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  • Venerdì 11 novembre 2022

Le condanne dei militanti di un comitato per la casa di Milano

Sono stati riconosciuti colpevoli di associazione a delinquere perché aiutavano le famiglie a insediarsi in alloggi popolari inutilizzati

Un presidio del 2018 contro gli sgomberi in via Lorenteggio (LaPresse - Matteo Corner)
Un presidio del 2018 contro gli sgomberi in via Lorenteggio (LaPresse - Matteo Corner)
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A Milano, nove militanti di sinistra appartenenti al Comitato abitanti Giambellino Lorenteggio sono stati riconosciuti colpevoli di associazione a delinquere e condannati  a pene pesanti per aver occupato e aiutato a occupare una serie di appartamenti vuoti di proprietà dell’Aler, l’Azienda lombarda di edilizia residenziale, cioè l’ente gestito dalla Regione che si occupa di buona parte dell’edilizia residenziale pubblica di Milano e che dichiara un patrimonio costituito da 70.947 unità immobiliari.

Le nove persone vennero arrestate e messe ai domiciliari nel 2018 al termine di un’indagine durata oltre due anni denominata dalla procura milanese Domus Libera, e che poi alcuni giornali ribattezzarono con intento ironico “Robin Hood”. L’informativa allora presentata dai carabinieri era di 635 pagine, 1.258 allegati, e cioè fotografie e documenti, e 17 faldoni di intercettazioni. L’indagine riguardava l’occupazione abusiva di appartamenti nel quartiere Giambellino-Lorenteggio, nella periferia sud-ovest di Milano. Alle nove persone è stato contestato e riconosciuto nella sentenza il reato di associazione a delinquere finalizzata all’occupazione abusiva di alloggi di edilizia pubblica e resistenza a pubblico ufficiale per episodi avvenuti dal 2015 al 2018.

È la prima volta che viene riconosciuto un reato associativo in un processo che riguarda l’occupazione di appartamenti di residenza pubblica. Gli imputati hanno sostenuto che se anche singoli reati ci fossero stati, cosa che loro negano, non sono di tipo associativo, cioè non è esistita nessuna associazione a delinquere. Il reato di tipo associativo è stato contestato anche, recentemente, ai sei sindacalisti dello SI Cobas e Usb arrestati a luglio a Piacenza: in quel caso la tesi della procura fu che la lotta sindacale portata avanti da SI Cobas e Usb fosse stata organizzata non per rivendicare e ottenere più diritti per i lavoratori, ma per garantire vantaggi economici personali agli arrestati e ai sindacati attraverso una doppia associazione a delinquere, una per ogni sindacato di base. 

Nel processo di Milano ai nove attivisti del Comitato abitanti Giambellino Lorenteggio le tesi sostenute dall’accusa sono state accolte dal giudice. Alle nove persone, al momento degli arresti avvenuti nel 2018, venne contestata l’ipotesi che facessero parte di «una struttura criminosa» per «la consumazione continuativa e professionale di delitti di invasione di terreni ed edifici» e di «resistenza a pubblico ufficiale». L’attività criminosa aveva, secondo la procura, «il programma sociale di invadere e occupare alloggi di edilizia residenziale pubblica Aler». Gli occupanti erano, secondo la procura, dotati «di idonei supporti logistici». E cioè «attrezzi per scassinare le porte e le lastre di metallo all’ingresso degli immobili Aler, nuove serrature e porte per sostituire quelle divelte, attrezzature per lavori elettrici di idraulica e muratura, telefoni cellulari e schede per i contatti». Ai documenti dell’inchiesta è stato allegato un volantino con l’intestazione “Sos anti-sgombero” in cui era scritto: «Sei sotto sfratto? Non riesci a pagare luce e gas? Aler e Mm ti vogliono cacciare perché sei moroso? Viene allo sportello sociale contro la crisi». 

Il comitato degli abitanti sostiene di aver aiutato famiglie in crisi ad andare a vivere in una delle case vuote che l’Aler non mette a disposizione dei richiedenti perché vecchie e in disuso. Per la procura, occupando e opponendosi agli sgomberi, sarebbe invece innanzitutto aumentata l’attesa delle famiglie in lista per l’alloggio. Dalle carte dell’inchiesta risulta che le case occupate al centro dell’inchiesta non erano però assegnabili, perché richiedevano manutenzione.

In pratica, è stato detto durante il processo, il comitato degli abitanti si sostituiva all’Aler e allo Stato. Secondo il Comitato invece Aler e Stato nei condomini dove si trovano gli appartamenti sono completamente assenti, se non quando si tratta di operare gli sgomberi.

