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  • Mercoledì 23 novembre 2022

Il regime iraniano si è arrabbiato molto con i calciatori che non hanno cantato l’inno

Si erano rifiutati di farlo nella loro prima partita dei Mondiali in Qatar, in segno di solidarietà con i manifestanti

(AP Photo/Martin Meissner)
(AP Photo/Martin Meissner)

In Iran numerosi esponenti del regime che governa il paese hanno criticato e minacciato i giocatori della nazionale di calcio maschile, che prima della partita poi persa contro l’Inghilterra ai Mondiali in Qatar non hanno cantato l’inno nazionale, in segno di protesta. I giocatori della nazionale si sono rifiutati di cantare l’inno in solidarietà con le manifestazioni che da metà settembre sono in corso in Iran, dopo la morte in un centro di detenzione di Mahsa Amini, una donna di 22 anni che era stata arrestata perché non indossava il velo islamico in maniera corretta. Mentre l’inno suonava, inoltre, dagli spalti alcuni tifosi iraniani gridavano per protestare contro il regime.

– Leggi anche: E se i manifestanti iraniani ce la facessero? Ascolta la puntata di Globo

La nazionale di calcio in questi mesi di proteste ha attratto critiche sia dai manifestanti, che accusano i giocatori di non averli appoggiati in maniera sufficientemente esplicita, sia dal regime, per alcuni dei segnali di solidarietà con le proteste che comunque la nazionale ha messo in atto.

Dopo la sconfitta per 6 a 2 contro l’Inghilterra, a Teheran e in altre città iraniane alcuni manifestanti hanno inneggiato all’Inghilterra.

Dopo che i giocatori si sono rifiutati di cantare l’inno, sui giornali iraniani vari esponenti del regime hanno criticato duramente la nazionale: Mehdi Chamran, il presidente del consiglio comunale della capitale Teheran (che ha un potere più ampio di un consiglio comunale italiano), ha detto che «non permetteremo a nessuno di insultare il nostro inno e la nostra bandiera». Un altro politico conservatore ha proposto di sostituire i giocatori della nazionale con giovani religiosi e fedeli al regime che siano pronti a cantare l’inno.

Il giornale conservatore Kayhan, considerato uno dei più vicini alla leadership del regime, il giorno dopo la sconfitta ha pubblicato questo titolo: «Iran 2 – Inghilterra, Israele, Sauditi e traditori 6», lasciando intendere che la sconfitta deve essere attribuita ai nemici storici del regime iraniano, come Israele, l’Arabia Saudita e non meglio specificati «traditori».

Su Kayhan è stato anche pubblicato un articolo in cui si accusa l’Occidente di aver compiuto «una guerra psicologica spietata e senza precedenti contro la squadra». La tesi di Kayhan è che i giocatori della nazionale sarebbero stati influenzati dai media occidentali e dai social network, al punto da decidere di non cantare l’inno.

Nel corso di questi mesi di proteste in Iran ci sono state varie polemiche che hanno riguardato la nazionale di calcio, che ha tenuto un comportamento a volte ambiguo. Verso la fine di settembre, un paio di settimane dopo l’inizio delle proteste, in un’amichevole contro il Senegal sempre durante l’inno nazionale i giocatori indossarono delle giacche nere per coprire i colori della divisa iraniana.

Ma subito prima della partenza per i Mondiali i calciatori della nazionale hanno accettato di incontrare  Ebrahim Raisi, il presidente iraniano. Alcuni giocatori sono stati fotografati mentre si inchinavano a Raisi in segno di rispetto, cosa che ha indispettito molti manifestanti.