Che cos’è la cyber-violenza

Colpisce soprattutto le donne, è spesso legata alla violenza offline, ma è ancora oggi poco riconosciuta e affrontata in modo poco efficace

(AP Photo/Andy Wong)
(AP Photo/Andy Wong)
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La cyber-violenza, cioè la dimensione digitale della violenza, è ancora oggi poco riconosciuta e di conseguenza non affrontata in modo efficace. Come fenomeno sistemico colpisce soprattutto le donne ed è spesso legata alla violenza offline. Le ricerche più recenti dicono che è in aumento, e per questo diverse istituzioni hanno cominciato, seppur con un grande ritardo, a occuparsene in modo significativo e specifico.

Di cosa stiamo parlando
Il fenomeno della cyber-violenza è in continua evoluzione: ha assunto e continua ancora oggi ad assumere sempre nuove forme. Ci sono però alcune caratteristiche che, nel tempo, sono rimaste costanti.

La cyber-violenza ha innanzitutto una declinazione di genere. Come si dice molto chiaramente in una ricerca del parlamento europeo del 2021, le vittime principali degli abusi facilitati dalla tecnologia sono di sesso femminile e sono principalmente uomini coloro che commettono quegli stessi abusi. L’ONU ha a sua volta stimato che il 95 per cento dei comportamenti aggressivi, delle minacce o dei linguaggi violenti che avvengono negli spazi virtuali sono rivolti contro le donne e sono portati avanti da persone che quelle donne conoscono. Ma non si tratta solo di quantità.

Pur avendo aspetti e conseguenze uniche e specifiche, questa declinazione della violenza è infatti strettamente legata alla violenza contro le donne che avviene nel “mondo reale”. Non può dunque essere trattata in modo separato dalla violenza di genere offline e ne rappresenta il continuum: stessa violenza, nuovi strumenti. È per questo motivo che la cyber-violenza intesa come fenomeno con dinamiche ricorrenti e, dunque, come fenomeno sistemico viene inteso dalle istituzioni o dalle associazioni come una forma della violenza contro le donne in generale. Secondo una ricerca del 2017 dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere intitolata “Violenza virtuale contro le donne e le ragazze” il 70 per cento (sette donne su dieci) fra le vittime di cyber-stalking ha anche subito una o più forme di violenza fisica o sessuale da parte di un partner.

Sebbene si possa intuire in che cosa consista, non esiste una definizione condivisa di cyber-violenza contro le donne né a livello internazionale, né all’interno dell’Unione Europea. E questo comporta notevoli differenze riguardo al livello di tutela garantito o al modo in cui tale violenza viene affrontata.

Secondo il relatore speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, la definizione di “violenza di genere online” si estende a qualsiasi atto di violenza commesso, coadiuvato o aggravato in tutto o in parte, mediante l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, nei confronti di una donna in quanto tale o che colpisca le donne in maniera sproporzionata.

Il Comitato consultivo per le pari opportunità tra donne e uomini (che assiste la Commissione europea nella formulazione e nell’attuazione delle attività volte a promuovere le pari opportunità) ne ha dato una spiegazione più estesa. La cyber-violenza contro le donne, dice, è un atto di violenza di genere perpetrato direttamente o indirettamente attraverso le tecnologie dell’informazione o della comunicazione che produce o che è molto probabile che produca danni fisici, psicologici, economici o sofferenze di vario tipo. Comprende anche le minacce di tali atti, che possono essere attuate sia pubblicamente che privatamente.

La cyber-violenza si manifesta concretamente in modi diversi: può avvenire online o può essere compiuta tramite dispositivi tecnologici. Comprende molestie (che sono portate avanti in modo ripetuto contro una persona specifica); furto di identità o frode (che comprende ad esempio la creazione di falsi profili o l’hackeraggio degli account); limitazione dell’accesso al digitale (si impedisce cioè a una persona di utilizzare un telefono, un computer o di andare su Internet); diffusione non consensuale di immagini, ricerca e pubblicazione di informazioni personali e private; incitamento all’odio e cyber-stalking.

