Da dove vengono i funghi che compriamo

Quelli spontanei quasi tutti dall'estero, quelli coltivati dall'Italia: la stagione che sta finendo è stata particolarmente complessa

di Valerio Clari

Funghi in vendita in un mercato agricolo in Germania (LaPresse)
Funghi in vendita in un mercato agricolo in Germania (LaPresse)
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In queste settimane si sta chiudendo in varie zone d’Italia il periodo in cui è più facile trovare e raccogliere funghi spontanei. In realtà la stagione sembra piuttosto tardiva, e in molte aree dell’Appennino questi sono giorni in cui le nascite sono numerose e le dimensioni dei funghi notevoli. Nel complesso però il 2022 è stato un anno particolare per i funghi: le alte temperature e le pochissime precipitazioni in primavera ed estate ne hanno condizionato a lungo la nascita, che è favorita dall’umidità. Ci sono stati momenti in cui la produzione è stata davvero limitata ed era particolarmente difficile trovare in commercio prodotti italiani.

La cosa ha influito solo su appassionati e ristoratori che si riforniscono localmente: per quel che riguarda i funghi spontanei, e primi fra tutti i porcini, anche in annate normali circa il 95 per cento dei prodotti in commercio è di provenienza estera. Al contrario invece i funghi coltivati che troviamo sul mercato, in maggioranza champignon, sono di origine italiana.

Il commercio dei funghi ha dimensioni mondiali ed è in costante e consistente crescita negli ultimi anni. In Italia ha regole particolari, che distinguono fra i prodotti spontanei o coltivati e fra freschi, conservati o essiccati. Soprattutto per quelli spontanei, c’è la necessità di tutelare il consumatore finale da possibili intossicazioni, visto che solo una parte dei funghi è commestibile, mentre gli altri contengono tossine che possono essere anche letali.

La stagione di ricerca dei funghi selvatici, indicativamente compresa fra maggio e novembre, muove molti appassionati (in varie città italiane sono presenti gruppi micologici che organizzano mostre e conferenze), provoca non pochi incidenti e talvolta porta all’intervento delle forze dell’ordine, come nel caso degli italiani fermati dalle guardie doganali francesi con 150 chili di porcini a inizio ottobre. Ogni paese e ogni regione regola la raccolta con tesserini, giorni e orari di sospensione della raccolta, quantità massime: polizia e carabinieri forestali attuano i controlli.

Il numero dei cercatori di funghi è in grande aumento negli ultimi anni, racconta Angelo Giovinazzo, gestore del blog Funghimagazine, uno dei più popolari fra gli appassionati: «Cercare e raccogliere funghi è diventato di moda, un po’ perché gli chef  propongono funghi, soprattutto porcini, in molte ricette, un po’ per gli effetti anche perversi dei social: in molti raccolgono per poi ottenere riscontri, like, follower su Instagram e YouTube. Valsesia e Ossola, in Piemonte, quest’anno sono state prese d’assalto, c’è chi arrivava anche da posti lontani 600 chilometri».

La produzione e il commercio di funghi coltivati sono invece meno problematici e indipendenti dalle variazioni legate a stagionalità o condizioni atmosferiche: le specie di funghi adatte a crescere in questo modo vengono coltivate in fungaie industriali, particolari serre allestite per garantire temperatura, illuminazione e umidità appropriate.

In Italia le specie coltivate sono prevalentemente due: lo champignon (noto in Italia anche come prataiolo, anche se a rigore sono specie diverse per quanto simili, Agaricus bisporus il primo, Agaricus campestris il secondo), che vale oltre due terzi della produzione nazionale, e il Pleurotus ostreatus, detto anche gelone o orecchione (circa il 15 per cento). Ci sono poi coltivazioni di dimensioni minori di pioppini, portobello, cardoncelli, cornucopie e varietà di origini orientale come gli shiitake. La coltivazione dei funghi si è sviluppata in Italia nel secondo dopoguerra: riguarda una sottocategoria dei funghi, quelli definiti saprofiti, che utilizzano la materia organica animale e vegetale per crescere e riprodursi. I porcini, solo per citare i più ricercati, sono invece funghi simbionti, che hanno bisogno di un particolare organismo simbionte, spesso una pianta, per crescere, creando con esso uno scambio continuo e reciprocamente vantaggioso di sostanze. Questo genere di funghi è decisamente più complesso da coltivare, spesso impossibile.

