Come sono cambiati i simboli dei partiti

Rispetto agli ultimi anni sono rimasti praticamente gli stessi, con qualche piccola modifica

(ANSA/MASSIMO PERCOSSI)
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Domenica 14 agosto è scaduto il termine per presentare i simboli dei partiti che saranno presenti sulla scheda elettorale delle elezioni politiche del 25 settembre. I simboli vanno depositati alla sede centrale del ministero dell’Interno, che ha il compito di approvarli per evitare che sulla scheda finiscano richiami religiosi, doppioni di altri partiti o più in generale elementi inappropriati. Quest’anno sono stati depositati 101 simboli – che in gergo tecnico si chiamano in realtà “contrassegni” – presentati da 98 movimenti, partiti o enti diversi. Il ministero dell’Interno comunicherà martedì pomeriggio quali saranno ammessi a comparire sulla scheda elettorale.

L’approvazione del ministero non comporta automaticamente la presenza sulla scheda, che è riservata ai partiti che hanno un gruppo autonomo al parlamento o hanno ottenuto almeno l’uno per cento o un seggio alle ultime elezioni nazionali. Tutti gli altri devono raccogliere circa 56mila firme in tutta Italia. È per questa ragione che sulla scheda elettorale non vedremo i simboli dei partiti pittoreschi di cui sentiamo parlare solo nei giorni della campagna elettorale riservati al deposito del simbolo: il partito del Sacro romano impero cattolico, il movimento Basta Tasse, e così via.

Per quanto riguarda quelli che invece vedremo sicuramente, come quelli dei principali partiti, non ci sono stati grandi cambiamenti rispetto agli anni scorsi. «Si è cambiato davvero poco, quasi solo quando i partiti l’hanno ritenuto necessario», racconta Gabriele Maestri, esperto di diritto elettorale e gestore del sito I simboli della discordia, un immenso archivio di dati, immagini e informazioni sui simboli elettorali.

La Lega e Fratelli d’Italia si presentano alle elezioni con lo stesso simbolo del 2018. +Europa si è limitata ad aggiungere una sfumatura di giallo più scuro nella parte del simbolo che ospita il nome di Emma Bonino. Il Movimento 5 Stelle ha inserito sotto al proprio logo l’anno 2050, quello entro cui l’Unione Europea intende azzerare le emissioni nette inquinanti. Anche il PD ha conservato il simbolo del 2018 limitandosi ad aggiungere nella parte bassa lo slogan “Italia Democratica e Progressista” su sfondo rosso. È una modifica fatta per includere nel simbolo gli ex scissionisti di Articolo 1 – Movimento Democratico e Progressista, che alle elezioni del 2018 si presentarono separati dal PD ma che oggi sono stati quasi tutti riassorbiti nel partito.

In realtà il PD ha presentato due simboli, per motivi al momento non chiarissimi: uno che presenta la scritta Italia Democratica e Progressista in maiuscolo, che verrà usata nel territorio italiano, e uno con la scritta in minuscolo, che invece finirà sulle schede elettorali della circoscrizione Estero.

Il partito che ha modificato più visibilmente il proprio simbolo, anche se si parla di minuzie, è Forza Italia. Rispetto al 2018 ha incluso tutta la bandiera del logo nel cerchio del simbolo e ha aggiunto nella parte alta la scritta Partito Popolare Europeo, per rimarcare l’appartenenza al principale partito europeo di centrodestra. È un’operazione che di solito si fa alle elezioni per rinnovare il Parlamento Europeo. «Forse lo ha fatto per rassicurare i propri elettori sul fatto che abbia mantenuto posizioni moderate», ipotizza Maestri. In pochi, verosimilmente, ci faranno caso: per legge sulla scheda elettorale i simboli devono avere un diametro di tre centimetri, cosa che rende le scritte piccole praticamente illeggibili.

Per quanto riguarda i nuovi simboli, molti sono nati dall’esigenza di tenere insieme partiti o movimenti diversi che presentano un’unica lista per avere più possibilità di superare la soglia di sbarramento del 3 per cento – o anche solo la soglia dell’1%, che permette di conteggiare i voti all’interno della coalizione – o per essere esentati dalla raccolta delle firme, presentandosi nella stessa lista di un partito che non deve farlo. Un caso notevole è quello della lista centrista che si presenta all’interno della coalizione di destra. Al suo interno si distinguono varie immagini e ben 20 parole: Noi moderati, Noi con l’Italia, Maurizio Lupi, Italia al centro con Toti, Coraggio Italia, Brugnaro, Unione di centro e Libertas (lo storico motto della Democrazia Cristiana).

