La procura di Baltimora ha chiesto di annullare la condanna contro Adnan Syed, reso famoso dal podcast “Serial”

Adnan Syed (Credit Image: © Karl Merton Ferron/The Baltimore Sun/TNS via ZUMA Press Wire via ANSA)
Adnan Syed (Credit Image: © Karl Merton Ferron/The Baltimore Sun/TNS via ZUMA Press Wire via ANSA)

Mercoledì, negli Stati Uniti, la procuratrice di Baltimora Marilyn Mosby ha chiesto l’annullamento della condanna all’ergastolo decisa nel 2000 contro l’allora 17enne Adnan Syed, incriminato per avere ucciso la sua ex ragazza Hae Min Lee nel 1999 a Baltimora. La procuratrice ha dunque chiesto un nuovo processo. Syed si è sempre dichiarato innocente, e negli ultimi anni – grazie soprattutto al lavoro degli autori di Serial, un podcast di giornalismo investigativo che nel 2014 raccontò la storia di Syed, ottenendo enorme successo – erano emerse diverse irregolarità nell’indagine e nel processo che portò alla sua condanna. Per questo è da tempo che gli avvocati di Syed e gli attivisti che lo sostengono chiedono una revisione del processo.

È proprio quello che ha chiesto mercoledì la procuratrice di Baltimora, che in un comunicato ha detto: «Dopo un’indagine durata quasi un anno in cui sono stati riesaminati i fatti al centro di questo caso, Syed merita un nuovo processo in cui sia adeguatamente rappresentato e in cui possano essere presentate le prove più recenti». Mosby ha anche fatto sapere che le indagini puntano su altre due persone sospettate di aver ucciso Hae Min Lee nel 1999, e che sembra siano note alla polizia da allora (per ora non ne sono stati diffusi i nomi).

La tesi degli avvocati di Syed è che all’epoca del primo processo il loro assistito non fu difeso nel migliore dei modi dal suo avvocato di allora, Cristina Gutierrez, che era molto malata e sarebbe morta nel giro di pochi anni per sclerosi multipla. Già nel 2016 un tribunale di Baltimora aveva garantito a Syed la possibilità di ottenere un nuovo processo. La decisione era stata confermata dalla Corte di appello del Maryland, ma era stata poi ribaltata a marzo del 2019 da un’altra sentenza. Il caso era finito anche alla Corte suprema statunitense, che si era rifiutata di esaminarlo nuovamente.

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