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  • Sabato 17 settembre 2022

Perché l’alluvione nelle Marche ha causato così tanti danni

Oltre ai limiti delle previsioni meteo e del sistema di allerta, ci si chiede come si sarebbero potute prevenire le esondazioni dei fiumi

senigallia
Una strada di Senigallia invasa dal fango (Guido Calamosca/LaPresse)
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La grave alluvione avvenuta nelle Marche nella notte tra giovedì e venerdì ha causato undici morti ed enormi danni a infrastrutture e case. I vigili del fuoco continuano a cercare due persone disperse. I feriti sono circa cinquanta e già da venerdì mattina sono iniziate le operazioni per mettere in sicurezza strade e ponti, gravemente danneggiati dalla potenza dell’acqua. Secondo l’ultimo aggiornamento della prefettura di Ancona, le persone sfollate sono 150, di cui la maggior parte a Senigallia, il comune dove sono stati segnalati i danni più gravi.

Oltre ai soccorsi e all’assistenza alle persone costrette a stare fuori di casa, in questa fase si sta anche cercando di capire cosa sia successo, e come mai un’alluvione abbia causato così tanti morti e danni.

Gli esperti sono al lavoro per analizzare i dati e capire se sarebbe stato possibile prevedere un evento di questa gravità, ma ci si interroga anche sull’efficacia del sistema di allerta meteo della Protezione civile e su cosa sia stato fatto da Regione e comuni negli ultimi anni per limitare l’impatto di eventi estremi. Dalle prime verifiche, sembra che in tutti e tre i casi ci siano state valutazioni approssimative ed errori.

I dati dicono che la perturbazione che ha interessato le Marche è stata notevole: a Cantiano, nella provincia di Pesaro e Urbino, sono caduti 420 millimetri di pioggia dalle 15 alle 22.30; a Barbara, in provincia di Ancona, 127 millimetri dalle 15 alle 22.45, a Scheggia e Pascelupo, in provincia di Perugia, 182 millimetri e a Senigallia 5,6. Il livello dei fiumi e dei torrenti si è alzato moltissimo nel giro di poche ore: il Misa è passato da 0,21 metri a 5,31 nel giro di un’ora e mezza. Secondo la Protezione civile, in poche ore è caduto oltre un terzo della pioggia che normalmente cade in queste zone nel corso di un anno.

Bernardo Gozzini, esperto di clima e di meteo, direttore del centro Lamma-Cnr, ha detto al Corriere della Sera che nelle Marche si sono verificate le condizioni per un temporale chiamato V-shaped, cioè a forma di V e alimentato in continuazione da correnti d’aria umida. I modelli di previsione meteo, dice Gozzini, consentono di capire con una certa attendibilità cosa succederà nel giro di qualche ora, ma al momento è molto complicato capire con precisione dove e quando questi fenomeni accadranno.

«Grazie ai modelli che abbiamo, basati su algoritmi ed equazioni che vengono usate in tutto il mondo, possiamo vedere oggi su domani che ci sono gli ingredienti che potrebbero portare a un temporale molto forte, ma ho difficoltà a sapere dove e quando. Questo è un livello di incertezza legato al modello», ha detto. In particolare giovedì era stato previsto un certo fenomeno, ma gli strumenti a disposizione non hanno consentito di prevedere con precisione il suo impatto.

Questi limiti, comunque noti da anni, hanno avuto conseguenze decisive sul sistema di allerta della Protezione civile, basato su un bollettino diffuso per avvertire sindaci e abitanti di possibili situazioni di pericolo: si va dall’allerta verde (quando non c’è nessuna criticità), a quella gialla (criticità ordinaria), poi a quella arancione (criticità moderata) e infine a quella rossa (criticità elevata).

Secondo i sindaci delle zone interessate dall’alluvione, giovedì non sarebbero stati informati correttamente della gravità di quanto stava per succedere in quanto nel bollettino diffuso, in allerta di colore verde e giallo, non era stata segnalata nessuna indicazione che facesse pensare a una pioggia ingente.

– Leggi anche: Cosa non ha funzionato nel sistema di allerta meteo nelle Marche

Serviranno molti approfondimenti anche per capire le condizioni delle infrastrutture e dei corsi d’acqua esondati, principali responsabili dell’alluvione. Dalle prime verifiche sembra che negli ultimi anni le amministrazioni che si sono succedute non abbiano commissionato sufficienti interventi di prevenzione, nonostante un’alluvione simile il 3 maggio del 2014 avesse causato 4 morti e 180 milioni di euro di danni.

Il cantiere per realizzare nuove vasche di laminazione, che servono a contenere l’acqua in eccesso in caso di esondazioni, è iniziato soltanto lo scorso febbraio nonostante del progetto si discutesse da anni. «Il bacino del fiume Misa, piccolo e stretto, è molto sensibile e vulnerabile a questi eventi», ha detto Andrea Dignani, geologo-geomorfologo fluviale, consulente scientifico del WWF, che da anni è impegnato in un lavoro di analisi del territorio marchigiano. «In questi anni non è stato gestito il reticolo idrografico minore, mi riferisco in particolare ai fossi e agli affluenti del Misa. Sull’alveo del Misa sarebbero state utili le aree di laminazione diffuse per laminare le piene prima di arrivare al centro di Senigallia. Infine una migliore gestione delle aree agricole con piccoli bacini di raccolta delle acque meteoriche e laghetti collinari utili anche per i periodi siccitosi».

Queste indagini non possono tuttavia trascurare le condizioni climatiche che in Italia, come in tutto il mondo, hanno reso molto più probabili questi eventi, in passato considerati estremi.

Come dimostrano le alluvioni, la siccità e gli incendi, questi eventi non possono essere più considerati eccezionali e anche se è complesso ricondurre un singolo evento al cambiamento climatico, moltissimi studi scientifici hanno accertato che alluvioni molto gravi come quella che ha colpito le Marche saranno più frequenti.

«All’alba del XXI secolo le catastrofi naturali non esistono più, esistono gli eventi naturali che diventano catastrofici solo per causa nostra», ha scritto sulla Stampa Mario Tozzi, geologo e divulgatore scientifico. «Dunque dovevamo e dobbiamo aspettarci fenomeni di questo genere anche fuori dalle regioni che un tempo li subìvano e anche fuori dalle stagioni canoniche».