Cosa vuole fare la riforma Cartabia sulle misure alternative al carcere

Ampliare la possibilità di accedere per esempio a semilibertà e detenzione domiciliare, cambiando anche come vengono decise

Il carcere di Bollate, Milano, 
(ANSA/MATTEO CORNER)
Il carcere di Bollate, Milano, (ANSA/MATTEO CORNER)
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Sei gruppi di lavoro ministeriali composti da esperti stanno scrivendo i decreti legislativi attraverso i quali verrà messa in pratica quella parte della riforma della giustizia promossa dalla ministra Marta Cartabia che è contenuta nelle leggi delega, quelle con cui il Parlamento cede al governo la funzione legislativa, stabilendo principi e criteri generali ai quali lo stesso governo deve attenersi per disciplinare nel dettaglio una determinata materia.

Tra ciò che i gruppi di lavoro stanno scrivendo nel dettaglio, una parte molto importante riguarda l’ampliamento della possibilità di accedere alle cosiddette pene sostitutive in alternativa al carcere: semilibertà, detenzione domiciliare, lavoro di pubblica utilità e pena pecuniaria. In particolare l’attuazione della legge delega del 2021 dovrebbe prevedere la possibilità, da parte del giudice, di decidere pene sostitutive al posto delle pene detentive brevi, che prevedono la reclusione fino a quattro anni. Questo per ottenere sia un deciso intervento sul problema di sovraffollamento delle carceri, sia uno snellimento dei procedimenti giudiziari. 

Il 27 settembre 2021 il Senato ha approvato in via definitiva la «Delega al governo per l’efficienza del processo penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari». L’attuazione della delega, e cioè il risultato dei gruppi di lavoro, dovrebbe essere esaminato e votato dal Consiglio dei ministri entro luglio per poi passare alle commissioni Giustizia di Camera e Senato. I decreti per l’attuazione devono essere adottati dal governo entro un anno dall’entrata in vigore della legge, che è avvenuta il 19 ottobre 2021.

Ha detto Cartabia, a proposito della riforma che porta il suo nome:

«Una delega contiene già un principio di normazione, ma sappiamo quanto sia nell’opera di scrittura e cesellatura dei decreti legislativi il lavoro più delicato da compiere con particolare attenzione, perché è lì che gli orientamenti vengono definiti in tutta la loro portata e concretezza».

Già oggi la normativa prevede per pene fino a quattro 4 anni la possibilità per il condannato di chiedere misure alternative. Ma questo può avvenire solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza (cioè una sentenza per cui non ci può più essere ricorso in Appello o in Cassazione). Inoltre, attualmente, la richiesta della misura alternativa deve essere rivolta al magistrato di sorveglianza. In attesa della decisione, il condannato non va in carcere, ma non inizia nemmeno a scontare la pena alternativa. È la condizione di quelli che vengono chiamati «liberi sospesi». 

Con i decreti allo studio e richiesti dalla legge delega, le cose cambierebbero radicalmente. Per eliminare la figura dei «liberi sospesi» costretti in un limbo, e per snellire l’enorme mole di lavoro dei magistrati di sorveglianza, la riforma ha previsto la trasformazione delle misure alternative, attualmente di competenza del tribunale di sorveglianza, in «sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi», che possono essere direttamente stabilite dal giudice che emette la sentenza.

In sostanza, chi viene condannato a pene sotto i quattro anni non deve più fare richiesta di pena alternativa al tribunale di sorveglianza, ma a decidere la sanzione sostitutiva può essere direttamente il giudice che stabilisce la pena. Conseguenze che rientrano in due dei principali obiettivi della riforma: aumentare l’efficienza della giustizia e velocizzare i processi. 

Entrando nel merito delle misure sostitutive, la semilibertà è la possibilità per il condannato di trascorrere parte del giorno fuori dell’istituto di reclusione per partecipare ad attività lavorative, di istruzione o comunque utili al reinserimento sociale. La detenzione domiciliare prevede la possibilità di scontare la pena a casa propria, o in un altro domicilio privato indicato all’autorità giudiziaria o in un istituto di cura o recupero (da non confondere con gli arresti domiciliari, che sono una misura cautelare – adottata cioè prima di arrivare a una sentenza). Il lavoro di pubblica utilità è un lavoro non retribuito che viene svolto presso enti o organizzazioni di volontariato ma anche presso comuni, regioni o presso lo Stato.

