Cos’è il “diritto all’oblio oncologico”

Chi è guarito da un tumore ha spesso difficoltà con prestiti, assicurazioni e adozioni, ma un disegno di legge propone di stabilire dei limiti

Un gruppo di donne all'evento "Race for the Cure", organizzato per sostenere la lotta ai tumori al seno. Roma, 8 maggio (Cecilia Fabiano/ LaPresse)
Un gruppo di donne all'evento "Race for the Cure", organizzato per sostenere la lotta ai tumori al seno. Roma, 8 maggio (Cecilia Fabiano/ LaPresse)
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A fine giugno la Commissione Giustizia del Senato ha cominciato a esaminare un disegno di legge sul “diritto all’oblio oncologico”, che permetterebbe alle persone che sono guarite da un tumore di non fornire informazioni sulla loro malattia pregressa in determinate circostanze in cui attualmente è richiesto. Se la proposta diventerà legge – e in questo momento è molto difficile dirlo, data la crisi che ha portato alla caduta del governo guidato da Mario Draghi – contribuirà a ridurre almeno in parte i disagi che devono affrontare spesso le persone guarite da un tumore, a cui può succedere di non ottenere un mutuo, una polizza assicurativa o di non riuscire a far procedere le pratiche di adozione proprio per via della loro malattia, anche se hanno finito le cure mediche anni prima.

È un concetto che viene definito diritto all’oblio oncologico sul calco del diritto all’oblio digitale: il diritto cioè di rendere meno accessibili o nascondere online – dopo un certo periodo di tempo – notizie vere ma che possano danneggiare l’onore o le attività personali e professionali di una persona, come i suoi precedenti giudiziari. I promotori della legge chiedono che qualcosa di simile sia garantito anche a chi è stato malato di tumore ma è guarito ormai da almeno dieci anni.

Il Ddl 2548 è stato presentato a febbraio in Senato e la sua prima firmataria è Paola Boldrini, senatrice del Partito Democratico e vicepresidente della Commissione Sanità. Come ha spiegato Boldrini, in Italia le persone che convivono con una diagnosi di tumore sono 3,6 milioni, di cui circa un milione guarite, spesso dopo percorsi che prevedono interventi e terapie lunghe, complesse e sofferte.

Il problema è che chi vuole richiedere un prestito o un’assicurazione è spesso obbligato a fornire informazioni sul proprio stato di salute, usate da banche e compagnie assicurative per stimare l’aspettativa di vita del cliente e valutare il livello di rischio del prestito o della polizza. Il risultato è che in moltissimi casi, dopo una guarigione, queste richieste vengono respinte.

Non è facile stimare con precisione il numero delle persone a cui sono stati negati finanziamenti o servizi per via della loro malattia pregressa. Varie organizzazioni che si occupano di pazienti oncologici, come la Fondazione AIOM (Associazione Italiana di Oncologia Medica) e l’associazione aBRCAdabra, che sostiene in particolare le persone con mutazioni nei geni BRCA1 e 2 (collegate a un maggiore rischio di sviluppare certi tipi di tumore, tra cui quello alla mammella), hanno però detto di ricevere con frequenza testimonianze e segnalazioni di questo tipo. L’associazione aBRCAdabra, che si trova in provincia di Milano, ne ha per esempio ricevute un centinaio, «ma i numeri sono sicuramente molto più alti», ha fatto sapere.

Per molte persone guarite e per le associazioni che si occupano del tema è una forma di discriminazione, che secondo Boldrini non riguarda solo il diritto di riprendere «una vita normale», ma anche quello di formare una famiglia attraverso l’adozione. Spesso infatti adottare è l’unico modo di avere figli per le donne che dopo essere guarite da un tumore hanno problemi di fertilità o correrebbero vari rischi legati alla gravidanza. Anche se la diagnosi pregressa di un tumore non è di per sé un motivo che esclude del tutto l’adozione – un processo già di per sé lungo e complicato – può essere una delle ragioni per cui viene negata l’idoneità a diventare genitore.

 

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Attualmente i pazienti oncologici in Italia vengono considerati guariti quando hanno un’aspettativa di vita simile a chi non ha mai sofferto di un tumore. Ci sono però delle differenze sostanziali tra le diverse patologie oncologiche, spiega Ornella Campanella, presidente dell’associazione aBRCAdabra.