Molti giornali, sia quando avvennero gli arresti sia in seguito, parlarono di racket delle case popolari ma nello stesso processo è stato evidenziato che da parte delle nove persone appartenenti al comitato non c’era nessuno scopo di lucro e che l’unico denaro richiesto era il pagamento di dieci euro annuali di iscrizione. La procura però, nel formulare le accuse, disse che anche se non c’era lo scopo di lucro c’era comunque la finalità di acquisire consenso politico creando una sorta di “anti-Stato”. Il gip, che confermò gli arresti, parlò di «visione anarchica secondo cui sarebbe giusto sottrarre gli immobili sfitti al controllo dell’amministrazione comunale, per riassegnarli, a soddisfacimento di una sorta di diritto alla casa».

Durante il processo il comitato ha rivendicato una serie di attività nel quartiere, come la creazione di una mensa popolare, il doposcuola e l’aiuto scolastico, e feste di quartiere. Secondo la difesa delle nove persone la resistenza a pubblico ufficiale non è stata contestata per episodi di violenza ma per il solo fatto di essere presenti, al momento degli sgomberi, in numero consistente, fatto che di per sé, secondo la procura di Milano, serviva a impedire ai funzionari dell’Aler di svolgere il proprio lavoro.

Le condanne sono state superiori a quelle richieste dall’accusa. Virgilio Moscatiello, con alcuni vecchi precedenti penali, è stato condannato a cinque anni e quattro mesi di carcere. La pena di Niccolò Bosacchi è di quattro anni e tre mesi (tutti i giornali, fin dal momento dell’arresto, hanno rimarcato che fosse laureato in filosofia con 110 e lode). Tre anni e sette mesi sono stati inflitti a Marco Benedetto Bolognini, un mese in meno a Clelia Contestabile, due mesi in meno a Nicolò Fasiello, tre mesi in meno a Mirko Lavezzoli. Tre anni di carcere sono stati decisi per Janact Vazquez Condori, due anni per Federica Ruggeri, un anno e sette mesi per Lisandro Parra Lemus.

Ha detto l’avvocato Eugenio Losco, difensore di alcuni degli imputati, parlando con Radio Onda d’urto:

«È sorprendente che il comitato abitanti Giambellino sia stato individuato come associazione a delinquere nonostante gli stessi investigatori e la stessa procura abbiano riconosciuto fin dall’inizio che nessuno scopo di lucro abbia mai coinvolto il comitato. Il tribunale di Milano ha sorprendentemente aderito in maniera completa alla tesi della procura. È sorprendente perché il comitato ha una finalità del tutto lecita, che è quella di aiutare gli abitanti di un quartiere, fornire loro aiuto in campo scolastico e in campo sanitario fornendo a persone che non hanno il permesso di soggiorno una sorta di medicina di base. Venivano forniti anche aiuti dal punto di vista alimentare».

L’avvocato ha poi sostenuto che il fatto che possano essere stati commessi singoli reati non giustifica la condanna per reati associativi: «Parliamo di occupazioni da parte di persone che si trovavano in stato di necessità, spesso di stranieri con figli, madri abbandonate dai loro compagni: non riusciamo a capire come il tribunale possa non aver compreso di che cosa stiamo parlando. Per non parlare delle pene che sono state applicate…». Ha detto un altro avvocato, Mauro Straini: «In una città così escludente e spietata come Milano aiutavano povera gente a sopravvivere, offrendo solidarietà senza chiedere nulla e sono stati trattati come un’organizzazione criminale».

Ha detto invece Alan Rizzi, assessore alla Casa Housing sociale della Regione Lombardia: «Noi siamo e saremo ancora più duri contro qualsiasi fenomeno di questo tipo, pur tutelando le situazioni di fragilità, perché non possiamo tollerare che ci siano addirittura forme organizzate criminali ai danni dei cittadini onesti. È auspicabile che tutte le forze politiche siano compatte nella lotta all’illegalità».

Attualmente nei quartieri Giambellino e Lorenteggio, nati negli anni Venti e dove abitavano fino agli Settanta prevalentemente gli operai delle fabbriche che si trovavano lungo il Naviglio, vivono più di 50mila persone, oltre il 25% sono stranieri. Negli anni in cui si svolse l’indagine della procura, secondo un’inchiesta del 2019 del settimanale Internazionale, su 2.667 alloggi di edilizia popolare più di 900 erano vuoti ed erano stati occupati. Anche in questa zona, come in altre, lo scontro tra inquilini regolari e occupanti abusivi è stato ed è spesso esplicito. Ha detto una inquilina di uno stabile in via Lorenteggio a Repubblica: «Facciamo le barricate sulle scale per cacciare quelli che vogliono venire a occupare. Da anni aspettiamo che Aler ci dia un’altra sistemazione, mentre qui i muri si gonfiano di acqua».