L’obiettivo della parte della riforma relativa alle pene sostitutive era cosa nota, già esplicitamente contenuta nella legge delega votata al Senato, precedentemente approvata dalla Camera e già pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale. Nella legge delega, contro cui votarono solo 20 senatori, era scritto esplicitamente: «Rivedere la disciplina delle sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi, da individuare nella semilibertà, nella detenzione domiciliare, nel lavoro di pubblica utilità, nella pena pecuniaria. Le nuove pene sostitutive, irrogabili entro il limite di quattro anni di pena inflitta, saranno direttamente applicate dal giudice della cognizione, sgravando in tal modo il carico dei giudizi di esecuzione». Il giudice della cognizione è il giudice del processo, quello che decide la pena.

I principi generali della riforma sono stati ricordati il 22 giugno dalla ministra Cartabia che ha risposto, alla Camera, a un’interrogazione parlamentare sul sovraffollamento carcerario presentata da Lucia Annibali, capogruppo di Italia Viva nella commissione Giustizia. La ministra ha anche ricordato che una parte importante dei decreti riguarda proprio le pene sostitutive:

«L’attuazione della delega per il processo penale, i cui decreti legislativi sono in fase di elaborazione e saranno portati a breve al Consiglio dei ministri ha una parte importante che riguarda le pene sostitutive delle pene detentive brevi sino a 4 anni»

Queste parole hanno suscitato la reazione di alcuni giornali e siti che hanno parlato di una nuova misura «salvaladri», rievocando l’espressione con cui ci si riferì, nel luglio 1994, a un decreto dell’allora ministro della Giustizia Alfredo Biondi: a inchiesta Mani Pulite ancora in corso, limitò l’utilizzo della custodia cautelare per alcuni reati come corruzione, peculato, concussione, abuso d’ufficio, finanziamento illecito, falso in bilancio, frode fiscale, truffa ai danni dello Stato e di enti pubblici. Per alcuni giornali la ministra Cartabia vuole scarcerare “un detenuto su tre”. È stato anche detto che molti parlamentari sono stati sorpresi dalle parole della ministra durante l’interrogazione parlamentare. Come detto in precedenza, però, la legge delega, con i suoi enunciati espliciti, è stata votata sia dalla Camera sia dal Senato. 

«È l’ennesima polemica di questo genere», dice l’avvocato Davide Steccanella, autore del libro La giustizia degli uomini – Racconti di tribunale. «Si continua a commettere l’enorme errore di considerare il carcere l’unica vera pena possibile. Invece si chiamano pene sostitutive proprio perché sono comunque pene, non si tratta di impunità. Eppure in Italia si pensa che se uno non viene chiuso “in gabbia” la fa franca. Non è così, non può essere così. Sono 50 anni che le riforme della giustizia tentano di abbattere questo muro culturale, ma è molto difficile. E comunque parliamo di reati con pene fino a quattro anni, non di omicidi o altri reati di enorme gravità».

La stessa ministra Cartabia in audizione alla Camera nel marzo del 2021 aveva parlato di «superamento dell’idea del carcere come unica effettiva risposta al reato». Per la ministra, «la “certezza della pena” non è la “certezza del carcere”, che per gli effetti desocializzanti che comporta deve essere invocata quale extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le alternative al carcere, già quali pene principali».

Rispondendo alla deputata Annibali, Cartabia, parlando delle pene sostitutive, ha anche detto:

«Visto che le pene fino a 4 anni riguardano circa il 30% della popolazione carceraria, l’impatto di queste misure può essere molto significativo. Le pene alternative alle sanzioni detentive brevi potranno portare sollievo al sovraffollamento, così come altri interventi previsti nell’attuazione della delega, tra cui l’ampliamento della non punibilità per la particolare tenuità del fatto e della sospensione del procedimento con messa alla prova».

