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  • Mercoledì 28 settembre 2022

Bolsonaro, l’esercito e il problema di accettare le sconfitte elettorali

Questi tre elementi stanno creando molte tensioni in Brasile, dove domenica prossima si vota per eleggere il nuovo presidente

Il presidente Jair Bolsonaro, a sinistra il capo delle forze armate Marco Antônio Freire Gomes, e a destra il ministro della Difesa Paulo Sergio Nogueira (AP Photo/Eraldo Peres)
Il presidente Jair Bolsonaro, a sinistra il capo delle forze armate Marco Antônio Freire Gomes, e a destra il ministro della Difesa Paulo Sergio Nogueira (AP Photo/Eraldo Peres)
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Domenica in Brasile si voterà per eleggere il nuovo presidente: i due principali candidati sono il presidente uscente Jair Bolsonaro, populista e di destra, e l’ex presidente di sinistra Luiz Inácio Lula da Silva. La campagna elettorale è stata finora molto tesa e violenta, e uno dei temi più dibattuti è stata la volontà o meno di Bolsonaro di accettare e riconoscere una sua eventuale sconfitta (i sondaggi danno Lula avanti di dieci punti percentuali).

In questi mesi, infatti, Bolsonaro si è rifiutato in più occasioni di assicurare che rispetterà il risultato delle elezioni. Tra le altre cose, ha messo in discussione il sistema di voto e ha denunciato la possibilità di brogli legata all’uso di sistemi elettronici: ha sostenuto che tutte le precedenti elezioni, compresa quella in cui era stato eletto, siano state truccate (a suo parere nel 2018 avrebbe dovuto vincere al primo turno). Sarebbero stati truccati anche i sondaggi degli ultimi mesi: Bolsonaro ha quindi concluso che se la sua vittoria non arriverà al primo turno vuol dire che «è successo qualcosa di strano».

Il rifiuto di Bolsonaro di riconoscere una eventuale sconfitta è stato paragonato all’atteggiamento che ebbe Donald Trump prima e dopo le ultime elezioni presidenziali statunitensi, vinte da Joe Biden ma il cui esito elettorale non fu mai riconosciuto come legittimo da Trump. Uno dei risultati di quel processo fu l’attacco al Congresso del 6 gennaio 2021 compiuto dai sostenitori del presidente uscente, le cui ripercussioni giudiziarie, oltre che politiche, sono ancora in corso. Bolsonaro è sostenitore di Trump e i due sono sempre stati alleati: la preoccupazione ora è che in Brasile possa succedere qualcosa di simile a quanto successo negli Stati Uniti.

I timori sono anche dovuti al fatto che in Brasile, paese da oltre 212 milioni di abitanti, le strutture democratiche sono meno solide rispetto a quelle statunitensi, ma non solo: Bolsonaro ha sottolineato più volte negli ultimi mesi di avere rapporti consolidati con l’esercito, e non è chiaro che ruolo vorranno avere i militari in caso di disordini post-elettorali.

Le forze armate in Brasile contano quasi 400.000 membri e nella storia del paese hanno già realizzato un colpo di stato (nel 1964) che portò a un regime militare durato fino al 1985. Oggi più di seimila membri attivi o riservisti dell’esercito hanno ruoli nell’amministrazione pubblica dello stato gestito da Bolsonaro, compreso un numero di rappresentanti nell’esecutivo superiore anche a quello dei tempi della dittatura. Il vicepresidente e alcuni ministri sono generali, mentre altri militari guidano importanti imprese di stato. L’Ufficio del controllore generale federale, che però non ha potere sulle forze armate, ha detto di recente che oltre 2.300 militari occupano impieghi pubblici per cui non sono qualificati o per cui sono retribuiti in modo eccessivo.

Il legame fra le forze armate e Bolsonaro è anche ideologico: oltre alle convergenze sui principi di ordine e conservatorismo, il presidente ha recentemente proposto una protezione legale per gli agenti incriminati per aver ucciso dei sospetti. Ha inoltre garantito un’indipendenza quasi totale all’esercito, su cui invece il Partito dei Lavoratori di Lula aveva cercato di esercitare un controllo, con la nomina di un ministro della Difesa non proveniente dall’esercito.

