Oggi l’educazione sessuale e affettiva si fa online?

I divulgatori sui social aumentano e i giovani si affidano sempre di più a loro per ottenere informazioni che non trovano a scuola o in famiglia

di Viola Stefanello

(Deon Black / Unsplash)
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In diversi paesi, compresa l’Italia, l’educazione sessuale non è prevista come materia obbligatoria del percorso scolastico. Negli ultimi cinquant’anni ci sono stati vari progetti di legge per includerla nei programmi ministeriali, ma sono stati sistematicamente messi da parte sotto le pressioni di forze politiche conservatrici e vicine al sentire della Chiesa cattolica. Le motivazioni principali sostenute dai politici che si oppongono all’educazione sessuale sono due: la prima, smentita dai dati, è che parlare ai giovani di sesso li porterebbe a farlo prima del previsto; la seconda è che a scegliere se e quando parlare a bambini e adolescenti di riproduzione, sesso, pubertà, identità sessuale e relazioni sentimentali dovrebbero essere i genitori.

In Italia, però, solo il 18 per cento dei ragazzi e il 21,3 per cento delle ragazze dice di aver ottenuto informazioni sulla salute sessuale e riproduttiva dai genitori. La fonte primaria di informazione è più che altro internet: secondo i dati raccolti dal ministero della Salute pochi anni fa, oltre il 90 per cento degli adolescenti cerca le risposte alle proprie domande e curiosità online. Da una parte c’è il rischio che il primo approccio di persone molto giovani al sesso avvenga attraverso i siti porno, che notoriamente riflettono molto poco la realtà dei rapporti sessuali e possono avere un impatto negativo sullo sviluppo sentimentale e sessuale. Negli ultimi anni però un canale di informazione online molto frequentato è diventato Instagram, che attraverso i profili di esperti e divulgatori offre informazioni e riflessioni che in parte riescono a riempire il vuoto lasciato da scuola e famiglia.

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Secondo l’UNESCO, che nel 2018 ha pubblicato una Guida tecnica all’educazione sessuale, le scuole dovrebbero adottare «un approccio adeguato all’età e alla cultura di appartenenza nell’insegnamento di tematiche legate al sesso e alle relazioni, trasmettendo informazioni scientificamente corrette, attinenti alla realtà e non giudicanti» e «offrendo l’opportunità sia di esplorare i propri valori e atteggiamenti, sia di sviluppare le competenze decisionali e comunicative necessarie a ridurre i rischi».

Il documento dell’agenzia delle Nazioni Unite sottolinea che esistono da anni moltissimi studi che dimostrano che la possibilità di ottenere un’educazione completa e positiva alla sessualità e alla sfera affettiva diminuisce il numero di gravidanze indesiderate sia tra gli adolescenti che tra gli adulti, riduce la trasmissione di malattie veneree anche molto gravi, riduce il rischio di bullismo e violenza e aiuta le persone a prendere decisioni più informate nella propria sfera sentimentale e sessuale.

Nella maggior parte delle scuole italiane, l’educazione in materia è affidata alla scelta di singoli insegnanti – spesso di biologia, e quindi limitato all’insegnamento di nozioni sull’apparato riproduttivo senza alcun altro tipo di approfondimento – oppure ad associazioni esterne che vengono chiamate a parlare nelle scuole. I programmi dei servizi sociosanitari, che coinvolgerebbero psicologi o medici specializzati, sono spesso a pagamento, e quindi alcune scuole si rivolgono ad associazioni che offrono corsi gratuiti di educazione sessuale, anche se a tenerli sono a volte associazioni di stampo religioso che hanno una propria posizione molto schierata contro l’uso dei contraccettivi, il ricorso all’aborto e gli orientamenti sessuali o le identità di genere tradizionalmente non conformi.

«A me l’educazione sessuale ai tempi della scuola è stata fatta molto a volo d’uccello, per massimo due o tre ore nell’intero ciclo scolastico. E ovviamente riguardava soltanto la biologia dell’apparato riproduttivo, quindi semplicemente lezioni di biologia curricolari. Nulla ci è stato insegnato sull’affettività, le relazioni, ma pure le malattie sessualmente trasmissibili e la contraccezione, genere e orientamento», ricorda Nicola Macchione, urologo e autore di Il sesso semplice, pubblicato a settembre da Fabbri. Macchione da anni fa divulgazione su Instagram: nel suo profilo @md_urologist, seguito da 84 mila persone, parla in estremo dettaglio dei tantissimi aspetti che riguardano la sfera sessuale, soprattutto maschile, sia con infografiche dettagliate che rispondendo alle domande dei follower con brevi video.

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Specializzato in urologia e andrologia, Macchione è uno dei tantissimi professionisti ed esperti che negli ultimi anni hanno cominciato a condividere le proprie conoscenze online, sia su Instagram che su YouTube e TikTok. Lui, dice, ha deciso di cominciare a parlarne sui social «perché mi sembrava il modo più efficace per arrivare a parlare a più persone possibili. Ogni giorno in ambulatorio vedevo quanti danni può fare a qualcuno una scarsa conoscenza del proprio corpo, della sessualità e di tutto ciò che ci gira attorno», spiega Macchione.

