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  • Giovedì 17 novembre 2022

Il terzo mese delle proteste in Iran

Contrariamente a quanto ci si aspettava non si sono quasi mai interrotte, nonostante la repressione, e negli ultimi giorni si sono aggiunti anche gli scioperi dei lavoratori

Il mercato principale di Teheran, chiuso per sciopero (AP Photo/Vahid Salemi)
Il mercato principale di Teheran, chiuso per sciopero (AP Photo/Vahid Salemi)

Le proteste in Iran sono entrate in questi giorni nel loro terzo mese: erano iniziate a metà settembre quando si era diffusa la notizia della morte in carcere di Mahsa Amini, arrestata perché indossava in maniera scorretta il velo islamico. La prima grossa protesta a livello nazionale, quando decine di donne si tolsero il velo in segno di ribellione nei confronti del regime, si era tenuta il 17 settembre, il giorno del funerale di Amini.

Da allora, nonostante la dura repressione e contrariamente alle aspettative di molti, le proteste sono proseguite quasi senza interruzioni, e anzi negli scorsi giorni sono aumentate d’intensità. Da martedì, i manifestanti hanno indetto tre giorni di scioperi e manifestazioni più intense del solito per commemorare quello che in Iran viene chiamato il “novembre di sangue”, cioè la terribile repressione messa in atto dal regime durante le proteste antigovernative nel 2019, in cui si stima che furono uccise circa 1.500 persone.

Rispetto al “novembre di sangue” del 2019, la repressione non è ancora altrettanto violenta, anche se le persone uccise dalle forze di sicurezza nel corso degli scontri con i manifestanti sono già centinaia: sarebbero 342 secondo la ong Iran Human Rights, di cui 43 minori. Le persone arrestate, secondo stime dell’ONU, sarebbero 14 mila. Il regime sostiene che almeno 30 tra poliziotti e altri membri delle forze dell’ordine siano stati uccisi.

Il regime religioso che governa l’Iran ha inoltre cominciato a condannare a morte alcune persone coinvolte nelle proteste, dopo che all’inizio del mese il parlamento iraniano aveva votato a gran maggioranza una legge che prevede la condanna a morte per chi compia seri crimini contro lo stato.

Nonostante questo, negli ultimi giorni le proteste sono tornate a intensificarsi. «C’è molta energia. La resistenza contro lo stato non finirà affatto presto», ha detto al New York Times Mani Mostofi, avvocato per i diritti umani e direttore della ong Milan.

Martedì, vari gruppi di attivisti avevano chiesto ai manifestanti di «conquistare» le città del paese, cioè di manifestare in maniera massiccia e bloccare alcuni punti importanti dei centri abitati: «Cominceremo dalle scuole, dalle università e dai mercati, e poi proseguiremo radunandoci prima nei quartieri e poi nelle piazze principali», diceva uno dei comunicati inviati online.

Alle proteste si sono uniti gli scioperi: è difficile avere notizie precise su quanti lavoratori abbiano scioperato e in quali settori, ma per esempio negli scorsi giorni sono circolate fotografie e video del mercato principale di Teheran completamente chiuso (forse anche per timore delle violenze: è impossibile distinguere le due cose). Secondo l’ong Hengaw, gli scioperi sono stati molto diffusi soprattutto nel Kurdistan iraniano, la regione nel nord-ovest del paese da cui proveniva Mahsa Amini.

Sembra tuttavia che gli scioperi si stiano espandendo a numerosi settori, come le fabbriche e le scuole: secondo il giornalista di BBC Shayan Sardarizadeh, il fatto che alle proteste – finora animate soprattutto da giovani e studenti – si siano uniti gli scioperi dei lavoratori potrebbe essere particolarmente insidioso per il regime.

Le proteste sono state molto intense a Teheran, la capitale, dove sono circolate immagini di particolare violenza quando per esempio la polizia ha cominciato a sparare in una stazione della metropolitana, ma in tutto il paese per due notti di fila migliaia di persone hanno risposto alla mobilitazione degli attivisti, scendendo in strada a protestare.