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  • Sabato 25 giugno 2022

La grossa inchiesta sulla corruzione in Sudafrica

Una commissione ha pubblicato un rapporto che descrive il sistema di influenze e frodi del partito al potere da quasi trent'anni

Il presidente in carica Cyril Ramaphosa, a destra, riceve il rapporto finale della commissione dal giudice Raymond Zondo (AP Photo/Themba Hadebe)
Il presidente in carica Cyril Ramaphosa, a destra, riceve il rapporto finale della commissione dal giudice Raymond Zondo (AP Photo/Themba Hadebe)
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Questa settimana in Sudafrica è stato pubblicato il rapporto finale di un’inchiesta iniziata nel 2018 per indagare sui presunti reati di corruzione e frode avvenuti nel settore pubblico sotto il governo dell’African National Congress (ANC), il partito al potere nel paese da quando è finito l’apartheid, nel 1994. L’inchiesta è stata condotta dalla commissione Zondo (dal nome del presidente della Corte Suprema, Raymond Zondo) ed è durata in tutto quattro anni. Il rapporto è lungo più di 5mila pagine e descrive nel dettaglio la corruzione sistemica delle istituzioni e il saccheggio delle casse dello stato portata avanti dall’ANC negli ultimi trent’anni, e in particolare dall’ex presidente Jacob Zuma fino al 2018.

Il rapporto in particolare parla di un sistema criminale molto esteso e radicato che viene definito “state capture“, in cui un piccolo gruppo esercita influenza sul governo per ottenere vantaggi economici.

Al centro di questo sistema ci sarebbe la ricca e influente famiglia Gupta (e in particolare i tre fratelli Ajay, Rajesh e Atul), di origine indiana, che si trasferì in Sudafrica nei primi anni Novanta e che gestisce da allora importanti affari nel campo ingegneristico e dell’estrazione delle risorse: con la collaborazione del partito al potere e del presidente Zuma, avrebbe influenzato per anni gli enti e le istituzioni pubbliche sudafricane per ottenere vantaggi e guadagni.

Zuma è stato presidente dal 2009 al 2018 ed è finito più volte al centro di scandali legati all’uso illecito di soldi pubblici. Secondo il rapporto, fin dall’inizio del suo mandato i Gupta avrebbero trovato in Zuma «qualcuno il cui carattere era tale da poterlo usare contro il popolo del Sudafrica» e Zuma «avrebbe fatto qualsiasi cosa i Gupta volessero che facesse». In particolare, Zuma avrebbe fatto occupare ruoli di potere a persone volute dai Gupta, che garantissero gli appalti dei lavori pubblici alle aziende della famiglia in cambio di tangenti.

L’ANC ha rilasciato una dichiarazione in cui esprime il suo apprezzamento per il lavoro della commissione e dice che prenderà atto dei risultati del rapporto e adotterà misure in merito. Sia i Gupta che Zuma invece hanno negato ogni accusa contro di loro e hanno sostenuto che l’inchiesta sia solo un’operazione politica per indebolirli.

Il presidente in carica in Sudafrica dal 2018, Cyril Ramaphosa, che fa parte dell’African National Congress ed era vicepresidente durante il mandato di Zuma, ha commentato il rapporto della commissione Zondo dicendo che quanto emerso è un attacco alla democrazia e ai diritti dei sudafricani e che non bisogna permettere che una cosa del genere accada ancora. Tuttavia, nel rapporto viene citata anche la sua responsabilità per aver mantenuto un ruolo passivo all’interno del sistema e non essere stato in grado di intervenire in modo più efficace per disinnescare certi meccanismi corrotti.

Inoltre, Ramaphosa è accusato dal rapporto di aver chiesto finanziamenti per la sua campagna elettorale a persone già notoriamente sospettate di corruzione.

Il rapporto della commissione Zondo riprende tra le altre cose una vicenda che era emersa nel 2016 ed era stata nominata dalla stampa “Guptagate”, in cui un membro del governo Zuma, Mcebisi Jonas, aveva raccontato di essere stato avvicinato da uno dei componenti della famiglia Gupta con la proposta di nominarlo ministro delle Finanze. Subito dopo l’allora ministro delle Finanze Nhlanhla Nene, che si era opposto fermamente alle diffuse pratiche di corruzione oltre che a una gestione poco prudente delle finanze nazionali, era stato licenziato e sostituito con un deputato molto impopolare e senza esperienza, scelto dai Gupta, che poi era stato nuovamente sostituito nel giro di poco.

Tra le persone citate nel rapporto e ritenute coinvolte nel sistema ci sono collaboratori di Zuma come Ace Magashule, che secondo l’inchiesta avrebbe agito dirottando investimenti pubblici nelle imprese dei Gupta; Tom Moyane, che era a capo del South African Revenue Service (il servizio delle entrate del governo sudafricano) e lo avrebbe usato interamente per i suoi interessi; e il figlio di Zuma, Duduzane Zuma, coinvolto in più di una delle società dei Gupta.

Nel sistema, sempre secondo il rapporto, era coinvolta anche l’Agenzia di Sicurezza dello Stato, che avrebbe speso grandi somme di denaro senza rendicontarle e condotto operazioni a favore dei membri dell’African National Congress, oltre a obbedire alla richiesta di Zuma di non indagare sulla famiglia Gupta.

La commissione Zondo però non è un tribunale e quello che succederà d’ora in poi dipenderà dalla magistratura: nel rapporto viene chiesto di indagare e processare una dozzina di persone coinvolte, tra cui ministri, parlamentari, manager di imprese dello stato e lo stesso presidente Zuma. Le infiltrazioni del sistema messo in piedi dai Gupta però sono arrivate anche agli organi che dovrebbero indagare e giudicare i crimini, che andranno risanati prima di poter procedere con uno o più processi.

Intanto, all’inizio di giugno, due membri della famiglia Gupta sono stati arrestati a Dubai e sono in corso le trattative per l’estradizione.

Il rapporto della commissione contiene anche alcune raccomandazioni su come fare in modo che tutto questo non si ripeta: norme più severe sugli appalti, un organo che controlli le nomine nelle imprese di proprietà statale, una commissione anticorruzione e un presidente eletto con votazione diretta della popolazione. L’enorme lavoro della commissione Zondo e la sua integrità nell’indagare i rappresentanti delle istituzioni è stata da alcuni paragonata alla Commissione per la verità e la riconciliazione, un tribunale speciale voluto nel 1995 dall’allora presidente Nelson Mandela e dall’arcivescovo e attivista Desmond Tutu per ricostruire il Sudafrica dopo anni di segregazione razziale.