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La coltivazione dei funghi saprofiti prevede, una volta installata la serra, normalmente buia, la preparazione di un substrato composto di paglia, letame e gesso. Oggi è fortemente controllato e pastorizzato per evitare che i funghi assorbano elementi patogeni. Dopo l’aggiunta del micelio (l’apparato vegetativo dei funghi, formato da un intreccio di filamenti) la prima raccolta arriva dopo circa 30 giorni, con due o tre raccolte successive a distanza di un paio di settimane utilizzando lo stesso substrato.

I funghi ampiamente più coltivati, come detto, sono gli champignon, Agaricus bisporus: l’Italia ne produce circa 95 mila tonnellate e la quasi totalità di quelli che troviamo in commercio freschi nel nostro paese sono di provenienza italiana. Per i funghi coltivati la legge prevede la chiara indicazione della provenienza, cosa che invece non è necessaria per i funghi spontanei, che devono passare altri tipi di controlli. Gli champignon possono rendere intorno ai 2-2,5 euro al chilo al produttore ed essere venduti intorno ai 4-5 euro al chilo al dettaglio. Non sono stagionali, sono sul mercato tutto l’anno, però i prezzi possono essere influenzati da qualità e temporanee variazioni della domanda o dell’offerta.

Un produttore belga mostra funghi che nascono su un substrato a base di malto esausto, residuo della produzione della birra, in una serra a Bruxelles (AP Photo/Virginia Mayo)

Il più grande produttore al mondo di champignon, e di funghi in generale, è la Cina, da cui proviene quasi il 75 per cento dei funghi coltivati (2 milioni e mezzo di tonnellate), con una parte rilevante del mercato costituta dal Nord America, dove non c’è la consuetudine della raccolta dei funghi spontanei e dove anche la coltivazione è meno rilevante.

Tornando all’Italia, se i funghi freschi coltivati sono quasi totalmente di produzione italiana, nel 2020 abbiamo importato 56 mila tonnellate di funghi conservati, sott’olio, in salamoia e congelati, mentre le importazioni di funghi essiccati, per lo più porcini, sono stimabili in 800 tonnellate l’anno. I funghi sono composti per oltre il 90 per cento di acqua: per ottenere un etto di funghi essiccati si utilizza grosso modo un chilo di prodotto fresco. La totalità di questo genere di prodotti è importato (alcune denominazioni “made in Italy” sono possibili in quanto la lavorazione è in aziende italiane): Cina, Polonia, Romania, Paesi Bassi e Spagna sono i principali paesi fornitori.

Quest’anno, spiega Nicola Sitta, esperto micologo e docente, i prodotti europei sono stati più economicamente competitivi rispetto a quelli cinesi: «È una anomalia, dovuta al cambio sfavorevole dell’euro col dollaro, all’aumento dei prezzi dei container, ma soprattutto alla enorme produzione della Romania, che ha abbassato i prezzi dei prodotti europei».

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Per quel che riguarda i funghi freschi spontanei, circa il 90-95 dei prodotti in vendita arriva dall’estero. La raccolta italiana è totalmente insufficiente a rispondere alla richiesta ed è fortemente regolata, per cui viene spesso esaurita per il consumo personale, la vendita al dettaglio a livello molto locale, il rifornimento di ristoranti. Raramente arriva alla grande distribuzione e solo nelle fasi di grande abbondanza (che fanno scendere i prezzi) sui mercati. In realtà esistono in Italia anche dei «cercatori professionisti» che rivendono a clienti abituali, racconta Angelo Giovinazzo: «Hanno permessi speciali che permettono loro di raccogliere tutto l’anno e senza limiti di peso. Per ottenerli bisogna superare degli esami e costano di più di quelli normali». I normali permessi hanno prezzi variabili: vanno dai 30 euro l’anno del Piemonte ai 30 ad uscita di Liguria ed Emilia.

