Cosa succede tra Elon Musk e Apple?

La società ha ridotto gli investimenti pubblicitari su Twitter e Musk l'ha accusata di voler esercitare il monopolio sulle app contro di lui

Elon Musk (Win McNamee/Getty Images)
Elon Musk (Win McNamee/Getty Images)
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Elon Musk, la persona più ricca al mondo e nuovo capo di Twitter, se l’è presa con Apple, l’azienda di maggior valore al mondo. Lunedì ha pubblicato una serie di tweet accusandola di avere interrotto gli investimenti pubblicitari su Twitter e di avere minacciato di rimuovere l’applicazione dal proprio App Store, il servizio con cui sono distribuite le app sugli iPhone e gli iPad. Musk ha poi criticato le commissioni applicate da Apple all’interno dell’App Store, ha chiesto retoricamente se l’azienda sia o meno contro la libertà di espressione e ha direttamente interpellato su Twitter il suo amministratore delegato, Tim Cook, senza ricevere risposta.

Le nuove accuse sono arrivate dopo qualche giorno di relativa calma in un periodo a dir poco tumultuoso per Twitter, che in seguito all’acquisizione da parte di Musk per 44 miliardi di dollari alla fine di ottobre ha perso più della metà dei propri 7.500 dipendenti, prima a causa di un drastico piano di licenziamenti e poi per dimissioni di massa. Interi gruppi di lavoro all’interno dell’azienda non esistono più o non hanno personale a sufficienza per lavorare, con ripercussioni in molti settori: da quello per garantire la sicurezza degli utenti sul social network a quelli per la raccolta pubblicitaria, essenziale per i ricavi di Twitter.

Apple era stata per lungo tempo una delle aziende che più avevano speso in pubblicità su Twitter. Secondo un rapporto ottenuto dal Washington Post, solo nel primo trimestre di quest’anno Apple aveva speso circa 48 milioni di dollari per i tweet sponsorizzati, diventando il principale inserzionista del social network. La spesa sostenuta da Apple era stata pari a più del 4 per cento dei ricavi prodotti da Twitter in quel trimestre.

Dopo l’acquisizione di Musk le cose sono però cambiate e Apple, come molte altre aziende, ha preferito ridurre o sospendere numerose campagne pubblicitarie su Twitter. La minor quantità di tweet sponsorizzati era stata notata da vari utenti e ha infine spinto Musk a occuparsene, non privatamente con i responsabili di Apple, ma direttamente su Twitter con una serie di tweet indirizzati alla società e a Tim Cook.

In un primo tweet Musk aveva scritto: «Apple ha fermato quasi del tutto la propria pubblicità su Twitter. Odiano la libertà di espressione in America?», menzionando poi il profilo di Cook per chiedergli che cosa stesse succedendo. L’argomento della censura e della libertà di espressione è ricorrente per Musk, anche se non è chiaro come la scelta di Apple di non fare pubblicità su un social network possa influire in generale sulla capacità e la possibilità delle persone di esprimersi liberamente.

In un altro tweet, Musk aveva poi detto che Apple aveva minacciato di sospendere Twitter dall’App Store «ma senza dirci il perché». Il tweet non conteneva ulteriori informazioni, ma era stato seguito da un successivo messaggio sulle commissioni applicate da Apple all’interno del suo sistema di distribuzione delle applicazioni: «Lo sapevate che Apple mette una tassa segreta del 30 per cento su qualsiasi cosa compriate tramite l’App Store?».

La percentuale richiesta da Apple a chi offre applicazioni a pagamento sull’App Store è discussa da molto tempo non solo tra i produttori di app, ma anche dalle autorità antitrust e dai parlamenti di diversi paesi. Tramite il proprio sistema di distribuzione, Apple mantiene di fatto un monopolio su ciò che può essere o non essere scaricato sugli iPhone e gli iPad, di conseguenza gli sviluppatori devono sottostare alle sue regole per poter raggiungere milioni di persone con le loro applicazioni e i loro servizi. Apple chiede inoltre una percentuale su qualsiasi acquisto avvenga all’interno delle app, impedendo agli sviluppatori di offrire sistemi alternativi di pagamento dentro alle loro applicazioni.

Ormai da mesi il Congresso degli Stati Uniti sta discutendo alcuni disegni di legge per cambiare il modo in cui funziona l’App Store e più in generale il modo in cui funzionano gli altri sistemi di distribuzione e vendita delle applicazioni, compreso Google Play per gli smartphone con sistema operativo Android. Una delle proposte più condivise tra i Democratici e i Repubblicani prevede di slegare i sistemi operativi di Apple (iOS) e di Google (Android) dai rispettivi store, in modo che ce ne possano essere altri da cui scaricare le applicazioni a prezzi diversi. In parte per Android questo sistema è già attivo, ma gli store alternativi offrono meno funzionalità e soprattutto non possono beneficiare di alcuni servizi che Google riserva alle proprie applicazioni.

Apple sostiene che le commissioni così alte siano l’unica soluzione per garantire ai propri utenti applicazioni sicure e ridurre il rischio di essere truffati. Secondo diversi osservatori, una commissione di quasi un terzo della transazione non è comunque giustificata, riduce sensibilmente i ricavi soprattutto per le aziende più piccole e danneggia gli utenti, a causa della mancanza di concorrenza e della possibilità di scaricare app a prezzi più vantaggiosi.