 

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Tra i temi che tratta spesso ci sono il consenso e il rispetto nei confronti del partner, la contraccezione e la prevenzione, ma anche questioni che preoccupano gli uomini, come la lunghezza del proprio pene o la durata dell’amplesso. «Le persone spesso mi dicono che nel mio profilo trovano spunti e si rivedono in situazioni che descrivo, e quindi riescono poi ad affrontarle con maggiore serenità», dice il medico, che ha anche portato avanti varie campagne di informazione sulla possibilità e l’utilità di vaccinarsi contro il papilloma virus o di effettuare l’autopalpazione ai testicoli e alle mammelle per identificare in anticipo eventuali tumori e non solo.

I profili Instagram che fanno questo genere di informazione in inglese ottengono anche centinaia di migliaia di follower (la sessuologa Emily Morse ne ha 483 mila, la dottoressa Tanaya Narendra 996 mila), ma anche diverse pagine italiane riscuotono molto successo. Quella dedicata al progetto di educazione Virgin & Martyr, che esplora in lungo e in largo temi legati alla salute sessuale ma anche alla comprensione e all’accettazione del proprio corpo con le foto e le lunghe descrizioni sotto ai post, ne ha 59 mila. L’ostetrica Violeta Benini ne ha 207mila e @le_sex_en_rose, gestito da una coppia esperta di sex toys che discute temi come il naturismo e l’esplorazione del proprio desiderio, ne ha 35 mila. Su TikTok, l’italiana indubbiamente più seguita su questi temi è la ginecologa Monica Calcagni: la maggior parte dei suoi video sono dedicati a rispondere alle domande dei follower e a sfatare, spesso in modo ironico, falsi miti sul sesso.

Non si tratta, ovviamente, di dare specifici pareri o diagnosi mediche: in quei casi, i creator indirizzano gli utenti verso dei professionisti che possano prendere in considerazione il loro caso specifico. Si tratta, però, di dare alle persone di tutte le età gli strumenti per capire se qualcosa che sta succedendo loro sia normale o meno, e per navigare meglio il mondo complesso della sessualità e delle relazioni interpersonali.

 

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Un aspetto molto rilevante del fenomeno è che spesso queste pagine usano una lente intersezionale, ovvero scelgono di parlare di sesso, corpi e relazioni prendendo apertamente in considerazione le specificità delle esperienze di persone grasse, con disabilità, omosessuali, bisessuali, trans o razzializzate (cioè che per via della loro origine hanno caratteristiche fisiche o culturali considerate non conformi). «Le persone sono alla disperata ricerca di un’educazione sessuale accurata e inclusiva», ha detto al New Statesman l’americana Erica Smith, che fa l’educatrice da più di vent’anni. «Su Instagram, le persone possono accedere alle informazioni gratuitamente e con discrezione. Ricevo messaggi da così tante persone che dicono che sono sconvolte dalle cose che stanno imparando e sono arrabbiate per il fatto che gli è stato negato l’accesso a queste informazioni in precedenza nella loro vita».

Le quattro ostetriche romane che animano da qualche anno la pagina Instagram @associazione_selene, per esempio, hanno deciso di trattare soprattutto argomenti considerati tabù. «Troppo spesso la vita di una donna e la sua salute vengono viste soltanto dal punto di vista riproduttivo: ci viene insegnato come avviene la fecondazione e cosa non dobbiamo fare per rimanere incinte ma non ci viene mai detto che cosa vuol dire salute, come dovrebbe funzionare il nostro utero e come riconoscere i segnali che c’è qualcosa che non va; molto spesso il nostro dolore viene normalizzato o banalizzato e questo rappresenta un grande problema per la salute collettiva e la prevenzione», spiegano.

Come associazione, Selene viene talvolta invitata a fare educazione sessuoaffettiva nelle scuole. Le ostetriche raccontano che spesso gli studenti e le studentesse che incontrano sono già a conoscenza di informazioni “pratiche”, come il modo per scegliere la taglia del preservativo o l’esistenza dei sex toys («che sicuramente avranno visto in qualche Reel»): «quello che manca è la mediazione umana, soprattutto per alcuni concetti fondamentali come il consenso, il rispetto, il diritto al piacere, l’empatia e la prevenzione. Sui social sembra tutto molto facile e talvolta troppo “leggero”, nelle scuole spesso i programmi di educazione sessuale terrorizzano gli studenti facendo apparire il sesso come qualcosa di sbagliato e di cui aver paura. C’è bisogno sicuramente di maggiore equilibrio. Per parlare di certi argomenti come la sessualità, che è infinitamente libera e soggettiva, c’è bisogno del confronto tra persone che si incontrano e dialogano in luoghi sicuri e liberi (come dovrebbe essere la scuola) senza aver paura del giudizio».

Anche fare educazione sessuale online, comunque, è diventato più complesso nel tempo. Già all’inizio del 2021, Instagram ha irrigidito molto le proprie linee guida sui contenuti accettati sulla piattaforma e, anche se secondo l’azienda i post che contengono parole o immagini relative ai corpi umani a fine educativo non dovrebbero essere penalizzati, nella pratica sono moltissime le storie di educatori sessuali che sono stati danneggiati dall’algoritmo o addirittura banditi da Instagram senza una chiara ragione.

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