Come si finanzia chi fa ricerca sul cancro

Fino a oggi sono stati identificati più di 200 tipi di tumore. Non c'è un'unica cura risolutiva, ma numerosi studi: bisogna decidere come sostenerli perché siano efficaci

(Giulio Lapone/AIRC)
(Giulio Lapone/AIRC)

Negli ultimi due anni si è sentito parlare molto – almeno rispetto a quello cui eravamo abituati – di ricerca scientifica, principalmente a causa della pandemia da coronavirus e della conseguente necessità di sviluppare vaccini e cure nel minore tempo possibile. Molto in breve, la ricerca scientifica comprende tutte le attività di studio e sperimentazione che permettono di fare nuove scoperte sulla natura e ancora più in generale di ampliare la conoscenza umana.

Uno degli ambiti più importanti in cui viene applicata è quello medico, perché i risultati raggiunti in questo campo permettono di migliorare sensibilmente le condizioni di vita delle persone. Il problema è che il suo funzionamento e i suoi risultati sono molto difficili da comunicare a un pubblico di non specialisti, che spesso cerca risposte definitive e rassicuranti: la ricerca è invece per sua natura in continua evoluzione, è un percorso che non si conclude se non quando si smette di cercare, e risolvere un problema può significare spesso scoprirne altri.

Come conseguenza, le persone possono sentire distanti le questioni che riguardano la ricerca, e rischiano di essere disinformate e meno propense, tra le altre cose, a fare donazioni per finanziarla.

Sono problemi che deve affrontare anche chi si occupa della ricerca sul cancro, una patologia la cui urgenza in questi ultimi due anni è talvolta passata in secondo piano: solo nel 2020 in Italia ci sono state 377mila nuove diagnosi di tumore (quelle del 2021 non sono state stimate), in media più di mille al giorno, e si calcola che nel 2021 i tumori siano stati la causa di oltre 180mila morti. La situazione è stata aggravata dalla pandemia, che in molti casi ha causato ritardi nelle diagnosi e ha costretto a rimandare visite e controlli.

Anche il modo in cui la chiamiamo può creare da subito degli equivoci: si parla di “ricerca sul cancro” e di trovare “una cura contro il cancro”, ma fino a oggi sono stati identificati e studiati più di 200 tipi di tumore. Non c’è quindi un solo cancro così come non c’è una sola terapia risolutiva, ma ci sono numerosi studi, ognuno dei quali ha le sue differenti progettualità e linee di ricerca: bisogna decidere come finanziarli perché siano efficienti.

Una parte dei finanziamenti è pubblica, cioè viene data ogni anno dai governi agli enti di ricerca come università e istituti. Ci sono poi bandi che vengono aperti da associazioni, fondazioni e istituzioni private: tra le più attive e storiche c’è AIRC, nata nel 1965 come “Associazione italiana per la ricerca sul cancro” e poi diventata “Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro”, che ogni anno riesce a raccogliere fondi molto rilevanti. Li ottiene grazie al 5 per mille, alle donazioni dei sostenitori (possibili anche online), e a varie iniziative sul territorio nazionale, come la recente campagna delle “arance della salute” e altri eventi organizzati dai 17 comitati regionali. Per il 2022 AIRC ha così potuto destinare alla ricerca sul cancro in Italia oltre 136 milioni di euro, che finanziano 90 borse di studio e 750 progetti e programmi a cui attualmente lavorano 5mila ricercatori.

Una volta raccolti i fondi, le organizzazioni non profit come AIRC devono decidere come spenderli, chi finanziare e perché: e qui inizia un’altra grossa parte del loro lavoro, probabilmente la meno evidente per chi osserva dall’esterno. Naturalmente la Fondazione AIRC non decide arbitrariamente le assegnazioni, ma applica criteri internazionalmente accettati per garantire equità e trasparenza, non solo a chi partecipa ai bandi ma anche a chi dona per sostenere la ricerca sul cancro.

Oltre a decine di borse di studio per i giovani, il grosso dei 136 milioni di euro finanzia i cosiddetti “grant”: progetti di ricerca a lungo termine – di solito della durata di cinque anni, con una valutazione intermedia al terzo anno – portati avanti da singole unità di ricerca o da più gruppi che lavorano insieme per un obiettivo specifico. La maggior parte è del tipo che viene chiamato “bottom-up”: i ricercatori sono liberi di proporre progetti su qualsiasi tema su cui credono valga la pena indagare. I restanti sono del tipo “top-down”: il bando impone a priori un certo tema e i ricercatori devono presentare progetti che rispettino le linee guida.