Nel 2020 i produttori di Fortnite, uno dei videogiochi di maggior successo per smartphone, avevano introdotto un sistema di pagamento per aggirare le commissioni imposte dai gestori degli store per le app. In poco tempo Apple aveva sospeso e poi rimosso Fortnite dal proprio App Store, mentre era stata avviata una causa in tribunale per risolvere la questione.

All’epoca Epic Games, la società che sviluppa Fortnite, aveva prodotto una parodia del famoso spot pubblicitario “1984” con il quale Apple presentò il nuovo Macintosh che idealmente rompeva un regime dittatoriale, in riferimento alle grandi società informatiche dell’epoca, con varie ispirazioni al romanzo distopico dallo stesso titolo di George Orwell. Tra i tweet pubblicati lunedì, Musk ha ripreso quel video definendolo «corretto» in riferimento alla situazione attuale e al controllo che ora esercita dal suo punto di vista Apple.

A Musk la questione interessa molto perché da quando controlla Twitter è al lavoro per realizzare una versione in abbonamento del social network, che costi 8 dollari al mese e renda possibile avere un profilo verificato. Il modo più pratico per abbonarsi sarebbe tramite l’app, ma in questo modo Apple tratterrebbe per sé il 30 per cento di ogni transazione. Twitter potrebbe decidere di non inserire l’opzione per abbonarsi nella propria app, invitando ad andare sul proprio sito per sottoscrivere un abbonamento, ma la procedura sarebbe molto meno immediata, come sanno bene gli sviluppatori di altre app in abbonamento che hanno seguito la stessa strada.

Nei piani di Musk, l’applicazione di Twitter dovrebbe nel tempo arricchirsi di altre funzionalità, comprese quelle per i micropagamenti e l’acquisto di prodotti digitali con piccole somme (per esempio per leggere un articolo o vedere un video). Per poter attivare queste funzioni, Twitter dovrebbe sottostare ad altre regole imposte da Apple, che se violate possono portare alla sospensione dell’applicazione e alla sua rimozione dall’App Store.

Nei tweet pubblicati lunedì Musk non ha spiegato per quale motivo Apple avesse «minacciato» di sospendere l’applicazione di Twitter, dicendo di non avere ricevuto a sua volta spiegazioni da Apple. Di solito la sospensione avviene quando nelle applicazioni sono compresi servizi non consentiti, vengono condivisi contenuti non permessi dalle regole dell’App Store o ancora ci sono rimandi verso sistemi alternativi per il pagamento di alcune funzionalità.

Se Apple decidesse di sospendere o rimuovere Twitter dall’App Store, gli utenti che avevano scaricato in precedenza l’applicazione potrebbero continuare a utilizzarla normalmente, ma Twitter non potrebbe più inviare aggiornamenti per correggere malfunzionamenti o introdurre nuove funzionalità. I nuovi iscritti non potrebbero inoltre scaricare l’app sui loro iPhone.

Nelle scorse settimane Musk aveva comunque già mostrato qualche insofferenza nei confronti di Apple e di Google per come amministrano i loro store. In un tweet aveva alluso alla possibilità di mettersi a produrre un proprio smartphone, in modo da evitare quelle che ritiene censure da parte delle due aziende.

In più occasioni Apple ha preso posizioni contro i limiti alla libertà di espressione e al diritto alla riservatezza dei propri utenti, non collaborando in alcuni casi con le forze dell’ordine per dare loro l’accesso a informazioni personali presenti sugli iPhone. La società mette spesso in evidenza il proprio impegno per la privacy, anche con iniziative per ridurre il tracciamento delle attività online sfruttato spesso a fini commerciali per la pubblicità. Apple ha da tempo bloccato numerosi sistemi traccianti, rendendo meno efficaci le pubblicità mostrate agli utenti dalle grandi piattaforme. Il cambiamento ha influito soprattutto sulla capacità di Meta di produrre ricavi pubblicitari tramite Facebook e Instagram, portando a un peggioramento dei rapporti tra le due aziende.

Apple mantiene inoltre regole piuttosto rigide su quali contenuti possono essere presenti nelle applicazioni per gli iPhone, con limitazioni sulla pornografia e la violenza. Per i social network le regole sono meno rigide a patto che i loro responsabili attuino quando necessario un lavoro di moderazione. Intervistato qualche giorno fa sulla nuova gestione di Twitter da parte di Musk, Cook aveva detto che non c’era l’intenzione di rimuovere l’applicazione dall’App Store se il social network avesse continuato a moderare i contenuti controversi: «Non penso che ci sia qualcuno che voglia discorsi d’odio sulla propria piattaforma, quindi confido che continuino a farlo».

Alcuni dirigenti Apple avevano però dato segnali di non apprezzare alcune delle recenti decisioni prese da Musk. La scelta di riammettere l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, attraverso un semplice sondaggio condotto sulla piattaforma dallo stesso Musk, per esempio, è avvenuta in concomitanza con la decisione di uno storico dirigente di Apple, Phil Schiller, di cancellare il proprio profilo dalla piattaforma.