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  • Domenica 2 ottobre 2022

Il Brasile sceglie fra Lula e Bolsonaro

Il primo è favorito e potrebbe vincere senza bisogno del ballottaggio, ma c'è preoccupazione per come il secondo prenderebbe una sconfitta

Manifesti elettorali per le presidenziali di domenica in Brasile (AP Photo/Eraldo Peres)
Manifesti elettorali per le presidenziali di domenica in Brasile (AP Photo/Eraldo Peres)
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Domenica saranno quasi 150 milioni i brasiliani chiamati a eleggere il nuovo presidente, 27 degli 81 senatori, tutti e 513 membri della Camera dei deputati e tutti i 27 governatori degli stati del paese. L’elezione più attesa è quella presidenziale, con due candidati principali: il presidente uscente Jair Bolsonaro, di estrema destra, e l’ex presidente di sinistra Luiz Inácio Lula da Silva. Nel caso in cui nessuno dei candidati arrivasse al 50 per cento nel primo turno di domenica è previsto un ballottaggio per il 30 ottobre.

I due candidati hanno storie personali e idee politiche lontanissime: rappresentano parti della popolazione e visioni del futuro del Brasile molto distanti e per questo hanno dato vita a una campagna elettorale molto tesa, che fra gli ostentati colori della bandiera brasiliana (giallo e verde) e gli onnipresenti inni dei candidati è stata condizionata anche da episodi di violenza.

Lula, presidente fra il 2003 e il 2007, tornato ed essere eleggibile dopo l’annullamento della condanna per corruzione del 2017, è il favorito dei sondaggi, con circa dieci punti percentuali su Bolsonaro. La competizione aveva inizialmente undici candidati: alcuni si sono ritirati durante la campagna e nessuno sembra in grado di impensierire i due principali, con Ciro Gomes e Simone Tebet, gli altri due più popolari ed entrambi centristi, ampiamente sotto il 10 per cento nelle intenzioni di voto.

La Costituzione brasiliana, promulgata il 5 ottobre 1988 dopo la fine della lunga dittatura militare (1964-1984), stabilisce che il paese sia una repubblica presidenziale federale: il presidente esercita il potere esecutivo ed è capo del governo. La contestualità delle elezioni di almeno un ramo del parlamento, che detiene il potere legislativo, fa sì che il presidente, attraverso il proprio partito, spesso controlli anche in modo più o meno diretto l’azione legislativa.

Jair Bolsonaro, in carica dal gennaio 2019 dopo 27 anni da deputato dello stato di Rio de Janeiro, ha interpretato il ruolo accentrando molti poteri, sostituendo spesso i membri del suo governo non sufficientemente allineati e sottoponendo la democrazia brasiliana a quello che è stato definito un “forte stress”. In questa elezione ci sono timori che il presidente uscente, che ha lungamente criticato il sistema elettorale e denunciato brogli, possa non rispettare l’esito del voto, in un atteggiamento simile a quello che assunse Donald Trump negli Stati Uniti dopo la vittoria di Joe Biden.

Gran parte della campagna elettorale di Bolsonaro è stata impostata sulla denuncia di possibili frodi e sulla demonizzazione dell’avversario: Lula è stato indicato ora come “ladro”, ora come “comunista”, ora come pericolo per le confessioni religiose brasiliane.

Bolsonaro ha poi riproposto i temi della sua campagna vittoriosa del 2018: forte conservatorismo sociale, attenzione sulla sicurezza, difesa dei valori cristiani tradizionali, retorica bellicosa nei confronti delle rivendicazioni delle minoranze e della presunta “ideologia gender”. Durante i quattro anni della sua amministrazione, Bolsonaro ha abbassato le tasse per i più ricchi, ha riformato le pensioni, reso più semplice l’accesso alle armi e ridotto i budget destinati alla tutela dell’ambiente e in particolare della foresta amazzonica. Ex capitano dell’esercito, ha occupato molte delle posizioni chiave del suo governo con generali ed ex-militari.

– Leggi anche: Bolsonaro, l’esercito e il problema di accettare le sconfitte elettorali

La sua presidenza è stata caratterizzata da numerosi scandali legati alla corruzione e da continue polemiche, e ha aumentato la forte polarizzazione già presente nella società brasiliana. Bolsonaro ha gestito in maniera assai discutibile e controversa la pandemia, in cui sono morti 685.000 brasiliani (quarto bilancio più grave al mondo): è stato accusato di sottovalutare apertamente i pericoli, raccomandare soluzioni non scientifiche, cambiare quattro ministri della Sanità e dimostrarsi scettico verso i vaccini (è uno dei pochi leader mondiali non vaccinati).

Jair Bolsonaro, presidente in carica eletto con il Partito Liberale (AP Photo/Marcelo Chello)

Il ritorno sulla scena di Lula è stato accolto con sollievo dai molti critici di Bolsonaro, soprattutto perché l’ex presidente è considerato un personaggio abbastanza popolare per raccogliere le varie componenti di opposizione. Questa sarà la sesta elezione presidenziale di Lula, a distanza di 40 anni dalla sua prima sconfitta.

