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  • Sabato 7 maggio 2022

Cosa fu il regime di Marcos nelle Filippine

Suo figlio potrebbe essere eletto presidente del paese, riportando la famiglia al potere dopo oltre trent'anni

La famiglia Marcos nel 1986: Marcos Jr., attuale candidato presidenziale, è a destra (AP Photo/Bullit Marquez, File)
La famiglia Marcos nel 1986: Marcos Jr., attuale candidato presidenziale, è a destra (AP Photo/Bullit Marquez, File)
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Alle elezioni presidenziali del 9 maggio nelle Filippine il candidato favorito, che a meno di grosse sorprese dovrebbe diventare presidente, è Ferdinand Marcos Jr., il figlio del dittatore Ferdinand Marcos, che tra il 1965 e il 1986 trasformò le Filippine in uno dei regimi autoritari più noti del Ventesimo secolo, facendo del paese una “cleptocrazia” in cui la famiglia Marcos e i suoi alleati rubarono allo stato miliardi di dollari in beni e denaro.

Il ritorno politico della famiglia Marcos preoccupa molti osservatori: in un articolo di opinione pubblicato sul New York Times, lo scrittore Miguel Syjuco ha definito Marcos Jr. come «l’uomo che potrebbe rovinare le Filippine per sempre» e ha spiegato come Marcos Jr. sia stato accusato dalle vittime del regime di suo padre di voler «riscrivere la storia».

Tra le principali forze che hanno spinto la campagna elettorale di Marcos Jr. c’è infatti una nostalgia nei confronti del regime di Marcos, favorita da una grossa campagna di disinformazione: molti dei sostenitori di Marcos Jr., oggi, sostengono che il regime portò stabilità al paese e lo governò con fermezza, dimenticando che Marcos e la sua famiglia provocarono la più grave crisi della storia recente delle Filippine, che ha effetti ancora oggi. Il regime, inoltre, incarcerò e torturò decine di migliaia di persone e uccise oltre duemila dissidenti e membri dell’opposizione, secondo ricerche condotte dopo la sua caduta.

Ferdinand Marcos è ancora oggi uno dei dittatori più famosi del Ventesimo secolo in Asia, sia per la brutalità del suo regime sia per l’eccentricità sua e della sua famiglia, che fece realizzare giganteschi e spesso inutili progetti architettonici e si arricchì enormemente, conducendo una vita stravagante e vistosa. Uno dei personaggi più noti del regime fu la moglie di Marcos, Imelda, che governò assieme al marito e fu protagonista di alcune delle sue decisioni più controverse.

Imelda e Ferdinand Marcos nel 1965 (AP Photo)

Ferdinand Marcos nacque nel 1917, quando le Filippine erano una colonia degli Stati Uniti. Fu un avvocato di successo e durante la Seconda guerra mondiale combatté per l’esercito degli Stati Uniti. Nel 1946 le Filippine diventarono indipendenti e poco dopo Ferdinand Marcos entrò in politica, seguendo l’eredità di suo padre che era stato parlamentare negli anni Venti. Fu eletto deputato nel 1949 e lo rimase per tre mandati consecutivi; tra il 1963 e il 1965 fu presidente del Senato. Si candidò alle elezioni presidenziali del 1965, con il Partito Nazionalista, di orientamento conservatore, e le vinse con un buon margine: il suo slogan elettorale, cinquant’anni prima di Donald Trump, era di rendere le Filippine “great again” (“di nuovo grandi”).

Il primo mandato presidenziale di Marcos fu relativamente poco controverso, ma mostrò alcuni degli elementi che poi emersero in seguito. L’economia crebbe in maniera consistente, ma soprattutto grazie alla creazione di debito estero, che mise in difficoltà sempre maggiore l’economia del paese.

Cominciò inoltre il cosiddetto “complesso dell’edificio”, un nome attribuito soltanto di recente da alcuni storici alla tendenza del regime di Marcos di realizzare enormi progetti architettonici e infrastrutturali, spesso inutili e abbandonati, che servivano soprattutto a soddisfare la vanità della famiglia Marcos e che indebitarono il paese devastandone l’economia (in inglese si parla di “edifice complex” sfruttando l’assonanza con “Oedipus complex”, complesso di Edipo).