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Anche Sinistra Italiana e i Verdi a queste elezioni si presentano insieme, e si sono divisi equamente lo spazio sul simbolo. Come ogni elezione da diversi anni i Verdi – e quindi in questo caso anche Sinistra Italiana – hanno presentato anche una versione alternativa del proprio simbolo, in tedesco/ladino e in sloveno. I Verdi sono storicamente molto radicati in Alto Adige, in cui alle ultime elezioni provinciali hanno ottenuto il 6,8 per cento, e includere un simbolo in quelle lingue «è un modo per segnalare quell’esperienza e dare più attenzione a quei territori», fa notare Maestri.

Più in generale Maestri spiega che anche quest’anno si è notata la progressiva sparizione di simboli elettorali che abbiano un valore identitario, a discapito di loghi puramente grafici, nomi in grande evidenza, e colori sgargianti. È una conseguenza tutto sommato prevedibile: la presentazione del simbolo elettorale era diventata obbligatoria nel 1919 in corrispondenza del suffragio universale maschile per consentire a tutti di votare il partito prescelto, anche a chi sapeva a malapena leggere e scrivere. Fino al 1992 poi le schede elettorali erano stampate in bianco e nero. Per questo i partiti hanno adottato per decenni, come simboli, oggetti molto riconoscibili, dal fiore di garofano del Partito Socialista passando per lo scudo crociato della Democrazia Cristiana, prima che l’introduzione dei colori e una progressiva personalizzazione della politica facesse cambiare loro direzione.

Oggi i simboli che mantengono un qualche collegamento con la tradizione storica e identitaria dei partiti si ritrovano in secondo o terzo piano nei simboli veri e propri, come se fossero delle citazioni, anche perché nel frattempo il panorama politico è cambiato moltissimo. Il ramoscello di ulivo fra le parole “Partito” e “Democratico”, che ricorda il nome della principale coalizione di centrosinistra fra 1996 e 2006, è quasi invisibile. La fiamma tricolore di Fratelli d’Italia, di cui si è parlato moltissimo in questi giorni perché fu il simbolo del partito para-fascista Movimento Sociale Italiano, è l’elemento più piccolo del simbolo, sotto alle scritte Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia.

I simboli storici sopravvivono fra quelli presentati da partiti o movimenti che non hanno nessuna speranza di finire sulla scheda elettorale. «Non ho mai visto tanti scudi crociati come questa volta, mentre di simboli con la falce e il martello ce ne sono due, pochi rispetto al passato», racconta Maestri.

In passato i simboli che venivano depositati in queste occasioni erano addirittura di più: nel 2013 furono superati i duecento simboli, nonostante alla fine ne fossero arrivati sulla scheda “solo” 23 alla Camera e pochi meno al Senato. Poi però la procedura per depositare un simbolo è cambiata leggermente. «Oggi vengono richiesti più documenti», spiega Maestri, e questo ha portato a una riduzione dei simboli depositati. A questo giro si è aggiunto il fatto che a tutti i partiti che non sono presenti nel Registro nazionale dei partiti politici viene richiesta una dichiarazione di trasparenza che dev’essere certificata dal notaio: una cosa non semplicissima da reperire, a metà agosto.

Questo non ha impedito a personaggi particolari di presentarsi a Roma fra venerdì e domenica della scorsa settimana, mettersi in fila nella piazza del Viminale e compilare pile e pile di scartoffie per vedere il simbolo e il nome del proprio micropartito – fra i tanti: Movimento Poeti d’Azione, Partito della Follia creativa, Movimento tecnico nazionale per la pace, Rivoluzione sanitaria – accanto a quelli dei principali partiti.

Maestri ammette che nelle intenzioni di queste persone c’è una buona dose di protagonismo, ma anche «un personalissimo modo di partecipare a un rito democratico», quello del deposito dei simboli, minacciato ormai da anni dall’incombente e finora sventata introduzione del deposito tramite Posta Certificata, che eviterebbe di doversi presentare di persona al ministero dell’Interno, a scapito del rituale.