L’evoluzione ha prodotto anche i draghi di mare

Simili ai cavallucci marini, questi pesci australiani hanno corpi ancora più bizzarri e non sappiamo ancora bene come mai

Un dragone foglia nel Birch Aquarium di La Jolla, in California, fotografato dall'utente Pderby (Wikimedia Commons)
Un dragone foglia nel Birch Aquarium di La Jolla, in California, fotografato dall'utente Pderby (Wikimedia Commons)
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Nei mari dell’Australia meridionale vivono piccoli pesci singolari chiamati draghi di mare: sono simili ai cavallucci marini, e come loro hanno un muso a forma di cannuccia, ma lungo il corpo hanno una serie di propaggini che li fanno somigliare ad alghe galleggianti nella corrente. Ne esistono tre specie, di cui due meno appariscenti per le propaggini ma molto colorate (Phyllopteryx dewysea e Phyllopteryx taeniolatus), e una terza che invece si è guadagnata il nome di “dragoni foglia”.

Secondo la classificazione scientifica, i draghi di mare appartengono alla stessa famiglia dei cavallucci marini con cui condividono la “gestazione” maschile: i maschi delle specie infatti trasportano in una sacca del proprio corpo le uova fecondate fino a che non si schiudono. Le loro peculiari protuberanze non vengono usate nel nuoto, ma servono probabilmente per permettere loro di mimetizzarsi tra le alghe.

Di recente un gruppo di ricerca dell’Università dell’Oregon ha cercato di capire quali caratteristiche genetiche ne siano responsabili, per comprendere meglio questi animali, e i risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences.

Inizialmente i ricercatori avevano ipotizzato che i draghi di mare avessero qualche particolarità nei geni legati ai fattori di crescita dei fibroblasti, proteine coinvolte nei processi di proliferazione di molte cellule e tessuti, fondamentali tra le altre cose per lo sviluppo dei denti.

Contrariamente alle previsioni, tuttavia, è emerso che nei draghi di mare manchino molti dei geni normalmente associati con la crescita. Nel loro DNA ci sono invece molti trasposoni, porzioni ripetitive di genoma capaci di spostarsi sia in posizioni diverse dello stesso cromosoma sia su cromosomi differenti, e così di evitare che certi geni esprimano caratteristiche dell’individuo. È possibile che i trasposoni c’entrino in qualche modo con l’assenza dei geni legati ai fattori di crescita, e con la forma del corpo dei draghi di mare, ma serviranno maggiori studi per confermarlo o meno.

Lo studio del DNA dei draghi di mare potrebbe aiutare a capire come preservarne le tre specie, che sono rare da trovare in natura ed è difficile far vivere e riprodurre negli acquari. Gli effetti del cambiamento climatico sugli habitat marini potrebbero peraltro modificare l’ambiente in cui vivono, cosa che rende ancora più importante capirli meglio.