Tra gli anni Sessanta e Ottanta il regime avviò la costruzione di enormi edifici e complessi architettonici come centri culturali, ponti, sale conferenze e lussuosi palazzi. Alcuni di questi sono tutt’oggi in uso, ma molti furono abbandonati o perfino mai completati. La principale promotrice di queste attività fu Imelda Marcos, che inoltre volle rinnovare moltissimi monumenti e parchi pubblici a Manila.

Nel 1979, per esempio, decise di costruire un grande palazzo sulla cima del monte Sungay, alto 752 metri, e fece livellare la sommità del monte per poter avere sufficiente spazio: la costruzione fu abbandonata dopo qualche anno, ma oggi il monte Sungay è alto soltanto 709 metri.

Lo stile di vita della famiglia Marcos, e in particolare di Imelda, divenne sempre più eccentrico: nel 1966 invitò i Beatles, che si trovavano a Manila per un concerto, a suonare a un evento privato nel palazzo presidenziale. Quando i Beatles si rifiutarono, Imelda avviò una campagna di intimidazione contro il gruppo, il cui staff fu perfino malmenato dal personale dell’aeroporto il giorno in cui tentò di lasciare il paese. In un’intervista fatta vent’anni dopo, il chitarrista George Harrison disse che il regime aveva cercato di «ucciderli».

Le enormi spese pubbliche furono sostenute dal regime di Marcos in gran parte grazie al debito estero, che verso la fine del primo mandato, nel 1969, era diventato enorme. Per la campagna elettorale del 1969, Marcos annunciò altri progetti infrastrutturali e politiche sociali molto generose, che peggiorarono ulteriormente le finanze del paese. Vinse facilmente le elezioni, diventando il primo presidente filippino a ottenere un secondo mandato, ma immediatamente dopo il voto si scatenò una devastante crisi del debito, che obbligò le Filippine a chiedere aiuto al Fondo monetario internazionale. La crisi portò alla creazione di vari gruppi d’opposizione, soprattutto tra gli studenti e i movimenti di sinistra e comunisti.

Il secondo mandato di Marcos durò di fatto soltanto due anni, che furono segnati soprattutto da proteste, dalla formazione di movimenti d’opposizione sempre più radicali e da alcuni attentati terroristici a Manila, di cui Marcos incolpò l’opposizione ma che, secondo alcuni storici, furono delle operazioni “false flag” inscenate dal regime (cioè operazioni architettate da un soggetto allo scopo di incolparne un altro, e avere quindi un pretesto per poi attaccarlo presentando la propria azione come legittima difesa).

In questo stato di costante crisi, il 23 settembre 1972, Marcos annunciò l’imposizione della legge marziale in tutto il paese. La legge marziale rimase in vigore per 14 anni, e consentì a Marcos di governare le Filippine in maniera autocratica, evitando le elezioni e usando le forze di sicurezza per reprimere l’opposizione.

Furono gli anni in cui il regime di Marcos divenne pienamente autoritario: il mantenimento della legge marziale fu approvato nel 1973 in un referendum manipolato, e anche il Parlamento e l’opposizione, benché sempre presenti, furono di fatto resi innocui, all’occorrenza anche con la forza. Secondo una commissione governativa istituita dopo la caduta del regime, sotto la dittatura di Marcos furono arrestate decine di migliaia di persone, ne furono uccise 2.300 e torturate 1.900 per ragioni politiche. Le persone che subirono violazioni dei loro diritti umani furono 11 mila.

In quel periodo vari gruppi di ispirazione comunista e maoista cominciarono attività di guerriglia contro il governo, che in alcuni casi non si sono ancora del tutto concluse.

Nonostante la palese violazione dei diritti umani e delle procedure democratiche, le Filippine sotto Marcos continuarono a godere del sostegno diplomatico e degli aiuti militari degli Stati Uniti: Marcos si presentava come un deciso anti-comunista, e in quel periodo di Guerra fredda la politica estera americana privilegiava il contrasto all’espansione del comunismo rispetto a tutto il resto.

