I primi incontri tra la CEI e le vittime dei preti pedofili non sono andati bene
Un rappresentante delle vittime spiega perché contesta le modalità dell'inchiesta sugli abusi in Italia voluta dal cardinale Zuppi
Il presidente della Conferenza Episcopale Italiana Matteo Zuppi e il portavoce della rete “L’Abuso – Associazione di sopravvissuti agli abusi sessuali del clero” Francesco Zanardi si sono incontrati due volte, riservatamente, nel corso dell’estate. Gli incontri, che in alcuni momenti sono stati anche piuttosto turbolenti, sono avvenuti nella sede dell’Arcidiocesi di Bologna dopo che Zanardi, in una conferenza stampa del 22 maggio, aveva rivolto domande piuttosto pressanti al cardinale sulle modalità scelte dalla CEI per condurre le indagini sui casi di abusi sessuali commessi da sacerdoti in Italia.
Nei loro due incontri il cardinale e il portavoce dell’associazione L’Abuso sono stati in disaccordo su punti precisi riguardo alle modalità dell’indagine. Zanardi contesta l’intenzione della CEI di non prevedere risarcimenti economici alle vittime di abusi, e il fatto che verranno presi in considerazione, al contrario di ciò che è avvenuto in altri paesi, solo i casi degli ultimi venti anni. Mette poi in discussione l’indipendenza di chi avrà il compito di esaminare i dati raccolti, e i provvedimenti che la Chiesa progetta di prendere nei confronti dei responsabili dei casi di abusi riconosciuti.
È soprattutto su questo ultimo punto che i toni del confronto tra Zuppi e Zanardi si sono alzati: «il cardinale», dice Zanardi al Post, «ha paragonato il prete pedofilo a un tossicodipendente che non deve essere condannato a vagare per le strade a vita. Ha così fatto riferimento alla mia storia personale, ma anche a quella di tante vittime di abusi che sono diventati tossicodipendenti o alcolisti o vivono gravi depressioni. È un paragone improponibile, la tossicodipendenza si cura, la pedofilia è tutta un’altra cosa».
Nella conferenza stampa in cui aveva ricevuto le domande incalzanti di Zanardi, Zuppi aveva parlato di una “via italiana” alla questione della pedofilia della Chiesa, e cioè di un’indagine che sarebbe stata condotta in maniera diversa rispetto a quanto avvenuto in altri paesi, come Germania e Francia. In un’intervista data al Corriere della Sera, il presidente della CEI aveva detto di voler procedere in modo diverso anche perché, per esempio, giudicava l’inchiesta francese non particolarmente attendibile: «sulla ricerca in Francia mi hanno mandato tre inchieste di universitari che demoliscono il lavoro della commissione».
L’Italia è l’ultimo grande paese storicamente cattolico in cui la Chiesa ha deciso di indagare sugli abusi nei confronti di minori da parte dei preti. Ma lo farà, accusa Zanardi, «con un metodo utile unicamente alla Chiesa italiana per continuare a evitare, anche di fronte alle evidenze emerse in tutto il mondo, un ennesimo scandalo, il più grande visto in quanto l’Italia ospita il numero più alto al mondo di religiosi».
Per comprendere quale sia l’importanza di un’inchiesta in Italia sugli abusi nella Chiesa è utile prendere in considerazione alcune stime realizzate dal giornalista irlandese Mark Vincent Healy che, in assenza di un dato italiano, sulla base di quelli emersi nelle ricerche delle commissioni governative di inchiesta effettuate in tutto il mondo ha fatto una stima. Suggerisce che la portata degli abusi in Italia potrebbe essere la più grande. Papa Francesco ha sostenuto, durante un’intervista con Eugenio Scalfari, che la percentuale di preti pedofili sul totale è di circa il 2%; secondo una ricerca americana realizzata alla fine degli anni Novanta sarebbe invece del 4%, mentre al termine della celebre inchiesta giornalistica “Spotlight” del Boston Globe la percentuale stimata fu del 6%. L’Australian Royal Commission ritiene che in Australia i preti pedofili siano il 7% del totale.
Secondo Healy, in base a queste percentuali, «l’Italia rischia di superare il numero segnalato di vittime di abusi sessuali su minori da parte di religiosi rispetto a quello di qualsiasi altro paese dell’Unione Europea». In base a queste stime, che non sono appunto dati verificati, i preti colpevoli di abusi in Italia sarebbero mille nell’ipotesi più ottimista e quasi 4mila nell’ipotesi più pessimista.
