancer l’hanno prodotto i Soulwax, celebre duo belga di elettronica, e straborda di groove, cioè di tensione ritmica: è difficile rimanere fermi ascoltandolo, anche perché è capace di accontentare gusti diversi, da quelli di chi ama la techno a chi preferisce il funk o i suoni caraibici.

The Weeknd, Dawn FM

È il quinto disco di Abel Makkonen Tesfaye, che continua a proporre le reinterpretazioni del pop anni Ottanta che gli hanno già assicurato un enorme successo: ma lo ha fatto stavolta con un disco piuttosto originale, che tra le altre è “narrato” da Jim Carrey e contiene delle apparizioni del produttore Quincy Jones e del regista Josh Safdie, oltre a duetti con Tyler, the Creator e Lil Wayne. «Conferma che è una delle più grandi star viventi, un autore ispirato e con stravaganza da vendere», scrive il Guardian.

Pusha T, It’s Almost Dry

Pusha T ha 45 anni ed è un’istituzione dell’hip hop americano. Per il suo quarto disco ha messo insieme alcuni dei suoi colleghi più famosi: Kanye West, Jay Z, Pharrell Williams, Kid Cudi, Lil Uzi Vert, e parte del suo talento, secondo Crack, è proprio «convincere Pharrell e Kanye a regalargli alcune delle loro basi migliori».