Il cyber-stalking segue gli stessi modelli dello stalking offline, ma la tecnologia rende di fatto lo stalking più “comodo”, più semplice e ne amplifica la portata. Consiste in comportamenti offensivi o minacciosi che avvengono tramite l’invio di messaggi e mail, tramite la pubblicazione di commenti su Internet o sui social, tramite la condivisione di fotografie o video intimi della persona interessata o, ancora, tramite monitoraggio o tracciamento. Per poter parlare di cyber-stalking, questi atti devono avvenire ripetutamente ed essere perpetrati dalla stessa persona.

Il cyber-stalking può a sua volta attivarsi con varie modalità.

Alcune pratiche consistono nell’accesso alle comunicazioni o ai dati registrati online, su cloud, senza il consenso della proprietaria, nel controllo da remoto di webcam e nell’uso di dispositivi smart, tra cui gli assistenti vocali per la casa, gli elettrodomestici connessi e i sistemi di sicurezza collegati alle reti WiFi e agli smartphone. Possono prevedere la sorveglianza e il tracciamento tramite l’utilizzo, ad esempio, di app GPS, comprendono il seguire la donna online, monitorando i suoi account social, rispondendo a tutti i suoi post, iscrivendosi agli stessi gruppi, taggandola ossessivamente: e questo può anche essere fatto tramite account falsi.

Comprendono l’accesso ad account o a dispositivi attraverso l’utilizzo delle password che la persona abusata ha condiviso con il maltrattante, di sua spontanea volontà oppure no. E comprendono infine gli “stalkerware”, cioè software, applicazioni e altri strumenti che permettono di spiare segretamente la vita privata di un’altra persona attraverso i suoi dispositivi.

Alcuni di questi software o applicazioni vengono commercializzati come applicazioni antifurto o di controllo parentale che permettono di dare ad esempio un tablet a un bambino configurandolo in modo tale che non sia possibile fare cose inappropriate o che non sia esposto a contenuti inappropriati. Ma tali applicazioni operano in modalità stealth, cioè di nascosto, e dunque senza che l’interessata se ne renda conto, né dia il proprio consenso. Attraverso di esse, il maltrattante può monitorare in remoto l’intero dispositivo dell’altra persona, incluse le ricerche su Internet, la posizione geografica, i messaggi di testo o le chiamate vocali. Può acquisire la lista contatti, ricercare eventi in calendario e visualizzare le foto.

Non è difficile acquistare e installare programmi simili, la loro commercializzazione non è illegale, e il loro utilizzo non richiede alcuna particolare abilità tecnica. La maggior parte degli stalkerware si installa su telefoni cellulari, ma ve ne sono anche versioni per computer fissi, portatili e tablet. Gli stalkerware sono meno frequenti sugli iPhone rispetto ai dispositivi Android poiché iOS è tradizionalmente un sistema chiuso. Tuttavia il perpetratore può aggirare questo limite agendo sugli iPhone sbloccati tramite jailbreaking, una procedura che rimuove le restrizioni software imposte da Apple: ma deve sempre avere accesso fisico al telefono per poterla eseguire.

Conseguenze
La dimensione virtuale della violenza non toglie concretezza al danno procurato. La violenza di genere online ha cioè un impatto concreto sulla vita delle donne che la subiscono. I danni che ne derivano possono essere diretti e individuali, e riguardare innanzitutto la salute e il benessere fisico e psicologico della persona, oppure possono essere indiretti e collettivi.

Le conseguenze si manifestano dunque anche sul piano sociale ed economico tanto che lo studio del Servizio Ricerca del Parlamento europeo (EPRS) dal titolo “Combating gender-based violence: Cyber violence – European added value assessment” sostiene che la violenza di genere online incida negativamente sulla capacità delle vittime di esercitare pienamente i loro diritti fondamentali e abbia un impatto negativo sia per la società che per la democrazia nel suo complesso. Questa specifica violenza si intreccia poi ad altre forme di discriminazione affrontate dalle donne, e peggiora le disuguaglianze di genere già presenti nella vita politica, sociale, culturale e lavorativa.

