La presunta filiale della ‘ndrangheta a Roma

Secondo la procura è una "locale", cioè un'emanazione della cosca lontano dalla zona d'origine: la prima individuata a Roma

Foto Direzione investigativa antimafia
Foto Direzione investigativa antimafia
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A Roma e a Reggio Calabria c’è stata questa mattina un’importante operazione congiunta contro la ‘ndrangheta coordinata dalle due Procure. Nel Lazio sono state portate in carcere 38 persone mentre a cinque sono stati imposti gli arresti domiciliari; in Calabria ci sono state 29 ordinanze di custodia in carcere e sei persone sono state messe ai domiciliari. 

L’operazione è molto rilevante perché secondo la procura avrebbe portato alla scoperta della “locale” a Roma di un clan della ’ndrangheta della provincia di Reggio Calabria. Una locale, termine usato dagli stessi affiliati, è un’emanazione, fuori dalla Calabria, di un clan: in pratica si può definire una sorta di filiale, i cui capi rispondono alla “casa madre” e con essa decidono e coordinano le attività. Non per niente all’operazione che ha portato agli arresti è stato dato il nome di “Propaggine”. Sarebbe la prima volta che ne viene individuata una locale a Roma: prima elementi della ‘ndrangheta operavano nella capitale ma senza che ci fosse una struttura organizzativa precisa.

Il clan a cui apparterrebbero gli arrestati, sia nel Lazio sia in Calabria, è secondo la procura quello degli Alvaro, radicato nel territorio di Sinopoli, comune con meno di 2mila abitanti in provincia di Reggio Calabria. Tra gli arrestati ci sono tutti i capi del clan: Carmelo Alvaro, detto Bin Laden, Carmine Alvaro, “u cuvertuni”, Francesco Alvaro detto “Ciccio testazza”, Nicola Alvaro, chiamato “u beccausu”, Antonio Alvaro detto “u massaru”, Domenico Carzo detto “scarpacotta”. Da Sinopoli la cosca si era allargata in altri centri del reggino, stringendo un’alleanza con una cosca autonoma ma di fatto dipendente da quella di Sinopoli, a Cosoleto. Anche il sindaco di Cosoleto, Antonino Gioffrè, è stato arrestato.

La procura ritiene che l’obiettivo della locale di Roma fosse l’acquisizione e il controllo di attività come locali, bar, ristoranti e supermercati e il riciclaggio di ingenti somme di denaro. Il clan, secondo l’accusa, utilizzava intestazioni fittizie per mascherare la reale titolarità delle società. 

A guidare la locale romana era, secondo quanto emerso dalle indagini coordinate da Michele Prestipino e Ilaria Calò e svolte dalla Dia, Direzione investigativa antimafia, una diarchia. I capi individuati sono Antonio “’Ntoni” Carzo e Vincenzo Alvaro. La tesi è che la locale sarebbe stata creata nel 2015 quando Carzo, reduce da anni di carcere duro al 41-bis, ebbe l’autorizzazione a creare la filiale romana. A dargli il via libera sarebbe stata la commissione collegiale che prende le decisioni, chiamata nel gergo della ‘ndrangheta Crimine o Provincia. La locale, come da tradizione, avrebbe assunto riti, linguaggi e “specializzazione criminale” del clan originario. La celebrazione ufficiale della nascita della “filiale” secondo le indagini sarebbe avvenuta, come da tradizione, con una mangiata, cioè una cena in casa di un affiliato poco fuori Roma. Per l’occasione sarebbero arrivati dalla Calabria tutti i boss del clan. 

La procura ritiene che i capi della locale romana abbiano poi sempre tenuto i contatti con la Calabria, pur agendo con estrema cautela. Gli incontri di persona diretti con i vertici della cosca erano limitati al minimo indispensabile e avvenivano in occasione di eventi particolari come matrimoni o funerali. Altrimenti venivano utilizzati messaggeri.  

Secondo la Procura «le indagini svolte hanno consentito di appurare» come «i sodali della cosca Alvaro abbiano dato vita, nel territorio della Capitale, ad una articolazione (denominata locale di Roma), che rappresenta un distaccamento autonomo del sodalizio radicato a Sinopoli e Cosoleto, in provincia di Reggio Calabria. È emersa, sempre allo stato degli atti, un’immagine nitida dell’esistenza di una propaggine romana, oggetto della corrispondente attività di indagine della Dia di Roma, connotata da ampia autonomia nella gestione delle attività illecite, e al contempo della permanenza dello stretto legame con la “casa madre sinopolese”, interpellata per la soluzione di situazioni di frizione tra i sodali romani o per l’adozione di decisioni concernenti l’assetto della gerarchia criminosa della capitale. La stessa costituzione del “distaccamento” romano è stata in origine autorizzata dai massimi vertici della ‘ndrangheta, operanti in Calabria». 

Tra gli arrestati ci sono anche un commercialista e un bancario. Sono state anche sequestrate preventivamente con provvedimento d’urgenza una serie di società e imprese individuali operanti a Roma e intestate a prestanome. Le persone arrestate sono indagate per associazione mafiosa, cessione e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti, estorsione aggravata e detenzione illegale di arma da fuoco, fittizia intestazione di beni, truffa ai danni dello Stato aggravata dalla finalità di agevolare la ‘ndrangheta, riciclaggio aggravato, favoreggiamento aggravato e concorso esterno in associazione mafiosa.

In un’intercettazione effettuata durante le indagini Antonio Carzo spiegava a un parente in Calabria: «Prima che arrivassi io tutta questa bella cosa non c’era». Ora invece, dice, «siamo una carovana per fare una guerra».