È vero che le sanzioni alla Russia non stanno funzionando?

Lo sostiene da tempo Matteo Salvini, secondo cui starebbero danneggiando solo l'Occidente: ma le cose non stanno proprio così

di Mariasole Lisciandro

Protesta a Londra contro i rincari delle bollette (Rob Pinney/Getty Images)
Protesta a Londra contro i rincari delle bollette (Rob Pinney/Getty Images)

Durante il dibattito tra i leader dei principali partiti politici italiani che si è tenuto a Cernobbio nel fine settimana, il capo della Lega Matteo Salvini ha mostrato una serie di slide con dati e articoli di giornale (tra cui questo dell’Economist) per sostenere che le sanzioni che l’Occidente ha imposto alla Russia per l’invasione dell’Ucraina non starebbero funzionando. Anzi, ha detto Salvini, starebbero danneggiando proprio quei paesi che le hanno imposte, e per questo l’Unione Europea dovrebbe ripensarle. Non è la prima volta che Salvini sostiene una cosa del genere: lo aveva già detto nei giorni precedenti, mostrando di fatto una grande differenza tra la Lega e il resto della coalizione di destra: Fratelli d’Italia e Forza Italia hanno infatti ribadito a Cernobbio la loro posizione atlantista, cioè in linea con l’Occidente e con la NATO.

È vero che la guerra in Ucraina e le sanzioni imposte alla Russia stiano creando conseguenze rilevanti in tutto il mondo, come la grave crisi energetica in Europa, ed è anche vero che la Russia stia oltremodo guadagnando dai rincari di gas e petrolio. Ma allo stesso tempo le sanzioni stanno avendo conseguenze estremamente negative sull’economia russa e il discorso è molto più complicato di come ha sostenuto Salvini.

Quali sanzioni occidentali gravano sulla Russia
L’Occidente ha adottato varie sanzioni contro la Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina. L’Unione Europea ha approvato ben sette “pacchetti” di sanzioni, l’ultimo è dello scorso 21 luglio.

Le sanzioni sono grosso modo catalogabili in quattro tipologie.

La prima riguarda le sanzioni individuali contro membri dell’élite russa e del governo, e contro i cosiddetti oligarchi. Consistono nel divieto di viaggio nei territori da cui arrivano le sanzioni e nel congelamento dei beni presenti in quei territori e appartenenti alle persone colpite, come conti correnti, immobili e yacht. L’obiettivo è di compromettere lo stile di vita di queste persone, ma anche di infliggere loro seri danni economici.

Sono state sanzionate dall’Unione Europea oltre 1200 persone, tra cui anche il presidente russo Vladimir Putin e il ministro degli Esteri Sergei Lavrov, con misure eccezionali e straordinarie.

Un secondo tipo di sanzioni comprende quelle commerciali. Riguarda il divieto di esportazione in Russia di varie tecnologie, come microprocessori, software e varie tecnologie militari che renderanno difficile per l’esercito russo aggiornare e potenziare le proprie capacità. È stata anche vietata l’esportazione di tecnologie che riguardano la raffinazione e la fornitura del petrolio. Sono sanzioni che hanno un notevole potenziale e potrebbero danneggiare vari settori dell’economia russa, ma richiedono molto tempo per far sentire davvero il loro effetto.

C’è poi il divieto di importazione di petrolio, che gli Stati Uniti hanno adottato subito mentre in Unione Europea c’è voluto un po’ di più e non sarà operativo fino a inizio 2023.

Un terzo tipo di sanzioni comprende quelle misure che hanno ridotto lo spostamento di persone e merci da e verso la Russia, come il divieto di sorvolo di tutti gli aerei russi su Stati Uniti e Unione Europea, e la chiusura dei porti all’intera flotta mercantile russa.

Infine, ci sono le sanzioni che colpiscono il sistema finanziario. L’Unione Europea, gli Stati Uniti e vari altri paesi hanno adottato misure specifiche per limitare l’accesso di alcune banche russe ai mercati finanziari occidentali.