Dopo l’imposizione della legge marziale, l’economia crebbe intensamente, soprattutto a causa dell’aumento dei prezzi di alcune materie prime di cui le Filippine erano esportatrici. Nonostante questo, proseguirono le pratiche economiche degli anni precedenti, che portarono a un costante aumento del debito estero. Con Marcos a capo assoluto dello stato, inoltre, aumentò anche la corruzione, sia generale sia personale della famiglia Marcos.

Imelda divenne famosa nell’alta società per il lusso di cui si circondava, per l’eccentricità e per le sue enormi spese: era capace di spendere milioni di dollari in gioielli o in opere d’arte in poche ore. Fu in quel periodo che si cominciò a parlare di uno dei fatti più noti della storia del regime di Marcos, che divenne il simbolo della sua corruzione: il fatto che Imelda possedesse oltre 3.000 paia di scarpe (anche se sul loro reale numero c’è dibattito).

(AP Photo/Joseph Capellan)

Il regime di Marcos cominciò a indebolirsi negli anni Ottanta, per varie ragioni: tra le altre cose, la salute del dittatore cominciò a deteriorarsi e una diminuzione del prezzo delle materie prime provocò a partire dal 1982 una gravissima crisi economica.

La crisi economica convinse Benigno Aquino Jr., il leader dell’opposizione in esilio all’estero, a tornare nelle Filippine per cercare un accordo con Marcos su nuove misure economiche e una transizione politica. Aquino sapeva che tornare nel paese avrebbe potuto mettere in pericolo la sua vita: prima di partire, disse ai giornalisti presenti di stare pronti con le loro telecamere, perché «nel giro di tre o quattro minuti potrebbe essere tutto finito e non potrei più essere in grado di parlare con voi».

Aquino atterrò a Manila nel primo pomeriggio del 23 agosto 1983. Gli spararono mentre scendeva le scalette dell’aereo, sotto gli occhi di vari giornalisti internazionali che viaggiavano con lui.

Occhio, il video qui sotto è piuttosto crudo e mostra il cadavere di Benigno Aquino.

L’assassinio di Aquino per mano del regime (anche se non è mai stato chiarito se a ordinarlo fu Marcos, se fu un’iniziativa dell’esercito o se invece fu Imelda, che sperava di succedere al marito malato) diede inizio a grosse turbolenze politiche, che culminarono nel 1986 nella Rivoluzione del Potere popolare, nota anche come Rivoluzione del Rosario: una enorme serie di proteste, boicottaggi e atti di disobbedienza civile che resero chiaro che il regime aveva perso il sostegno della popolazione.

Nel giro di pochissimo tempo, Marcos perse anche il sostegno della Chiesa cattolica, di una parte dell’esercito e infine degli Stati Uniti. Il 25 febbraio 1986 Marcos contattò il senatore americano Paul Laxalt, molto vicino al presidente Ronald Reagan, per chiedergli cosa fare, lui rispose: «Taglia, e taglia nettamente».

Il giorno stesso, Marcos e tutta la sua famiglia abbandonarono le Filippine. Corazon Aquino, vedova di Benigno, divenne presidente del paese.

La folla a Manila in strada dopo l’annuncio della fuga della famiglia Marcos, il 24 febbraio 1986 (AP Photo/Sadayuki Mikami)

Le inchieste successive alla caduta del regime mostrarono come la famiglia Marcos e i suoi alleati avessero rubato allo stato filippino oltre 10 miliardi di dollari, di cui soltanto una frazione è stata recuperata. Al momento della fuga, inoltre, i Marcos portarono con sé enormi quantità di beni di lusso, denaro e gioielli. Marcos morì nel 1989 e due anni dopo, nel 1991, alla famiglia fu consentito di tornare nelle Filippine.

Al momento del crollo della dittatura, Marcos Jr., il candidato favorito alle elezioni di lunedì, aveva 28 anni ed era stato nominato da suo padre governatore della provincia di Ilocos Norte: era dunque perfettamente integrato e complice del regime. Durante la campagna elettorale, Marcos Jr. ha ripetuto più volte che gli orrori del regime di suo padre sono ormai lontani, e che bisogna «guardare avanti».

Imelda Marcos è ancora viva: ha 92 anni e tra i sostenitori di suo figlio è una specie di icona pop. Marcos Jr. l’ha citata spesso durante la campagna elettorale. Centinaia delle scarpe della sua collezione sono oggi esposte in un museo a Manila.