Lula ha 77 anni e alle spalle una storia politica lunghissima, ma prima degli scandali e dei processi è stato anche un presidente molto popolare. Il suo tasso di approvazione nel 2010, alla fine del mandato, era dell’83 per cento.

Le sue presidenze, in un periodo di forte crescita economica del Brasile, erano state caratterizzate da interventi forti ed efficaci nella lotta alla povertà e alla fame nelle fasce più povere, grazie a programmi di fondi sociali e di sostegno economico diretto come “Bolsa Familia” e “Fome Zero”.

Oggi quelle politiche di sostegno ai più poveri attraverso stanziamenti diretti di fondi (che i critici ritenevano populiste) sono state adottate anche dal rivale Bolsonaro, nel tentativo di aumentare la propria popolarità in un elettorato fedele al Partito dei Lavoratori di Lula, mentre quest’ultimo ha modificato parte dei temi della sua campagna.

Luiz Inácio Lula da Silva, candidato per il Partito dei Lavoratori (AP Photo/Bruna Prado)

Nel tentativo di intercettare un elettorato più conservatore, Lula ha scelto come vice-presidente Geraldo Alckmin, ex governatore per 12 anni dello stato di San Paolo, fervente cattolico vicino all’Opus Dei e suo avversario nelle elezioni del 2006, quando era candidato per la destra. Con questa scelta, la candidatura di Lula aspira a diventare una risposta da “fronte democratico” alla minaccia autoritaria di Bolsonaro, come dimostra l’appoggio ricercato e dichiarato di otto diversi ex-candidati alla presidenza.

In campagna elettorale Lula ha detto di voler aumentare i fondi destinati ai programmi sociali e gli interventi di finanziamento delle banche pubbliche, di aspirare a rendere più flessibile il limite di spesa e di deficit dello stato, di voler tornare a investire in programmi di controllo e difesa dell’ambiente nella regione amazzonica, specialmente nella repressione delle attività di deforestazione illegale. Altre proposte riguardano il riacquisto da parte dello stato di alcune raffinerie di petrolio cedute a Petrobras (compagnia petrolifera privata brasiliana), ma anche l’uscita dall’isolamento diplomatico, riallacciando rapporti nella regione: le vittorie di Gabriel Boric in Cile e Gustavo Petro in Colombia potrebbero creare un’alleanza progressista in Sudamerica, che il Brasile di Lula vorrebbe guidare.

– Leggi anche: Che storia ha Lula

Secondo i sondaggi, i temi più sentiti dall’elettorato sono quelli economici: la situazione internazionale e l’immissione di denaro per sostenere l’economia brasiliana dopo la fase acuta della pandemia hanno portato a un consistente aumento dell’inflazione che sta mettendo in difficoltà soprattutto i più poveri. Negli interessi degli elettori seguono le istanze sociali, come la lotta alla fame e alla povertà, la salute pubblica e la lotta alla corruzione.

Lula ha fra i suoi punti di forza l’appoggio convinto delle fasce della popolazione meno abbienti (che sono anche le più numerose) in particolare dell’area nordest del paese, dove è nato e dove ha operato prima come sindacalista e poi come politico. Questa è anche l’unica regione dove nel 2018 non vinse Bolsonaro, che invece è forte negli stati meridionali e in particolare in quello di San Paolo.

Durante la campagna, Lula ha cercato di avvicinarsi al crescente elettorato evangelico: in Brasile la Chiesa evangelica pentacostale è in forte crescita, è la confessione di circa il 30 per cento della popolazione, ed è per lo più animata da una visione politica molto conservatrice. Gli evangelici sono infatti una delle componenti forti dell’elettorato del presidente uscente, che nel 2019 affidò il ministero della Famiglia e dei Diritti umani alla pastora Damares Alves, che ha posizioni omofobe e antiabortiste.

Bolsonaro ha invece un problema con l’elettorato femminile, che è il 52 per cento del totale: le posizioni apertamente misogine del presidente, nonché una concezione retrograda del ruolo della donna, gli hanno inimicato una gran parte dell’elettorato femminile: oggi nei sondaggi il 51 per cento delle donne dice di sostenere Lula, contro il 29 per cento a favore di Bolsonaro.

Il voto nelle elezioni è obbligatorio in Brasile e nel 2018 la partecipazione fu dell’80 per cento. Domenica si eleggono anche i governatori (sono previsti gli eventuali ballottaggi) e 513 deputati, oltre a 27 senatori, che possono disporre di fondi particolari per i loro stati. La composizione del parlamento è fondamentale per qualsiasi presidente eletto, come dimostra la destituzione del 2016 della presidente Dilma Rousseff: il processo di impeachment iniziò nella Camera dei deputati per l’accusa di aver truccato i dati sul deficit di bilancio (accusa rivelatasi falsa due anni dopo).

Negli ultimi sondaggi le preferenze verso i candidati “minori” Gomes e Tebet sembrano assottigliarsi a favore dei due principali, aumentando le possibilità di Lula di essere eletto al primo turno: i sondaggisti hanno fatto crescere le possibilità di questo esito dal 15 al 30 per cento. Una vittoria di questo tipo renderebbe più complesso per Bolsonaro contestare la legittimità del processo di voto.