Tra le altre cose c’è stato il blocco di SWIFT, la piattaforma di comunicazione usata dalla maggior parte degli istituti bancari per gestire vari servizi e transazioni internazionali. L’esclusione delle banche russe ha comportato forti rallentamenti nell’esecuzione di moltissime operazioni fondamentali. Unione Europea e Stati Uniti hanno escluso da SWIFT dieci grosse banche russe, con l’eccezione di Gazprombank, per consentire ai paesi europei di continuare i pagamenti di gas e petrolio russi, che l’Europa continua ad acquistare nonostante la guerra in corso.

I governi di Europa e Stati Uniti hanno poi annunciato il blocco totale delle transazioni della Banca centrale russa, congelando anche tutte le riserve di denaro che deteneva all’estero presso altre banche centrali o istituzioni. Disporre di riserve in valuta estera contribuisce, tra le altre cose, a mantenere stabile il tasso di cambio della valuta di un paese. A febbraio le riserve internazionali della Russia ammontavano a 643 miliardi di dollari. A causa del divieto di effettuare transazioni da Stati Uniti, Unione Europea e altri paesi, si stima che più della metà delle riserve russe sia congelata.

Di conseguenza, la Russia non le può utilizzare per fornire fondi alle sue banche e limitare così gli effetti di altre sanzioni.

Quali sono stati gli effetti sull’economia russa
C’è una cosa da tenere a mente, prima di tutto. Dall’inizio della guerra la Banca centrale russa e la Rosstat, l’agenzia di statistica russa, hanno smesso di pubblicare alcuni dati e non è chiaro se quel poco che pubblicano sia affidabile o se si pieghi a scopi di propaganda. Le grandi istituzioni internazionali hanno fatto rientrare i propri studiosi ed economisti. I dati che circolano, quindi, sono molto più incerti.

Quando la Russia ha invaso l’Ucraina la sua economia ha iniziato a andare parecchio male.

Il rublo, la moneta russa, ha perso istantaneamente il 30 per cento del suo valore contro il dollaro, il mercato finanziario russo ha registrato perdite talmente grosse che è stato chiuso per settimane. Le aziende occidentali hanno chiuso le loro succursali nel paese: è stata eclatante la chiusura degli 850 ristoranti di McDonald’s, la catena di fast food americana che ha rappresentato per anni il simbolo dello stile di vita dell’Occidente. Già prima dell’inizio della guerra le aziende avevano cominciato a disinvestire: gli ultimi dati disponibili sono del primo trimestre dell’anno e mostrano un deflusso di investimenti diretti pari a 15 miliardi di dollari.

Le sanzioni hanno messo in grave difficoltà le imprese che continuano a operare sul territorio. Queste aziende non possono più importare materie prime dai paesi sanzionatori e allo stesso tempo non possono più vendere loro le proprie merci, una condizione che ha portato a un calo della produzione industriale. Gli ultimi dati di Rosstat si riferiscono a luglio e mostrano un calo dello 0,5 per cento rispetto all’anno prima (un dato tutto sommato contenuto, ma come detto non è chiaro quanto questi numeri siano affidabili).

Gli stessi dati dicono che su ventiquattro settori presi in esame nella manifattura, 18 hanno subito un calo nella produzione: si va dal 3,6 per cento del settore alimentare fino al quasi 60 di quello automobilistico. Il governo russo fa quello che può per sostenere le imprese, ma è di fatto impotente di fronte all’abbandono delle aziende occidentali e agli embarghi sulla tecnologia che bloccano i processi produttivi. Gli unici settori che prosperano sono legati alla guerra, come la siderurgia e la farmaceutica. Ma anche nel caso delle armi, la Russia non può prodursele tutte da sola e per aggirare le sanzioni si è dovuta rivolgere a un paese isolato come la Corea del Nord.