La cyber-violenza può causare innanzitutto problemi di salute mentale, depressione, stress, attacchi di panico, scarsa autostima, sindrome da stress post-traumatico, paura, autolesionismo. Tali conseguenze  possono avere un impatto particolarmente grave sulle persone giovani, causando non solo un calo nel rendimento scolastico, ma anche il ritiro dalla vita sociale e pubblica.

Tutto questo può poi incidere in termini di presenza o di diminuzione della qualità del proprio lavoro e dunque sulla propria capacità di sussistenza e, più in generale, sull’occupazione, sulla partecipazione delle donne al mercato del lavoro e sui maggiori rischi di esserne escluse. La diffusione di immagini intime senza consenso, ad esempio, può danneggiare le donne e la loro “reputazione” portando al licenziamento (come è già accaduto in diversi casi di cui si è discusso anche in Italia) o influenzando la loro possibilità di ottenere un lavoro. Questo, dicono le ricerche, si è rivelato essere un problema particolarmente significativo quando, prima di un’assunzione, vengono fatte delle ricerche online sulle potenziali future dipendenti.

Spesso, chi subisce violenza online mette in atto una serie di misure di auto-protezione per preservare la propria sicurezza: implicano il ritiro dai social, più in generale dall’interazione sociale, hanno conseguenze sul modo in cui le donne e le ragazze utilizzano Internet e, di fatto, sulla loro partecipazione al dibattito e alla vita pubblica sia nella dimensione online che offline.

Le conseguenze della cyber-violenza, individuali, sociali ed economiche, hanno dei costi che sono stati valutati: vanno, secondo lo studio dell’EPRS, da un minimo di 49 miliardi di euro fino a oltre 89 miliardi. Comprendono, tra le altre cose, anche le spese per la richiesta di aiuto e sostegno: le spese legali e sanitarie, ma anche i costi dell’acquisto di eventuali dispositivi di protezione o del possibile trasferimento se ad esempio vengono condivisi i propri dati personali su domicilio o residenza.

I dati
Quantificare la cyber-violenza di genere non è semplice a causa di una limitata disponibilità di dati. La mancanza di definizioni chiare e coerenti fa poi in modo che le stime siano diverse da paese a paese e che le cifre non possano essere facilmente confrontate o aggregate tra loro.

La Coalition against Stalkerware (Coalizione contro gli stalkerware, un gruppo internazionale che raggruppa organizzazioni che lavorano con vittime e abusanti, attivisti digitali e fornitori di soluzioni di cyber-sicurezza) stima comunque che la cifra delle persone che subiscono cyber-violenza possa arrivare a circa 1 milione in tutto il mondo, ogni anno.

Lo studio del 2021 del Servizio Ricerca del Parlamento europeo stima che una percentuale di donne compresa tra il 4 e il 7 per cento nell’Unione abbia subito molestie online nei 12 mesi precedenti alla valutazione, mentre tra l’1 e il 3 per cento abbia subito atti persecutori online. Le recenti stime dell’EPRS sono state realizzate a partire da uno dei pochi studi corposi realizzati nell’Unione Europea negli ultimi anni, cioè l’indagine europea sulla violenza contro le donne dell’Agenzia europea per i diritti fondamentali, del 2014, che comprendeva domande sul cyber-stalking e sulle molestie online.

Dall’indagine emerge che il fenomeno risulta più diffuso quanto maggiore è la diffusione di Internet e l’uso dei social media. Nel 2012, ad esempio, la Svezia risultava tra i paesi con la più alta percentuale di molestie informatiche e anche uno dei paesi con il più alto tasso di accesso a Internet. La Romania aveva invece uno dei tassi più bassi di molestie informatiche e anche il tasso più basso di accesso a Internet. La stessa correlazione si può notare nello studio dell’EPRS, che ha stimato la percentuale di molestie online subita nel 2019 dalle donne con più di 15 anni confrontandola con i risultati del 2012.