Nel 2014 iniziò anche a Lorenteggio e al Giambellino un piano di sgomberi di massa che riguardò tutta la città. Poi la strategia venne cambiata, non più sgomberi di massa ma operazioni più piccole e mirate da parte delle forze dell’ordine. 

Come detto, molti degli appartamenti dell’Aler del quartiere Lorenteggio Giambellino, così come in altri quartieri milanesi come per esempio il quadrilatero di San Siro, sono in condizioni fatiscenti. Non c’è mai stata manutenzione da parte dell’ente. Da tempo l’obiettivo dell’Aler è quello di abbattere le case e ricostruire. Nel 2016 fu firmato un accordo di programma per la cosiddetta riqualificazione della zona tra Aler, Regione e Comune, continuamente modificato e integrato, prima nel 2019 e poi nel 2021. Il piano è in ritardo e il suo termine è spostato sempre più in là nel tempo. 

Il piano di riqualificazione è molto vasto, e comprende tra le altre cose la realizzazione di alcune delle fermate della metropolitana M4, parchi e una grande biblioteca. I lavori sono iniziati nell’aprile del 2021 e alcune opere sono state realizzate o sono in fase avanzata. Il nodo maggiore è però proprio quello degli edifici Aler. Due demolizioni sono già avvenute, altre sono state decise ma i tempi per le ricostruzioni si sono allungati. Il quartiere ora vive una strana situazione: da una parte ci sono strade dove i lavori sono avanzati e la cosiddetta riqualificazione sta avvenendo, con interventi di arredo urbano. A poche decine di metri ci sono però edifici fatiscenti e, ancora, cantieri dove sono avvenuti gli abbattimenti in cui i lavori per ricostruire non sono iniziati.

Scriveva nel 2019 Internazionale, pochi mesi dopo gli arresti dei militanti del comitato degli abitanti: «Nel 2017 l’Aler, il comune e la regione hanno firmato con i sindacati un protocollo per gestire il trasferimento degli inquilini dei palazzi coinvolti nei lavori. Alcuni di loro vivevano in appartamenti occupati e l’accordo prevedeva la possibilità di regolarizzazione per le famiglie più in difficoltà, ma finora gli unici interventi sono stati gli sgomberi». 

Angelo Sala, presidente dell’Aler, diede la colpa agli occupanti abusivi: «La loro presenza ha sicuramente creato dei problemi. Ci attiveremo per la demolizione delle scale, renderemo inagibili gli edifici, costruiremo una recinzione di tre metri intorno all’area e inseriremo un servizio di guardia armata 24/24».

La promessa dell’ente è che le case ricostruite saranno migliori sotto il profilo energetico, ambientale e della sicurezza. Aler assicura che ci saranno servizi e attività che favoriranno la socialità. La promessa è poi di “saldo zero”: cioè che saranno abbattute tante case quante saranno ricostruite. Il Progetto di sviluppo urbano sostenibile nel Comune di Milano – Quartiere Lorenteggio è un piano da 90 milioni di euro, 60 dei quali costituiti da fondi dell’Unione europea. Il nodo di tutto il piano è però proprio quella che viene chiamata “mobilità dei nuclei familiari”. E cioè, dove andranno le persone dei condomini che saranno abbattuti? Le persone che hanno occupato negli ultimi cinque anni non hanno diritto di essere nuovamente inserite, se mai ne avevano fatto parte, nelle graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare.

Ma c’è anche un altro fatto e riguarda la stessa definizione di casa popolare e quindi di quante ne verranno ricostruite al termine della demolizione. Nell’elenco delle case interessate dalla riqualificazione ci sono gli appartamenti sfitti, i cosiddetti sotto-soglia, cioè quelli così malridotti che non possono essere assegnati. Non è chiaro, ha scritto Il Fatto Quotidiano, come vengano conteggiati. Ci sono poi gli spazi dati in affitto al terzo settore e alle cooperative sociali. Anche in questo caso, non si sa se ci saranno nuovi spazi. Poi ci sono gli appartamenti che nel tempo sono stati riscattati e per i quali è prevista una permuta. Altri che, scrive ancora Il Fatto Quotidiano, Aler affitta non a canone sociale, per darsi maggiore solidità finanziaria e coprire buchi economici imponenti. Infine, c’è il problema appunto degli abusivi, che sono molti e per i quali, non essendo inseriti nelle graduatorie oppure occupando posizioni molto indietro, non è previsto ovviamente nessun alloggio in futuro.