Generalmente, in assenza di ricadute, si è considerati guariti nel giro di cinque anni dalla fine delle terapie nel caso di tumore della tiroide, e nel giro di dieci nel caso di tumore del colon o di melanoma. Ci vogliono però anche più di 15 anni per essere considerati guariti da tumori della vescica, del rene o dai mielomi (cioè i tumori che hanno origine dal midollo osseo), e i tempi si allungano anche fino a 20 anni per alcuni tra i tumori più frequenti, come quello alla mammella e alla prostata: questo perché il rischio che la malattia si ripresenti, benché esiguo, rimane per molto tempo.

Al momento però non esistono norme né linee guida che a livello legislativo indichino con precisione quando possa essere considerata guarita una persona. Il Ddl 2548 ha l’obiettivo di far decadere l’obbligo di dichiarare di avere avuto un tumore, riconoscendo «il diritto delle persone che sono state affette da patologia oncologica a non subire discriminazioni nell’accesso all’adozione di minori e ai servizi bancari e assicurativi».

In particolare, propone che in fase di stipula di contratti di assicurazione o servizi bancari e finanziari sia vietato chiedere informazioni sullo stato di salute relativo a patologie oncologiche pregresse trascorsi dieci anni dalla fine delle cure mediche, in assenza di ricadute o recidive, e trascorsi cinque qualora la malattia si sia presentata prima dei 21 anni di età. Gli stessi diritti si estenderebbero anche all’iter delle pratiche di adozione. Per diventare legge la proposta dovrà essere prima approvata dal Senato e poi discussa alla Camera.

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Nel 2020 in tutti i paesi membri dell’Unione Europea sono stati diagnosticati 2,7 milioni di casi di tumori e sono morte 1,3 milioni di persone per cause legate a patologie oncologiche. Le autorità sanitarie dell’Unione prevedono che in assenza di grossi interventi strutturali i casi aumenteranno del 24 per cento entro il 2035, facendo diventare i tumori la prima causa di morte negli stati membri (attualmente rappresentata dalle malattie cardiocircolatorie).

Nell’ambito del “Piano europeo di lotta contro il cancro” sono stati previsti investimenti per 4 miliardi di euro da destinare a iniziative per rendere più efficace la diagnosi precoce dei tumori, ma anche per migliorare la qualità della vita dei pazienti oncologici e di chi è guarito dalla malattia, tra cui circa 300mila persone sopravvissute a tumori infantili. L’Unione ha inoltre richiesto che entro il 2025 tutti gli Stati membri garantiscano il diritto all’oblio oncologico ai propri cittadini mediante apposite leggi.

In Italia proprio il 6 luglio il Senato ha approvato all’unanimità la mozione sul Piano Oncologico Nazionale, con cui il governo si impegnerà tra le altre cose a destinare più risorse alle reti oncologiche regionali e a migliorare i percorsi di riabilitazione con il coinvolgimento di varie attività assistenziali. Resta però ancora sospesa la questione di una legge che garantisca il diritto all’oblio oncologico, che invece è già stata approvata in Francia, Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo e Portogallo.

Secondo Campanella, che fa anche parte del consiglio di amministrazione della Fondazione AIOM, la legge sul diritto d’oblio sarebbe «un cambio di paradigma sostanziale» e contribuirebbe a far superare lo stigma sociale nei confronti delle persone che sono guarite da un tumore: uno stigma che si nota sia nell’atteggiamento di «pietà e commiserazione» di molti interlocutori, sia nella «narrazione distorta del cancro» da parte dei media, che spesso utilizzano la metafora bellica («guerrieri, sconfitte, battaglie, mostri») per raccontare i tumori.

Il tumore «è un percorso», ha osservato Campanella, aggiungendo che questo percorso «deve essere guidato e sostenuto dalla società scientifica e dalla comunità», ma deve anche essere agevolato dal «riconoscimento di questa legge da parte delle istituzioni».

Qualche mese fa la AIOM aveva lanciato la campagna “Io non sono il mio tumore”, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni rispetto alla necessità di una legge sul diritto all’oblio oncologico. La raccolta firme avviata da AIOM è stata sostenuta e promossa da molte altre organizzazioni, tra cui AIRC (Fondazione per la ricerca sul cancro) e FAVO (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia). Ha già raccolto quasi 74mila firme.

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