Una pianta che si pensava estinta dai tempi di Nerone forse non è estinta

Un farmacologo turco dice che forse ha trovato il silfio, che gli antichi greci usavano come medicinale e i romani come spezia

Un terreno recintato in Cappadocia, in Turchia, dove cresce la Ferula drudeana (Mahmut Miski/Plants)
Un terreno recintato in Cappadocia, in Turchia, dove cresce la Ferula drudeana (Mahmut Miski/Plants)
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Può darsi che la prima pianta di cui l’umanità abbia documentato l’estinzione non sia davvero estinta. È l’ipotesi di un farmacologo dell’Università di Istanbul, Mahmut Miski, specializzato in farmacognosia, lo studio dei medicinali ricavati direttamente da piante e funghi. Miski ritiene che una rara erba dai fiori gialli che cresce ai piedi del monte Hasan, in Cappadocia, potrebbe essere il silfio, che nell’antica Grecia veniva usato come rimedio per vari malesseri e che nell’antica Roma era molto rinomato come spezia.

È citato in molti testi antichi, tra cui Storia naturale di Plinio il Vecchio, una specie di enciclopedia scritta nel I secolo d.C. in cui si dice: «Il laserpicio è una pianta straordinaria, che i greci chiamano silfio. Cresce nella provincia della Cirenaica [una regione della Libia] e la sua resina, chiamata laser, è molto usata come medicinale e viene venduta allo stesso prezzo dell’argento. Da molti anni tuttavia non si trova più in Cirenaica, perché i contadini di quelle terre pensano che sia più profittevole farci pascolare le pecore. A memoria di questa generazione un unico stelo è stato trovato lì e venne mandato all’imperatore Nerone».

Un recente articolo del National Geographic scritto da Taras Grescoe e dedicato alle ricerche di Miski racconta che gli antichi provarono a coltivare il silfio, ma senza successo. E stando agli scritti di Ippocrate, il medico noto per il giuramento tuttora in uso, i tentativi di portare alcune piante in Grecia per farle crescere anche lì fallirono.

Sappiamo più o meno che aspetto avesse il silfio grazie alle sua rappresentazioni sulle monete usate in Cirenaica, e abbiamo qualche informazione su come venisse usato dai romani in cucina grazie a L’arte culinaria di Marco Gavio Apicio, un cuoco vissuto tra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.: la  resina del silfio, il laser citato da Plinio il Vecchio, e le sue radici sono citate in dozzine delle 475 ricette del libro.

Antiche monete della Cirenaica che mostrano rappresentazioni del silfio, in un’immagine pubblicata in un articolo di Mahmut Miski pubblicato nel 2021 sulla rivista scientifica Plants

Ricerche del silfio tanto citato nei testi antichi vennero condotte a partire dal Medioevo e nel tempo gli storici giunsero alla conclusione che potesse trattarsi della prima specie – animale o vegetale – di cui fosse stata documentata l’estinzione. Ma c’è stato e c’è chi pensa che invece il silfio sia ancora in circolazione.

Dall’Ottocento a oggi quattro diverse piante sono state prese in considerazione. Il finocchio gigante di Tangeri (Ferula tingitana) somiglia molto alle piante sulle monete antiche, però è stato scartato perché contenendo ammoniaca è di fatto immangiabile. Il basilisco comune (Cachrys ferulacea) ha i frutti a forma di cuore (questo ♥︎) come quelli del silfio, ma che dato che si trova comunemente sia in Italia che in Grecia non può essere una pianta nota per crescere solo in una regione del Nord Africa. E la Margotia gummifera, pur somigliante, è priva di valore come pianta medicinale.

La quarta candidata è una pianta a rischio di estinzione in cui Mahmut Miski si imbatté sotto al monte Hasan nel 1983, quando era un giovane ricercatore. Miski stava studiando le piante del genere Ferula, che è noto per le sue proprietà medicinali, per questo chiese l’aiuto di due ragazzini, figli di agricoltori locali, allo scopo trovarne in quella zona.

I due lo portarono in un prato isolato da vecchi muretti di pietra che impedivano al bestiame di pascolare. Al suo interno crescevano alti e spessi steli di una pianta dai fiori gialli produttrice di una resina dal sapore pungente. Il farmacologo fece qualche ricerca e scoprì che la pianta era stata descritta nella letteratura scientifica una sola volta, nel 1909, e che le era stato dato il nome di Ferula drudeana.

(Mahmut Miski/Plants)

Ricerche successive dimostrarono che nelle radici di questa pianta si trovano 30 diverse sostanze che hanno varie proprietà, tra cui alcune antinfiammatorie e contraccettive: Miski ha detto al National Geographic che vi si trovano in una quantità tale che è come se la Ferula drudeana fosse una combinazione di mezza dozzina di importanti piante medicinali.

Solo nel 2012 tuttavia il farmacologo cominciò a notare le somiglianze tra la pianta e l’antico silfio, di cui aveva letto in vecchi testi di botanica, e cominciò a indagare. Ha condiviso i risultati dei suoi studi in un articolo pubblicato nel 2021 sulla rivista scientifica Plants.

La Ferula drudeana ha radici tozze, simili a quelle del ginseng, uno stelo da cui si allungano grappoli di fiori quasi sferici, foglie simili a quelle del sedano e frutti a forma di cuori invertiti, tutte caratteristiche comuni al silfio. Di questo Plinio il Vecchio scrisse che compariva improvvisamente dopo grandi temporali, e in Cappadocia la Ferula drudeana spunta generalmente dopo le piogge di aprile.

E come il silfio, la Ferula drudeana è difficile da trapiantare: i collaboratori di Miski sono riusciti a farla crescere in serra solo utilizzando una tecnica contemporanea che prevede di esporre i semi a condizioni simili a quelle invernali.

Non si può tuttavia dire che la Ferula drudeana sia il silfio perché mancano prove definitive: servirebbe trovare resti biologici dell’antica pianta in siti archeologici (ad esempio tra le merci trasportate da navi antiche affondate) per dimostrarlo.

Peraltro, se le due piante fossero la stessa, non c’è una spiegazione certa su come avrebbe fatto a passare dalla Cirenaica alla Cappadocia. L’ipotesi di Miski è che alcuni semi vennero portati nella regione turca circa duemila anni fa dai greci che l’hanno abitata per secoli. «Dato che hanno bisogno di dieci anni per maturare, è possibile che chi li piantò poi se ne dimenticò», ha spiegato a Taras Grescoe.

Alcuni studiosi ritengono che l’ipotesi di Miski sia verosimile, altri sono scettici. Alain Touwaide, uno storico specializzato in piante mediche dell’antichità, ha detto a Grescoe che secondo lui la presenza dei greci in Cappadocia da sola non basta a convincerlo.

In attesa di prove più convincenti Miski ha testato le qualità gastronomiche della Ferula drudeana con l’aiuto di Sally Grainger, una cuoca laureata in storia antica che sperimenta le tecniche di cucina dei romani e in passato le ha mostrate sul suo canale YouTube. Grainger, peraltro autrice di una traduzione in inglese di L’arte culinaria di Apicio, ha provato a riprodurne alcune usando la Ferula drudeana nell’Orto botanico di Istanbul: il risultato è piaciuto sia a lei che a Miski.