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  • Domenica 2 ottobre 2022

Alle elezioni in Bulgaria potrebbe non vincere nessuno

Per la quarta volta in un anno e mezzo: e della confusione politica potrebbe approfittare il presidente, vicino alla Russia

Boiko Borisov nel 2017 (AP Photo/Vadim Ghirda)
Boiko Borisov nel 2017 (AP Photo/Vadim Ghirda)
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Domenica si tengono in Bulgaria le quarte elezioni generali in meno di un anno e mezzo: secondo i sondaggi, per l’ennesima volta nessun partito potrebbe essere in grado di formare un governo stabile. La situazione è particolarmente delicata perché il paese – che ha quasi 7 milioni di abitanti – si trova nel pieno di una controversia sulla gestione delle riserve energetiche: il governo ad interim nominato per portare il paese alle elezioni in pochi mesi ha riavvicinato la Bulgaria alla Russia e rinnegato le politiche filo europee e filo occidentali del governo precedente. Questo ha fatto dell’approvvigionamento e del costo dell’energia – e del posizionamento internazionale del paese – una delle più importanti e controverse questioni della campagna elettorale.

Le divisioni tra i partiti sono così accentuate che potrebbe essere molto difficile formare un governo, e alcuni analisti prevedono che sarà necessario indire ulteriori elezioni (le quinte, probabilmente a inizio 2023). In questa confusa situazione ad approfittarne è stato finora il presidente del paese, Rumen Radev, che è piuttosto vicino alla Russia. Benché la Bulgaria sia una repubblica parlamentare, in queste situazioni di instabilità politica la costituzione affida al presidente grossi poteri: Radev li sta utilizzando appieno, e negli ultimi mesi si è trasformato nella figura politica di gran lunga più potente del paese.

L’ultimo governo eletto era stato espresso nel novembre del 2021: era risultato vincitore “Noi continuiamo il cambiamento” (PP), un partito europeista e liberale che si era formato soltanto pochi mesi prima e che era guidato da Kiril Petkov, un economista laureato ad Harvard che aveva promesso di liberare la Bulgaria dagli enormi problemi di corruzione che avevano caratterizzato i governi degli anni passati.

Petkov era diventato primo ministro e aveva formato un governo di coalizione che aveva adottato una decisa politica europeista e occidentale: tra le altre cose, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, la Bulgaria si era rifiutata di pagare il gas russo in rubli, e ad aprile del 2022 era stata uno dei primi paesi europei a subire un’interruzione completa delle forniture.

Kiril Petkov (AP Photo/Valentina Petrova)

Il governo Petkov si era però messo al lavoro per trovare delle alternative: si era accordato con gli Stati Uniti per l’invio di sette navi cisterna di gas naturale liquefatto (LNG), aveva avviato colloqui per nuove forniture dall’Azerbaijan e soprattutto aveva completato, dopo molti anni d’attesa, la costruzione di un gasdotto con la Grecia, che collegava la Bulgaria al Mediterraneo senza bisogno di passare per lo stretto del Bosforo.

A giugno del 2022 il governo Petkov era caduto a causa di dissidi interni alla sua traballante coalizione, e a quel punto era intervenuto il presidente Rumen Radev, che aveva nominato un nuovo governo ad interim di sua scelta per portare il paese alle elezioni del 2 ottobre. Radev, che è un politico ambizioso e considerato vicino alla Russia, aveva nominato come primo ministro Galab Donev, che formalmente era un indipendente ma che di fatto aveva rinnegato tutte le politiche europeiste di Petkov e stava cercando di riavvicinare la Bulgaria alla Russia.

Donev aveva rinunciato alle forniture di LNG dagli Stati Uniti, aveva di fatto impedito per mesi l’apertura del gasdotto con la Grecia (benché da tempo fosse pronto a funzionare e riempito di gas), e soprattutto aveva annunciato la riapertura di negoziati con l’azienda russa Gazprom, per tornare a ricevere forniture di gas russo.

Le misure di Donev hanno provocato un notevole scontento in Bulgaria, ma nessun partito sembra davvero in grado di poter approfittare della situazione.

Secondo i sondaggi, il primo partito è Cittadini per lo sviluppo europeo della Bulgaria (GERB), con circa il 26 per cento dei voti. GERB è il partito di Boyko Borisov, che è stato primo ministro dal 2014 al 2021 ma la cui immagine pubblica è stata gravemente compromessa da accuse di corruzione, connivenza con la criminalità organizzata e razzismo, tra le altre cose. GERB dovrebbe risultare il primo partito anche con un certo margine, ma proprio a causa della terribile reputazione di Borisov nessun altro partito si è reso disponibile a formare un governo con lui, e anche dopo le elezioni sarà difficile trovare alleati.

In seconda posizione nei sondaggi c’è “Noi continuiamo il cambiamento”, il partito dell’ex primo ministro europeista Petkov, che però ha circa il 18 per cento dei consensi e difficilmente avrà forze sufficienti per formare una coalizione.

Dietro c’è tutta una serie di partiti che i sondaggi danno tra il 9 e il 12 per cento: Coalizione per la Bulgaria (BSP), che è un cartello elettorale dominato dal Partito socialista bulgaro, di centrosinistra ma vicino alla Russia; il partito antieuropeista e filorusso Vazrazhdane e il Movimento per i diritti e le libertà (DPS), un partito a base etnica che raccoglie soprattutto i voti della minoranza turca.

Il presidente bulgaro Rumen Radev (AP Photo/Valentina Petrova)

In questo contesto, formare un governo rischia di essere praticamente impossibile. Se fosse così, spetterebbe di nuovo al presidente Radev nominare un governo di sua scelta, cosa che però lo renderebbe ancora più influente.

L’eccezionale instabilità politica sta provocando un forte senso di sfiducia nella popolazione, che già negli scorsi anni aveva protestato in massa contro la corruzione. «Due terzi dei bulgari dicono che dovrebbe esserci un governo dopo le elezioni e al tempo stesso quasi due terzi di loro non crede che ci sarà», ha detto a Reuters Boryana Dimitrova, un’analista dell’agenzia di sondaggi Alpha Research. Alle ultime elezioni l’affluenza è stata piuttosto bassa, poco più del 40 per cento.