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  • Lunedì 1 agosto 2022

Gli Stati Uniti hanno ucciso Ayman al Zawahiri, capo di al Qaida

Il successore di Osama bin Laden è stato colpito da un drone americano a Kabul, in Afghanistan, lo scorso fine settimana

Ayman al Zawahiri, a sinistra, insieme a Osama bin Laden a Khost, in Afghanistan, nel 1998 (AP Photo/Mazhar Ali Khan, File)
Ayman al Zawahiri, a sinistra, insieme a Osama bin Laden a Khost, in Afghanistan, nel 1998 (AP Photo/Mazhar Ali Khan, File)
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In un attacco compiuto dalla CIA con un drone lo scorso fine settimana a Kabul, in Afghanistan, è stato ucciso Ayman al Zawahiri, che era diventato leader dell’organizzazione terroristica al Qaida dopo l’uccisione di Osama bin Laden, nel 2011. La notizia è stata confermata dal presidente statunitense Joe Biden, dopo che era stata anticipata da tutti i principali giornali statunitensi che avevano citato fonti proprie nel governo e nelle forze di sicurezza. Biden ha aggiunto che nessuno della famiglia di Zawahiri è stato ucciso e non ci sono state vittime civili.

L’uccisione di Zawahiri è considerata un grande successo per l’antiterrorismo statunitense, 11 mesi dopo il ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan seguito dalla conquista di Kabul da parte dei talebani. Zawahiri era infatti il più stretto collaboratore di bin Laden e uno dei leader di al Qaida che avevano progettato i più gravi attentati terroristici contro obiettivi americani nel mondo, tra cui quelli dell’11 settembre 2001 a New York e a Washington, nel quale furono uccise quasi 3mila persone.

Negli ultimi dieci anni era stato il capo indiscusso dell’organizzazione: sebbene fosse considerato molto meno carismatico di bin Laden, era stato spesso definito come il “leader intellettuale” di al Qaida e aveva dato un importante contributo nel trasformare il gruppo in una rete di cellule operative e pericolose pronte ad attivarsi in diverse parti del mondo.

– Leggi anche: La cronologia dell’intervento degli Stati Uniti in Afghanistan

Zawahiri è stato ucciso in un attacco aereo compiuto contro una casa di un importante leader talebano, Sirajuddin Haqqani, in un quartiere residenziale di Kabul frequentato anche da funzionari del governo. È un’informazione assai importante.

Da tempo infatti diversi osservatori avevano espresso dubbi sul fatto che il nuovo regime talebano non avrebbe probabilmente rispettato la promessa fatta all’Occidente di impegnarsi a tenere fuori al Qaida dal territorio afghano. Era un punto significativo dell’accordo che aveva portato al ritiro dei soldati statunitensi dall’Afghanistan lo scorso anno. Era stato infatti proprio sotto il regime dei talebani che più di due decenni fa al Qaida aveva ricevuto la protezione sufficiente per organizzare dall’Afghanistan gli attacchi dell’11 settembre, i più gravi della storia americana.

Zawahiri aveva 71 anni ed era di nazionalità egiziana. Prima di unirsi ad al Qaida negli anni Novanta, guidava già un gruppo terroristico responsabile di attacchi molto violenti e uccisioni indiscriminate di civili. Fu Zawahiri che sviluppò la teoria che sconfiggere il “nemico lontano”, gli Stati Uniti, fosse un passo indispensabile da compiere prima di affrontare il “nemico vicino”, cioè i regimi arabi filo-occidentali che nella visione di al Qaida erano l’ostacolo all’unificazione di tutti i popoli di religione musulmana sotto un Califfato globale.

Negli ultimi dieci anni, nonostante fosse rimasto importante e influente, Zawahiri non era riuscito a frenare il declino di al Qaida, che aveva perso la sua posizione predominante nel mondo jihadista globale a vantaggio dell’ISIS.