Questi due ultimi elementi sono previsti dall’ordinamento giudiziario, e la legge delega chiede che ne venga ampliato l’utilizzo. Con «non punibilità per la particolare tenuità del fatto» si intende che il reato sussiste, e quindi viene salvaguardata l’obbligatorietà dell’azione penale prevista dalla Costituzione, ma è di gravità minima e quindi può essere «non punito».

La sospensione dei procedimenti con messa alla prova è prevista dall’attuale ordinamento e stabilisce che l’imputato per determinati reati possa chiedere di essere sottoposto a un periodo di prova con sospensione del procedimento. Attualmente è prevista per reati puniti con pena pecuniaria o con pene detentive non superiori a quattro anni. La riforma prevede l’innalzamento del limite a sei anni, in relazione a situazioni «che si prestino a percorsi risocializzanti o riparatori, da parte dell’autore, compatibili con l’istituto». La messa alla prova potrà essere richiesta anche dal pubblico ministero, sempre che ci sia il consenso dell’indagato o dell’imputato. 

Dice ancora Steccanella: «Può accadere, e questo è un punto critico, che il giudice abbia perplessità ad applicare le misure alternative visto che il condannato in primo grado presenterà poi appello e quindi non si sa che cosa accadrà in seguito nel processo. D’altra parte, è possibile che una persona condannata a pene alternative rinunci a presentare appello, considerando soddisfacente l’esito del processo, snellendo così ulteriormente i procedimenti giudiziari».

In una relazione al Parlamento presentata il 20 giugno, Mauro Palma, garante nazionale delle persone private della libertà personale, aveva detto:

«Ben 1.319 (detenuti, ndr) sono in carcere per esecuzione di una sentenza di condanna a meno di un anno e altre 2.473 per una da uno a due. È superfluo chiedersi quale possa essere stato il reato commesso che il giudice ha ritenuto meritevole di una pena detentiva di durata così contenuta; importante è piuttosto riscontrare che la sua esecuzione in carcere, pur in un ordinamento quale il nostro che prevede forme alternative per le pene brevi e medie, è sintomo di una minorità sociale che si riflette anche nell’assenza di strumenti di comprensione di tali possibilità, di un sostegno legale effettivo, di una rete di supporto». 

Nel corso della risposta ad Annibali, la ministra Cartabia ha anche spiegato che le persone in «misure di esecuzione esterna» superano di gran lunga quella dei detenuti: «Siamo quasi a 74 mila contro 54mila e per questo è stata autorizzata l’assunzione di unità di personale destinato agli Uepe nella misura di 1.092 unità e 11 dirigenti». Gli Uepe sono gli Uffici per l’esecuzione penale esterna che saranno quindi potenziati nei prossimi mesi. Sono quelli che, incaricati dai tribunali di sorveglianza, gestiscono le misure alternative alla detenzione ma prima ancora svolgono inchieste per conoscere le situazioni familiari, sociali e relazionali delle persone per cui la misura alternativa verrà adottata. Lo scopo è stabilire quale sia la misura più adatta e che problemi possa comportare.

C’è un ultimo punto sollevato dalla ministra Cartabia alla Camera che ha provocato alcune reazioni negative. È quello in cui la ministra ha parlato di «liberazione anticipata», e cioè della possibilità che il detenuto esca dal carcere prima di quanto sarebbe in effetti stabilito dalla durata della pena. Ha detto Cartabia: 

«Se ne discute per valutare se innalzare la detrazione della pena, in particolare per i due anni di pandemia. In effetti in questi due anni il carcere è stato più duro e afflittivo, giustamente se ne discute».

Attualmente ogni detenuto a cui viene riconosciuta una buona condotta ha diritto a 45 giorni di sconto di pena ogni semestre di detenzione. I gruppi di lavoro del ministero della Giustizia stanno valutando come prevedere un incremento dello sconto relativamente al periodo della pandemia, anni che in carcere sono stati particolarmente pesanti con l’annullamento delle visite e il forte stress relativo al rischio di contagiarsi in un ambiente in cui l’isolamento è decisamente difficile.