In Italia non si è mai votato per le politiche nella seconda metà dell’anno

Dal 1948 a oggi le elezioni si sono sempre tenute tra febbraio e giugno, tra le altre cose per le scadenze della Legge di Bilancio

(Archivio Storico/LaPresse)
(Archivio Storico/LaPresse)
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Con la crisi politica che si è aperta questa settimana, tra i possibili scenari ci sono anche le elezioni anticipate. Giovedì il presidente del Consiglio Mario Draghi ha presentato le dimissioni al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in seguito al voto di fiducia sul decreto legge Aiuti a cui il Movimento 5 Stelle non aveva partecipato. Mattarella ha respinto le dimissioni di Draghi in un apparente invito a “parlamentarizzare” la crisi, di fatto rimandandola alla prossima settimana. Molto dipende da cosa farà Draghi, che parlerà alle camere del Parlamento mercoledì 20 luglio dopo essere tornato da un viaggio di stato in Algeria.

Se dovesse confermare le proprie dimissioni senza chiedere un voto per verificare l’esistenza di una maggioranza che lo sostenga, a quel punto Mattarella avrà due alternative: nominare un nuovo governo – molto probabilmente tecnico  – per portare a scadenza la legislatura e approvare la Legge di Bilancio in autunno, oppure sciogliere le camere e convocare le elezioni anticipate.

Qualcuno è scettico sull’eventualità che si voti in estate o in autunno principalmente perché non ci sono precedenti nella storia della Repubblica italiana. Dal 1948 a oggi, infatti, le elezioni politiche si sono sempre tenute tra febbraio (una sola volta, nel 2013) e giugno, per un motivo molto semplice: tra settembre e ottobre ci sono delle scadenze assai importanti per la vita economica del paese, che un governo in carica solo per gli affari correnti non può in teoria gestire. Entro settembre va presentata la nota di aggiornamento al DEF, cioè il documento che contiene le intenzioni di spesa e le previsioni di crescita e di indebitamento, ma soprattutto entro ottobre va scritta la Legge di Bilancio.

La Legge di Bilancio è la misura economica più importante, quella che stabilisce come lo stato intende spendere i propri soldi nell’anno successivo a quando viene scritta. Entro il 15 ottobre di ogni anno va consegnato alla Commissione Europea il Documento programmatico di Bilancio, ossia una sintesi della manovra, mentre la legge nel dettaglio deve essere presentata al Parlamento entro il 20 ottobre per essere approvata entro il 31 dicembre.

Questo significa che in quel periodo dell’anno deve esserci un governo in carica nel pieno delle sue funzioni per affrontare tutti questi passaggi. In caso non venga approvata la Legge di Bilancio entro la fine dell’anno, la Costituzione prevede il cosiddetto “esercizio provvisorio” del bilancio che può andare avanti solo per quattro mesi con margini di spesa molto ridotti, per gestire l’ordinaria amministrazione mese per mese.

Secondo la Costituzione il voto deve avvenire non oltre 70 giorni dopo lo scioglimento delle camere. Inoltre, secondo due decreti del presidente della Repubblica, le liste dei candidati devono essere presentate almeno 45 giorni prima del voto, mentre le liste dei residenti all’estero con diritto di voto devono essere presentate al ministero degli Esteri almeno 60 giorni prima. Supponendo quindi che Mattarella sciolga le camere la prossima settimana, il 20 o il 21 luglio, le elezioni potrebbero essere indette non prima del 20 settembre circa.

È una previsione ottimistica, ma anche se si realizzasse occorrono altri tempi tecnici per insediare il nuovo Parlamento, che poi deve mettersi d’accordo per costituire una maggioranza e dare la fiducia a un nuovo governo: un processo che spesso si rivela lungo e complesso. L’ultima volta che si è votato, il 4 marzo del 2018, servirono quattro mesi perché si arrivasse al giuramento del primo governo di Giuseppe Conte, sostenuto dal Movimento 5 Stelle e dalla Lega.

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