• Italia
  • Mercoledì 16 novembre 2022

Una coppia di donne potrà non usare “padre” e “madre” sui documenti della figlia

Lo ha deciso il tribunale di Roma, in contrasto con quanto previsto da un decreto del 2019 di Matteo Salvini

(Yunus Boiocchi/LaPresse)
(Yunus Boiocchi/LaPresse)
Caricamento player

Una coppia di donne ha vinto in tribunale un ricorso contro un decreto approvato nel 2019 dall’attuale vicepresidente del Consiglio, Matteo Salvini, quando era ministro dell’Interno, e che prevede la dicitura “madre” e “padre” per la carta di identità dei figli e delle figlie minorenni al posto di “genitori”. Il decreto, tuttora in vigore, era da tempo considerato discriminatorio nei confronti delle coppie dello stesso sesso da parte degli attivisti per i diritti della comunità LGBT+. Anche il Garante per la protezione dei dati personali l’aveva ritenuto problematico, soprattutto per ragioni burocratiche e amministrative.

Le due donne, seguite da diverse associazioni che si occupano di diritti civili, avevano chiesto l’inapplicabilità del decreto nel loro singolo caso nel 2020 alla sezione civile del tribunale di Roma, che ha infine dato loro ragione con un’apposita ordinanza emessa a inizio settembre. La notizia è stata diffusa soltanto ora perché nel frattempo lo Stato ha deciso di non fare ricorso, e l’ordinanza è diventata definitiva.

La decisione del tribunale di Roma riguarda soltanto il caso delle due donne: il decreto approvato da Salvini non è stato modificato e non ci sono indicazioni che il governo intenda farlo. Le associazioni che hanno seguito il caso ne hanno comunque sottolineato l’importanza simbolica. «Da una parte c’è la realtà della vita: nel nostro paese vivono da almeno 30 anni migliaia di famiglie composte da due madri o da due padri», ha commentato Alessia Crocini, presidente di Famiglie Arcobaleno: «dall’altra c’è l’ideologia di una certa parte politica che vorrebbe cancellare l’esistenza e i diritti di queste famiglie e dei minorenni che in quelle famiglie nascono, crescono e vivono».

Il tribunale di Roma fra l’altro ha accolto buona parte delle argomentazioni presentate dagli avvocati delle due donne: nelle motivazioni il giudice Francesco Crisafulli ha scritto che il caso riguarda soprattutto «il diritto delle due donne giuridicamente riconosciute come genitrici della bambina (l’una per esserne anche madre naturale, l’altra per averla adottata) a vedersi identificate, nella carta d’identità della figlia, in modo conforme alla loro identità sessuale e di genere», ma anche «il diritto della minore stessa ad una corretta rappresentazione della sua situazione familiare».

Se una figlia ha due madri, in sintesi, è scorretto sia nei suoi confronti sia verso le due genitrici che sulla carta di identità una delle due sia descritta come “padre”, di fatto sottraendo legittimità all’intera famiglia. Salvini, che approvò il decreto nel 2019, è molto legato agli ambienti più conservatori e oscurantisti della Chiesa cattolica, noti per difendere il modello di famiglia cosiddetta tradizionale, formata cioè da un uomo e da una donna, contro ogni altra forma di unione e relazione affettiva o genitoriale. Al momento non ha ancora commentato la decisione del tribunale di Roma.