Nonostante i dati sull’economia russa non abbondino, si può però riportare qualche aneddoto per far capire come stiano andando le cose.

La compagnia aerea russa Aeroflot ha iniziato a smontare i suoi aerei che coprivano tratte extra nazionali per trovare pezzi di ricambio. A causa della mancanza di auto occidentali, Yandex, il più diffuso servizio di taxi, ha dovuto rifornirsi di auto Lada, prodotte in Russia e considerate meno comode e sicure, chiedendo un aumento delle forniture. Ma la produzione ormai è ferma e almeno dieci grandi aziende automobilistiche si sono bloccate, un pessimo segnale dato che questo settore è uno degli indici più affidabili su come stia andando l’economia.

L’ultimo rapporto del Consiglio europeo sulle sanzioni mette insieme alcuni dati della Banca mondiale sull’economia russa: il PIL dovrebbe calare dell’11 per cento nel 2022, il tasso di inflazione ha raggiunto il 22 per cento (circa il doppio rispetto ai paesi occidentali, anche se la Rosstat ha stimato il 14,5% di inflazione in agosto), le importazioni e le esportazioni si sono ridotte di oltre un terzo a causa delle sanzioni.

Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha parlato di una riduzione del PIL pari solo al 2,9 per cento per quest’anno, che lascia spazio a un «moderato ottimismo». Anche qui, non è chiaro quanto questa stima sia affidabile e quanta propaganda ci sia dietro. Bloomberg ha avuto accesso a un documento confidenziale che individua tre scenari di calo del PIL nel 2022: -2,9 per cento nel migliore dei casi, -3,5 in uno scenario intermedio e -4,2 in caso di eventi molto avversi. In ogni caso – dice il documento – l’economia non tornerà a crescere prima del 2025, ipotizzando lo scenario migliore. Se le cose dovessero andare davvero male, nel 2030 la Russia sarebbe ancora in recessione.

È innegabile però che la Russia stia reagendo meglio di quanto previsto all’inizio della guerra. Il Fondo monetario internazionale prevede una riduzione del PIL russo del 6 per cento quest’anno, contro la sua precedente stima di aprile di un calo dell’8,5 per cento.

Anche il rublo si è ripreso del tutto dopo il forte calo iniziale. Con l’inizio della guerra e l’imposizione delle prime sanzioni, come il blocco delle riserve di valuta all’estero, il valore del rublo rispetto al dollaro si era ridotto di oltre il 30 per cento. La Banca centrale russa non poteva attingere alle sue riserve per difendere la valuta, quindi ha alzato i tassi di interesse per fermare il calo, dal 9,5 al 20 per cento. Questa manovra, insieme a tutto il resto, ha spinto la Russia in recessione. Ma ci sono volute solo poche settimane prima che il rublo tornasse a salire, consentendo alla Banca centrale russa di ridurre rapidamente i tassi fino all’8 per cento, valore inferiore a quello precedente l’invasione.

E questo ha indicato una grossa falla nei piani dell’Occidente: è vero che la Russia non poteva difendere la sua valuta usando le riserve bloccate dalle sanzioni, ma ha comunque ottenuto valuta estera grazie alle notevoli quantità di petrolio e gas che ha continuato a esportare, pur cambiando in parte destinatari.

Perché le sanzioni sembrano meno efficaci del previsto
Innanzitutto, per dire se le sanzioni siano efficaci oppure no bisogna chiarire qual è il loro l’obiettivo.

Quello di breve termine, almeno all’inizio, era di creare una crisi di liquidità in Russia, che le avrebbe reso difficile finanziare la guerra in Ucraina e il sostegno che il governo avrebbe dovuto fornire all’economia per evitare una recessione. Nel lungo termine, l’obiettivo è di compromettere la capacità produttiva e tecnologica della Russia, così da ridurre le risorse che in futuro Putin potrebbe usare per continuare ed estendere la guerra, magari ad altri paesi. Inoltre, le sanzioni, se efficaci, funzionano anche da deterrente generale verso tutti quei paesi che potrebbero avere in mente di iniziare una guerra.

