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  • Lunedì 10 ottobre 2022

Le proteste in Iran resistono alla repressione

Vanno avanti ormai da più di tre settimane e si sono allargate soprattutto grazie alla partecipazione di studenti e studentesse

Una moto della polizia e un bidone della spazzatura messi a fuoco nel centro di Teheran (AP Photo)
Una moto della polizia e un bidone della spazzatura messi a fuoco nel centro di Teheran (AP Photo)
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In Iran le proteste per la morte della 22enne Mahsa Amini, avvenuta in carcere dopo che era stata arrestata perché non indossava correttamente il velo islamico, vanno avanti ormai da più di tre settimane nonostante la forte repressione. Sono proteste del tutto eccezionali in un paese come l’Iran, governato da un regime teocratico profondamente autoritario e conservatore: inizialmente molti avevano pensato che a causa di queste condizioni non sarebbero potute durare più di qualche giorno, o che avrebbero perso vigore in breve tempo. Invece si sono man mano allargate, soprattutto grazie al coinvolgimento di studenti e studentesse: prima delle università, ma di recente anche delle scuole superiori.

Il governo sta cercando di minimizzare gli avvenimenti e di far circolare meno informazioni possibili: sabato e domenica però sono comunque circolati molti video che mostrano come stiano continuando in decine di città, nonostante numerosi tentativi di repressione da parte delle forze dell’ordine con gas lacrimogeni e manganellate. Diversi gruppi per i diritti umani sostengono inoltre che la polizia abbia sparato sui manifestanti (il governo nega).

La versione del governo è che la dimensione delle proteste sia esagerata dai media occidentali, mentre in realtà si tratterebbe solo di piccoli raduni che si dissolvono immediatamente all’arrivo della polizia. Lo stesso governo però ha anche sostenuto che le proteste siano organizzate e sostenute dai “nemici dell’Iran” esterni al paese, come gli Stati Uniti – dandogli quindi indirettamente un certo peso – e ha accusato i manifestanti di aver ucciso almeno 20 membri delle forze di sicurezza.

Il regime sta anche interrompendo a più riprese internet nel paese e imponendo blocchi ad alcuni social network come Instagram: sia per evitare che vengano diffusi video delle proteste o che mostrano le violenze delle forze di sicurezza, sia per tagliare i contatti tra i gruppi di manifestanti.

Sabato la TV di stato iraniana è stata hackerata per alcuni secondi mentre trasmetteva la Guida Suprema del paese Ali Khamenei – la principale carica religiosa e politica dell’Iran – impegnato in una riunione con alcuni funzionari statali: al posto di quelle immagini è stata trasmessa una schermata con la faccia di Khamenei in fiamme e all’interno di un mirino, mentre sotto scorrevano i volti di alcuni dei manifestanti uccisi in queste settimane. La voce in sottofondo diceva «unisciti a noi e sollevati».

Sempre sabato, il presidente Ebrahim Raisi ha fatto visita a un’università femminile di Teheran, la capitale, per inaugurare l’anno accademico, e ha posato in una foto con molte studentesse cercando di mostrare una situazione tranquilla e sotto controllo. Nel mentre però le proteste sono continuate, sia a Teheran che in altre città.

Il presidente iraniano Ebrahim Raisi, al centro, con le studentesse dell’università Al-Zahra di Teheran (EPA/IRANIAN PRESIDENTIAL OFFICE)

Nelle ultime settimane il centro delle manifestazioni si è spostato soprattutto nelle università e nelle scuole superiori.

Domenica le forze di sicurezze iraniane hanno arrestato diversi studenti e studentesse prelevandoli direttamente dalle scuole e portandoli via in furgoni senza targa. Ci sono testimonianze di famiglie che cercano di impedire ai figli di andare a scuola per evitare che vengano arrestati, e di altre che dicono di non avere più notizie di un figlio o di una figlia adolescente.

Al termine di un incontro con il governo e con il presidente Raisi, il viceministro dell’Interno Seyed Mirahmadi ha detto che l’obiettivo degli arresti è arrivare in breve tempo a processi e condanne, in modo da disincentivare la partecipazione alle proteste.

Allo stesso tempo però il ministro dell’Istruzione iraniano, Mohammad Mahdi Kazem, ha negato che siano avvenute espulsioni da scuola forzate o arresti di studenti. Nel Kurdistan iraniano, la regione di cui era originaria Mahsa Amini e in cui le proteste erano iniziate, sono state chiuse tutte le scuole e le università.

Secondo l’organizzazione non governativa Iran Human Rights, che ha sede a Oslo, in Norvegia, dall’inizio delle proteste sono state uccise almeno 185 persone, tra cui 19 minori.

Le proteste erano iniziate subito dopo la morte di Mahsa Amini, lo scorso 16 settembre, e sono diventate in breve tempo qualcosa di molto più grande, trasformandosi in un’occasione per manifestare il dissenso contro il regime teocratico che governa l’Iran.