I bandi “top-down” sono la netta minoranza dei progetti finanziati da AIRC, poco meno di 22 milioni di euro: riguardano un solo tema, lo studio delle metastasi, cioè la colonizzazione da parte delle cellule tumorali di organi e tessuti diversi da quelli in cui si sono formate e cresciute.

(Giulio Lapone/AIRC)

Il motivo di questa scelta lo spiega in modo semplice il professor Federico Caligaris-Cappio, direttore scientifico di AIRC: «La malattia metastatica è la causa del 90 per cento circa delle morti per cancro e ancora oggi uno dei problemi irrisolti in oncologia. Tutti i tumori maligni possono dare metastasi: il che significa che tutti i ricercatori possono essere interessati a questo problema».

Legare invece i finanziamenti a un tema troppo specifico creerebbe un precedente pericoloso, perché le aree di ricerca possibili sono moltissime, e tutte ugualmente urgenti: «È ovvio che noi riflettiamo su cosa possa essere più utile per il paese e per i pazienti, però certe decisioni non possono essere prese in modo avventato».

Quello che può fare AIRC, dice Caligaris-Cappio, è continuare a chiedersi quali siano i problemi più attuali. Ci sono per esempio tumori come le leucemie (tumori del sangue) del bambino, o come il carcinoma mammario (un tipo di cancro al seno), che oggi vengono portati a guarigione in quasi il 90 per cento dei casi. «Allora il problema diventa: cosa hanno di diverso gli altri casi, cioè quel 10 per cento che non riusciamo a curare? Perché la cura fallisce, se apparentemente sembrano identici al 90 per cento che guarisce?». Sono alcuni degli obiettivi di cui AIRC tiene conto quando valuta i progetti, e allo stesso modo ne tengono conto i ricercatori che partecipano ai bandi.

Quando un ricercatore propone un proprio studio, sa che questo verrà sottoposto al giudizio di altri esperti internazionali del suo livello: è il processo che viene chiamato peer review, la valutazione tra pari. I “pari” sono un gruppo di circa 600 revisori indipendenti, tra i quali vengono scelti i più adatti per stabilire se uno specifico progetto sia fattibile con i fondi stanziati, se sia innovativo e competitivo a livello internazionale, se le competenze del ricercatore siano adeguate per portare a termine ciò che si è prefissato. Tutti i progetti finanziati – che sono pubblici e si possono consultare a questa pagina – vengono in ogni caso controllati e rivalutati periodicamente, e possono anche essere bloccati se i risultati ottenuti fino a quel momento non sono soddisfacenti.

Non è semplice misurare direttamente gli effetti della ricerca sulle cure per il cancro, perché come dice Caligaris-Cappio, «la ricerca tende all’infinito». Questo genere di supervisione però permette di minimizzare gli errori e, sul lungo periodo, assicurarne il successo. Tutto questo rende talvolta difficile comunicare a un pubblico non specialista i risultati della ricerca scientifica medica, oltre che il suo funzionamento.

«Il problema è che non è tutto bianco o nero», spiega Caligaris, «per curare bisogna capire, se non capisci non curi mai. La base della maggior parte dei risultati è aumentare la comprensione». Un esempio: «In certi tipi di leucemie si è capito qual è il danno molecolare che le provoca. Avendolo capito, è stato possibile mettere a punto dei farmaci capaci di bloccare lo specifico danno molecolare: questi farmaci oggi possono essere usati al posto della chemioterapia, con risultati eccezionali. Si è capito, quindi si può curare». La tecnologia per produrre quei farmaci esisteva già, «il problema è la necessità di farsi le domande giuste», dice Caligaris-Cappio.

Nel decennio 2010-2020 le persone guarite dopo una diagnosi di tumore in Italia sono aumentate del 36 per cento: alla fine del 2020 erano 3,6 milioni, e in molti casi sono tornati ad avere un’aspettativa di vita paragonabile a quella di chi non si è ammalato.

(Giulio Lapone/AIRC)

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