Non è solo L’Abuso a contestare il modo in cui la Chiesa italiana sta procedendo. Anche il coordinamento ItalyChurchToo, che riunisce le associazioni che si battono contro gli abusi nella Chiesa cattolica in Italia, ha definito carenti i punti su cui si fonda la cosiddetta “via italiana” illustrata dal cardinale Zuppi.
Il presidente della CEI ha spiegato che è in corso di realizzazione un report nazionale sulle attività di prevenzione e formazione e sui casi di abuso segnalati o denunciati alla rete dei Servizi diocesani e interdiocesani negli ultimi due anni (2020-2021). Inoltre, si sta svolgendo un’altra ricerca, su un periodo temporale più ampio, dal 2000 al 2021, in collaborazione con la Congregazione per la Dottrina della Fede.
Il problema, fa notare la rete L’Abuso, è che vengono presi in considerazione solo i casi segnalati negli ultimi vent’anni alla Congregazione della Dottrina della Fede, escludendo totalmente quelli invece denunciati alla giustizia civile. «Si tratta», spiega Zanardi, «a volte solo di segnalazioni dei vescovi in cui spesso manca anche la vittima. Sono documenti incompleti, senza quei dettagli che servono in realtà a individuare con certezza e chiaramente un caso di abuso».
Per quanto riguarda il report sui casi denunciati agli Sportelli diocesani d’ascolto negli ultimi due anni, si tratta di poche denunce: «il 70-80% delle persone che subiscono abusi non si rivolge alla Chiesa, non arriva quindi agli Sportelli diocesani, costituiti nel 2019» dice Zanardi. «Le vittime spesso vengono sottoposte a un ostracismo tale che si tirano indietro. In quegli sportelli non ottengono risarcimenti, spesso nemmeno processi e l’allontanamento del prete. La denuncia rimane tra l’altro riservata perché, è stato detto da parte delle istituzioni della Chiesa, bisogna evitare giustizialismo e gogna mediatica. È giustissimo, ma in qualche modo bisogna pur far capire che quel determinato prete è pericoloso».
Quello dei risarcimenti è un altro punto molto contestato da parte delle associazioni delle vittime. Nel loro incontro, secondo quanto riferisce Zanardi, il cardinale Zuppi ha sostenuto che se venissero stabiliti risarcimenti la Chiesa fornirebbe un incentivo a denunciare e qualcuno sarebbe spinto unicamente a cercare profitto. In passato peraltro nemmeno i governi italiani si sono dimostrati sensibili all’argomento, come è invece avvenuto in altri paesi.
In Svizzera per esempio è stato stabilito che non ci sia prescrizione per reati di pedofilia. Quando venne presa la decisione, nel 2015, visto che la legge non poteva essere retroattiva, fu stabilita una finestra di sei mesi entro la quale potevano essere presentate denunce anche per abusi subiti prima dell’entrata in vigore della norma. A quel punto furono le stesse istituzioni ecclesiastiche a contattare le vittime offrendo risarcimenti per evitare denunce e processi.
I dati che verranno raccolti dai servizi diocesani e dalla Congregazione per la dottrina della fede saranno esaminati da ricercatori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza specializzati in economia, statistica, sociologia e con esperienza specifica in analisi di policy children safeguarding, cioè in politiche di tutela dei minori. Ma le associazioni delle vittime di abusi non ritengono indipendente l’Università Cattolica. Per statuto, le università cattoliche sono regolate dal Codice di Diritto Canonico, dalla Costituzione Apostolica Ex Corde Ecclesiae, dalle norme applicative delle Conferenze episcopali e dagli statuti interni di ciascuna istituzione. Il cardinale Zuppi ha risposto all’obiezione spiegando che però i professori e gli esperti che esamineranno i dati sono laici e non sacerdoti. «Stipendiati però dall’università Cattolica», commenta Zanardi.
Un altro punto per il quale la cosiddetta via italiana viene contestata dalle associazioni è la natura stessa dei 23 centri di recupero “per sacerdoti in difficoltà” presenti in Italia. Secondo Zanardi, queste strutture sono inadeguate perché autonome e gestite dal clero: «È giusto che si punti al recupero di queste persone. Ma a differenza di un carcere o di una residenza detentiva domiciliare, il controllo è affidato alla struttura. Ovvero nessun controllo di polizia, il detenuto non è isolato, entra ed esce chi vuole in quanto la struttura non è un vero luogo di detenzione, ha altri ospiti con problemi differenti, che ricevono visite e non sono tenuti alle restrizioni di chi è in stato detentivo».
Le due relazioni sugli abusi nella Chiesa in Italia saranno rese note a novembre. La CEI ha fatto sapere al Post che i lavori stanno procedendo e che non intende replicare alle accuse di Zanardi.
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