L’indagine della World Wide Web Foundation condotta nel 2020 con la partecipazione di intervistati di 180 paesi ha rivelato che il 52 per cento delle giovani donne e delle ragazze aveva subito abusi online come la condivisione di immagini, video o messaggi privati senza il loro consenso, messaggi ostili e umilianti, linguaggio offensivo e minaccioso, molestie sessuali e contenuti falsi. Il 64 per cento degli intervistati aveva poi dichiarato di conoscere qualcuno che aveva subito abusi di questo genere.

I risultati dell’indagine europea sulla violenza contro le donne dicono che il 19 per cento delle persone intervistate ha ricevuto messaggi offensivi o minacciosi, il 3 per cento ha ricevuto commenti offensivi online, l’1 per cento ha subito la condivisione di video personali sui social network oppure nelle chat di app di messaggistica. Considerato che questi risultati risalgono al 2014, quindi piuttosto datati, anche se tra i pochi attendibili, è chiaro che servirebbero nuovi studi per colmare la mancanza di dati su questo tema.

Anche in Italia i dati sulla cyber-violenza sono pochi. Gli unici messi a disposizione dall’ISTAT riguardano le denunce fatte nel 2019 e nel 2020 per la diffusione di immagini o video sessualmente espliciti. Sono dati parziali, perché appunto riguardano le denunce, che anche nel caso della cyber-violenza vengono presentate con una certa difficoltà soprattutto dalle donne. Succede per diversi motivi: la paura delle conseguenze, quella di non essere credute, la vergogna e l’imbarazzo, ma anche la scarsa fiducia nei confronti delle forze dell’ordine.

Il problema
L’innovazione tecnologica avviene a un ritmo che spesso non consente di riflettere sulle sue conseguenze a lungo termine, ma le diverse ricerche sono concordi nel dire che la cyber-violenza continuerà ad aumentare nei prossimi anni.

Nel 2021, la Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni e la Commissione per i diritti delle donne e l’uguaglianza di genere del Parlamento europeo hanno approvato una proposta di risoluzione sulla cyber-violenza di genere che spiega quali siano i principali problemi della questione e quali dovrebbero essere gli interventi necessari per fermarla.

Oltre all’assenza di dati uno dei problemi principali è che, attualmente, non esiste una definizione comune di cyber-violenza all’interno dell’Unione Europea. Alcuni stati membri hanno sì approvato delle leggi che riconoscono come reato alcune forme specifiche di cyber-violenza, ma nonostante la natura del reato sia transfrontaliera restano tra paese e paese notevoli differenze e disparità a livello di tutela.

Sarebbe dunque necessario, innanzitutto, stabilire una definizione giuridica armonizzata della violenza di genere online. Come spesso avviene per quanto riguarda la violenza contro le donne in generale, infine, mancano comprensione, consapevolezza del fenomeno, un’adeguata formazione dei soggetti che sono coinvolti nei percorsi di fuoriuscita (e che vanno dalle cosiddette forze dell’ordine fino ai tribunali passando anche dai centri antiviolenza) e prevenzione. Se ne parla poco, si denuncia molto poco e non ci sono informazioni su quali mezzi ci siano a disposizione per cercare aiuto o sostegno.

Nel frattempo, contro la cyber-violenza, in Italia è stata da poco avviata la prima campagna di formazione, informazione e sensibilizzazione che coinvolge la rete dei centri antiviolenza Di.Re, la rete dei centri per uomini autori di violenza di genere Relive, alcune aziende per la sicurezza informatica, istituzioni pubbliche e enti di ricerca. Si chiama DeStalk, ed è un progetto europeo sostenuto dal programma della Commissione europea per la promozione dei diritti civili.