Che fine ha fatto Clubhouse

Dopo la breve popolarità dell'anno scorso, il social network delle conversazioni a voce continua a non trovare uno spazio ed è in una fase di “ripensamento generale”

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A inizio giugno Clubhouse, il social network basato sulle conversazioni a voce che per alcune settimane nel 2021 aveva avuto una discreta popolarità anche in Italia, ha annunciato il taglio di alcuni posti di lavoro nel piano di una «ristrutturazione e un ripensamento generale» del servizio, come ha scritto Bloomberg. È l’ultimo sviluppo di una crisi di popolarità che va avanti ormai da circa un anno, cioè da quando, superato un iniziale entusiasmo legato anche alle particolari condizioni dovute ai lockdown, l’interesse intorno all’app era velocemente diminuito, assieme agli utenti attivi.

Clubhouse si presentava come un «social audio», un’applicazione in cui gli utenti potevano discutere senza mostrarsi in video, organizzando discussioni in tempo reale con amici e sconosciuti. L’app era stata fondata nel 2019 da Paul Davison e Rohan Seth: inizialmente si chiamava Talkshow ma nei primi mesi del 2020 aveva cambiato nome e funzione, concentrandosi sulla creazione di “stanze” digitali in cui gli utenti potevano parlare, invitare ospiti, moderare le reazioni del pubblico. L’applicazione per dispositivi con iOS era stata pubblicata nel marzo di quell’anno, all’inizio della pandemia, e in poco tempo aveva avuto un certo successo di pubblico, anche grazie all’uso che fin da subito ne fecero alcuni degli esponenti più noti delle aziende della Silicon Valley.

Per diversi mesi, infatti, l’app rimase disponibile solo su invito, attraendo un pubblico ristretto ed esclusivo di imprenditori, giornalisti e fondatori di startup. Il social ebbe quindi da subito notevole rilevanza mediatica, arrivando, nel maggio del 2020, a essere valutato cento milioni di dollari, nonostante contasse circa 1.500 utenti. «O è morto entro luglio oppure diventerà qualcosa di grande», commentò in quei giorni Josh Felser, venture capitalist e utente di Clubhouse della prima ora. Nei mesi successivi, l’applicazione fu resa disponibile a sempre più utenti, arrivando ad avere 600 mila iscritti entro la fine dell’anno: nel gennaio del 2021 la sua valutazione era salita a un miliardo di dollari.

A decretare il successo del servizio fu soprattutto la presenza di musicisti, influencer e celebrità, tra i primi a usare la piattaforma per tenersi in contatto con amici e colleghi in un periodo di isolamento forzato. Nei mesi di maggior successo dell’app, non era raro trovare su Clubhouse stanze in cui intervenivano personaggi come Elon Musk, Mark Zuckerberg e Ashton Kutcher. In Italia, a frequentare Clubhouse sono state personalità di internet come Marco Montemagno e Luis Sal, cantanti come Calcutta e Sick Luke ma anche conduttori televisivi come Fiorello e Luca Bizzarri.

Poi, con il progressivo allentamento delle restrizioni, la diffusione del social network si era fermata drasticamente: nell’aprile del 2021 i download dell’app erano scesi a 900mila, dopo il picco di 9,6 milioni raggiunto a febbraio. Nel frattempo, gli altri social network avevano presentato nuovi prodotti chiaramente ispirati a Clubhouse, come Twitter Spaces, con cui era possibile organizzare stanze direttamente su Twitter, o i “Live Events” inaugurati da LinkedIn. Entro la fine del 2021, anche Facebook e Spotify avevano fatto lo stesso, togliendo a Clubhouse il monopolio degli eventi audio in diretta.

Com’è stato notato dai commentatori del settore, quello che è successo al social network ricorda ciò che era accaduto alle Snapchat Stories, una funzionalità creata da un social network minore (Snapchat) che presto era stata adottata e copiata da altre piattaforme, in particolare Instagram e Facebook, che l’avevano reso un format ormai universale. Come scrisse il commentatore Owen Williams nel 2020, «le Storie oggi non appartengono a nessuno, trascendono del tutto il loro creatore per diventare qualcosa di ancora più importante: un pattern della user experience facilmente adottabile da chiunque».

Oltre alla concorrenza e alla facile riproducibilità del prodotto, a determinare la crisi di Clubhouse furono alcuni ritardi da parte dell’azienda, in particolare sulla monetizzazione dei contenuti, che spinsero molti utenti importanti a lasciare la piattaforma. Per troppo tempo, inoltre, il social network era rimasto disponibile soltanto per gli utenti iOS: la versione per Android, il sistema operativo mobile più diffuso al mondo, arrivò solo nel maggio del 2021. Un’altra funzionalità molto attesa, la possibilità di usare Clubhouse dal web, usando il browser del proprio computer, era arrivata solo lo scorso gennaio: «troppo tardi», secondo alcuni.

Gli ultimi dodici mesi sono stati decisivi per il social network, che ha aggiunto nuove funzionalità, come il «dark mode», per affaticare meno gli occhi, una funzionalità con cui registrare e riprodurre gli eventi, e videogame interni all’app. Nonostante questi sforzi, Clubhouse ha annunciato dei tagli riguardanti la copertura dello sport e delle notizie, anche internazionali. Negli scorsi mesi, riporta Bloomberg, avevano lasciato l’azienda anche Sean Brown, responsabile delle partnership sportive, e Stephanie Simon, che si occupava di marketing.

Del piano per la «ristrutturazione» di Clubhouse non si sa molto di più. Un portavoce della società ha precisato che l’azienda sta continuando ad assumere, particolare confermato dal profilo dell’azienda su Linkedin, dove risultano aperte quindici posizioni. La società sembra trovarsi di fronte a un bivio: specializzarsi nel settore audio, esponendosi alla facile concorrenza degli altri social network e senza poter contare su un pubblico costretto in lockdown, oppure ampliare la propria offerta, rischiando di perdere la propria specificità, per affrontare la stessa agguerrita concorrenza.