La Russia quest’anno sarà in recessione, e questo è innegabile, ma secondo l’Economist sono tre i motivi per cui l’economia russa non è ancora in una condizione catastrofica.

Il primo riguarda le politiche economiche che sono state attuate finora. Putin ha delegato queste decisioni ai tanti economisti della Banca centrale russa, che hanno preso tutte le misure necessarie per prevenire le conseguenze più pesanti dell’invasione, come il raddoppio dei tassi di interesse e il controllo dei capitali.
Il secondo ha a che vedere con la storia economica russa. Questa è la quinta crisi economica che la Russia deve affrontare nel giro di 25 anni, dopo quelle del 1998, 2008, 2014 e 2020. La popolazione russa è quindi in un certo senso abituata alle difficoltà economiche e si sa adattare con relativa facilità.
Inoltre, l’economia russa è molto più isolata rispetto ai paesi occidentali, che al contrario sono fortemente interconnessi. Nel 2019 gli investimenti diretti stranieri valevano circa il 30 per cento del PIL, contro una media globale del 49 per cento. Solo lo 0,3 per cento dei lavoratori russi lavorava in una multinazionale americana, contro una media del 2 per cento negli altri paesi avanzati. L’essere ulteriormente isolata dalla comunità internazionale non ha quindi avuto un effetto dirompente, perché di fatto la Russia era un paese già più isolato rispetto agli altri. E anche a livello di materie prime, energetiche e non, è piuttosto autonoma.
Il terzo motivo riguarda proprio l’energia. A causa della forte dipendenza europea dal gas e dal petrolio russo, le sanzioni hanno avuto un effetto limitato su questo fronte.
Le esportazioni di petrolio della Russia hanno contribuito lo scorso anno per il 36 per cento al suo bilancio federale. Gli Stati Uniti non importano più petrolio russo, ma ne compravano già poco, mentre l’impegno europeo di interrompere gli acquisti di petrolio non sarà effettivo prima dell’inizio dell’anno prossimo.

Allo stesso tempo la Russia ha aumentato notevolmente le forniture verso la Cina e l’India, col risultato che il prezzo del greggio è aumentato tantissimo in questi sei mesi di guerra. E al momento nessun embargo è previsto sul gas russo, che è più difficile da sostituire e porta circa il 10 per cento delle entrate fiscali. Con i proventi dalle esportazioni di energia, la Russia sta continuando a finanziare le sue importazioni e la guerra, pagando armi e soldati.

Quindi, la crisi di liquidità che si sperava di ottenere nel breve termine non si è verificata ed è difficile che la vedremo presto se l’Unione Europea non smetterà di comprare del tutto gas e petrolio dalla Russia. Se per esempio si interrompessero gli acquisti di gas, secondo un rapporto della banca HSBC citato dalla Stampa, le entrate fiscali russe in un anno diminuirebbero di sette miliardi di dollari. Ma non è né facile né immediato, anche se l’Unione Europea ci sta lavorando.

Sempre secondo l’Economist, le sanzioni più efficaci sono i divieti all’esportazione di tecnologia alla Russia, che sono quelle di cui si discute meno anche perché ci mettono molto tempo a produrre effetti.

È vero che la Russia è molto isolata su vari fronti, ma ha molto bisogno della tecnologia occidentale. Nonostante l’embargo ci metta del tempo prima di compromettere l’economia russa, alcuni effetti ci sono già. A maggio la Russia ha dovuto allentare gli standard di sicurezza per consentire la produzione di auto senza airbag e sistemi antibloccaggio. Ha avuto enormi difficoltà nel lancio del 5G a causa della mancanza di dispositivi tecnologici. Yandex, una società tecnologica russa, sta facendo fatica a espandere i data center. La carenza di chip sta anche ostacolando l’emissione di nuove carte di pagamento.