Giove visto dal James Webb Space Telescope

Le nuove immagini inviate dal telescopio più potente di sempre mostrano l'atmosfera del pianeta in grande dettaglio, con le sue enormi aurore

di Emanuele Menietti

(NASA, ESA, CSA, Jupiter ERS Team; Judy Schmidt)
(NASA, ESA, CSA, Jupiter ERS Team; Judy Schmidt)
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Il James Webb Space Telescope (JWST), il telescopio spaziale più grande e potente mai realizzato, ha da poco osservato il pianeta Giove in grande dettaglio mostrando le colossali tempeste e le enormi aurore che si producono nella sua atmosfera. Le due immagini diffuse dalla NASA – che gestisce il telescopio in collaborazione con l’Agenzia spaziale europea (ESA) e con quella canadese (CSA) – sono state ottenute utilizzando lo strumento Near-Infrared Camera (NIRCam). Come suggerisce il nome, i suoi sensori sono sensibili all’infrarosso, la parte della radiazione elettromagnetica che non riusciamo a vedere perché ha una frequenza inferiore a quella della luce visibile.

Oltre a essere particolarmente spettacolari da vedere, queste immagini aiuteranno gli astronomi ad approfondire le loro conoscenze sul pianeta più grande del nostro sistema solare.

L’osservazione all’infrarosso consente di cogliere dettagli che altrimenti non potremmo vedere e che sono molto utili per studiare le caratteristiche degli oggetti spaziali. Le immagini vengono poi elaborate per essere rese visibili ai nostri occhi, utilizzando colori che consentano di mettere in evidenza particolari caratteristiche.

L’immagine di Giove che vedete qui sotto è stata ottenuta mettendo insieme vari scatti del pianeta realizzati dal JWST. Ai poli del pianeta sono visibili aurore, rese con una colorazione dal verde al rosso, che raggiungono alte quote nell’atmosfera del pianeta. È inoltre ben visibile la Grande Macchia Rossa, la tempesta che dura da almeno tre secoli e che è la più grande di tutto il Sistema solare, talmente ampia da poter contenere quasi tre pianeti delle dimensioni della Terra.

Nell’immagine, la macchia appare bianca, perché come fanno altre nubi nell’atmosfera gioviana, riflette grandi quantità di luce solare e di conseguenza appare molto luminosa nei filtri utilizzati per osservare il pianeta all’infrarosso.

(NASA, ESA, CSA, Jupiter ERS Team; Judy Schmidt)

In una seconda immagine, sono invece visibili diversi altri dettagli di ciò che si trova nei paraggi di Giove. Sono per esempio osservabili i tenui anelli del pianeta, molto meno evidenti di quelli di Saturno e con una luminosità apparente fino a un milione di volte inferiore rispetto a quella media dell’atmosfera di Giove. A maggiore distanza si possono osservare Adrastea e Amalthea, due piccole lune gioviane. I punti di luce poco luminosi sullo sfondo sono probabilmente altre galassie, che si sono intrufolate nell’immagine grazie alla loro grande luminosità.

(NASA, ESA, CSA, Jupiter ERS Team; Ricardo Hueso (UPV/EHU) e Judy Schmidt)

Le due immagini offrono in grande dettaglio nuovi punti di vista su uno dei pianeti più studiati del nostro sistema solare. Giove è il più grande e ingombrante corpo celeste nelle nostre vicinanze: sarebbero necessari 11 pianeti come il nostro messi in fila per coprire il suo diametro, e ne servirebbero 300 per ottenere una massa pari alla sua.

A differenza della Terra, Giove non è roccioso: è una gigantesca palla di gas formata per lo più da idrogeno ed elio. Considerate le sue dimensioni, gli astronomi ritengono che sia stato il primo pianeta a formarsi nel sistema solare, quando inglobò gli avanzi dei gas che avevano costituto il Sole. Giove impiega 12 anni per compiere un giro intero intorno al Sole e gira velocissimo su se stesso: un giorno dalle sue parti dura appena 10 ore.

Lanciato il 25 dicembre del 2021, il JWST ha raggiunto il proprio punto di osservazione a circa 1,5 milioni di chilometri dalla Terra in primavera, dove ha iniziato a osservare l’Universo con i suoi potenti strumenti che gli consentono di cogliere la luce emessa da fonti lontanissime, a miliardi di anni luce da noi. Il telescopio invia i dati sulla luminosità e la luce colta dai propri strumenti allo Space Telescope Science Institute (STScI), che ne effettua una prima elaborazione fornendo file che possono poi essere utilizzati dagli astronomi per i loro studi.

Un oggetto spaziale può essere osservato all’infrarosso utilizzando diversi filtri, tarati per cogliere una specifica lunghezza d’onda. Si può quindi assegnare a ogni filtro l’equivalente dei pezzetti che i nostri occhi riescono a vedere. Ciò che ha una lunghezza d’onda più lunga all’infrarosso può essere tradotto nel rosso, per esempio, mentre ciò che ha la lunghezza d’onda più corta all’infrarosso viene tradotto con il blu. In questo modo, si può prendere la radiazione da una parte dello spettro che i nostri occhi non possono vedere e spostarla nella parte a noi visibile. In un certo senso è come alzare o abbassare la tonalità di una canzone.

I gruppi di ricerca dello STScI diffondono immagini elaborate in questo modo soprattutto per scopi di comunicazione, ma gli astronomi e i semplici appassionati sono liberi di fare proprie elaborazioni, scegliendo per esempio di mettere in evidenza alcune caratteristiche rispetto ad altre, per scopi di ricerca o puro gusto estetico a seconda delle circostanze e delle necessità.