Per quel che riguarda i funghi freschi non è necessaria l’indicazione della provenienza, anche se esiste un parere della Comunità Europea del 2017 che invita i paesi membri ad adeguare le leggi per renderla obbligatoria. Un adeguamento è sollecitato da molti operatori del settore per evitare indicazioni false di provenienza (spesso sui mercati i funghi vengono spacciati come italiani).

Quelli che compriamo abitualmente al mercato o nei supermercati particolarmente forniti arrivano soprattutto da Romania, Bulgaria, Slovenia, Serbia e Croazia, ma anche dal Nord Europa. Nelle fasi dell’anno in cui in Europa i funghi spontanei sono più rari si ricorre a prodotti sudafricani: il trasporto e la conservazione dei prodotti freschi sono ovviamente una questione maggiormente problematica quando aumentano le distanze.

Funghi porcini di denominazione “di Borgotaro IGP” (ANSA)

Il fungo ampiamente più richiesto è il porcino, nome scientifico Boletus edulis: il prezzo può variare fra i 15 e i 30 euro al chilo, a seconda della qualità e delle quantità disponibili sul mercato. Più spesso quelli raccolti localmente costano fra i 25-30. Ma nelle grandi città, lontano dai punti di raccolta, i prezzi possono arrivare anche al doppio, tanto che con una pratica discutibile vengono talvolta indicati al mezzo chilo. Nella vendita locale e per i ristoranti poi può contare anche la dimensione: gli esemplari più piccoli sono ricercati per essere conservati interi sott’olio. Un’altra variabile è legata alla freschezza del prodotto, che è di difficile conservazione: la quotazione del fungo è destinata a scendere quanto più ci si allontana dal momento in cui è stato effettivamente raccolto.

La grande popolarità dei porcini ha portato a provare a elaborare metodi di coltivazione, che sono però molto complessi, prevedono tempi lunghi e non danno risultati certi. La coltivazione può avvenire solo attraverso la micorizzazione, una tecnica che consiste nel trasferire in un terreno le radici del fungo e creare un rapporto di simbiosi con altre piante, di solito castagni e querce. Esistono poi tentativi sperimentali di coltivazione di porcini in serra.

Chi vuole vendere funghi spontanei deve prima di tutto ottenere un certificato di idoneità al riconoscimento, rilasciato dalla ASL (azienda sanitaria locale). I funghi devono essere divisi in cassette suddivise per specie, indicata con il nome scientifico, e non è possibile venderli quando parzialmente o totalmente rovinati: ogni cassetta deve ottenere dalla ASL un certificato che indichi l’avvenuto controllo di tutti i funghi da parte degli Ispettorati Micologici. Questi ispettorati sono in quasi ogni provincia, con maggiore presenza nelle zone più interessate dalla raccolta: in Piemonte, per esempio, sono 25, in Toscana oltre 30.

Una tavola del 19° secolo che mostra i funghi commestibili (Hulton Archive/Getty Images)

Quest’anno per lunghe fasi della stagione, soprattutto in primavera e all’inizio dell’estate, le vendite di prodotti spontanei italiani sono state molto ridotte perché le nascite dei funghi erano rare. Le alte temperature arrivate già in tarda primavera e le poche precipitazioni hanno limitato il numero di funghi soprattutto nei boschi dell’arco alpino.

Nicola Sitta dice: «In realtà gli effetti della siccità saranno più gravi sui tartufi. I funghi, anche dopo una siccità prolungata, dopo una pioggia consistente possono far registrare “buttate” molto importanti». È quello che è successo nel mese di ottobre soprattutto nell’area appenninica e del centro Italia, dove si registrano grandi nascite, ma anche in Calabria, Basilicata e Campania. L’annata ha fatto registrare anche una produzione superiore alla media di Amanita Caesarea, conosciuta come “ovulo buono”. Le segnalazioni delle nascite vengono condivise da appassionati e “fungaioli” su chat private, blog e siti specializzati: Funghimagazine ha oltre 600 membri attivi in tutta Italia. Incrociando le loro indicazioni con i dati sulle precipitazioni compone tabelle aggiornate e approfondite, provincia per provincia, zona per zona, con indicazioni sulla possibilità di trovarli.

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