Non è chiaro però quale sia la reale compattezza dell’esercito nell’appoggiare Bolsonaro.

Nel marzo 2021 i vertici di esercito, marina e aviazione si dimisero in segno di protesta per la sostituzione dell’allora ministro della Difesa, il generale Fernando Azevedo e Silva, con il più “allineato” Walter Braga Netto, ora candidato alla vicepresidenza. In queste settimane il successore di quest’ultimo alla Difesa, il generale Paulo Sérgio Nogueira, ha ripetutamente cercato di sostenere la tesi, che non ha basi legali, secondo cui l’esercito sia un’autorità di supervisione elettorale e che possa definire metodi di votazione e di conteggio.

Un momento della parata a Copacabana (AP Photo/Silvia Izquierdo)

Il 7 settembre Bolsonaro ha festeggiato il bicentenario dell’indipendenza del Brasile con una parata militare a Rio de Janeiro in cui i paracadutisti sono atterrati sulla spiaggia di Copacabana e l’aviazione ha sorvolato la città: i festeggiamenti istituzionali si sono mescolati e confusi con un comizio elettorale. Bolsonaro ama mostrare di avere l’appoggio delle forze armate e in passato ha anche sostenuto che le stesse non avrebbero «appoggiato decisioni assurde» da parte della Corte Suprema o del parlamento.

Lo scenario di un coinvolgimento dei generali per contestare un eventuale risultato sfavorevole del voto o per bloccare il passaggio di potere viene comunque ritenuta meno probabile rispetto a più prevedibili episodi di violenza causati dai sostenitori di Bolsonaro.

In Brasile più di 45 politici sono stati uccisi nei primi sei mesi del 2022, ci sono stati episodi di violenza fra opposti sostenitori e il presidente ha più volte “scherzato” sull’opportunità di «sparare ai supporter di Lula». Durante il suo mandato è anche molto aumentata la diffusione di armi nel paese: grazie a un ammorbidimento delle regole per ottenerle il numero di armi private è raddoppiato, salendo a due milioni.

Un Bolsonaro gonfiabile che fa il gesto della pistola a un raduno del “Movimento nazionale per le armi libere” (AP Photo/Eraldo Peres)

La retorica di Bolsonaro è una delle principali cause della radicalizzazione dello scontro politico in Brasile. Durante un comizio di qualche mese fa ha detto: «Ci sono solo tre alternative per me: vincere, essere arrestato o essere ucciso. E vi assicuro che non andrò mai in prigione». Con un uso intenso e molto efficace dei social media, Bolsonaro e il suo staff stanno poi procedendo a una specie di “demonizzazione” dell’avversario: Lula è presentato come un candidato che porterà il Brasile al comunismo, che chiuderà le chiese, trasformerà il paese in un narco-stato e incoraggerà i ragazzi a vestirsi da donna.

Il richiamo alla fede è una delle altre costanti del messaggio politico di Bolsonaro, che ha fra i suoi principali sostenitori la chiesa evangelica pentecostale, confessione ultra-conservatrice in grande crescita in Brasile, oggi abbracciata dal 32 per cento della popolazione.

Le forze sociali che in Brasile potrebbero continuare ad appoggiare Bolsonaro se il presidente si mettesse a capo di un regime autoritario esistono, ma sono ritenute comunque minoritarie. La radicalità di alcune affermazioni dello stesso Bolsonaro, in particolare quelle sui brogli alle elezioni, sembra avere creato un effetto opposto a quello desiderato. Per questo nelle ultime settimane il presidente ha ridotto l’intensità dei suoi attacchi al sistema elettorale, per concentrarsi su metodi di propaganda più tradizionali, come l’approvazione di aiuti economici (equivalenti a 7,5 miliardi di euro) per parte delle fasce più povere (componente importante dell’elettorato di Lula) e per tassisti e camionisti, categorie in larga parte sue sostenitrici.

I tentativi di rimonta non sembrano però finora avere avuto successo, almeno a giudicare dai sondaggi.

– Leggi anche: La tesa e violenta campagna per le elezioni in Brasile