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  • Martedì 15 febbraio 2022

Perché si indaga ancora sulla morte di Marco Pantani

La procura di Rimini da anni è al lavoro su una terza inchiesta su quanto successe 18 anni fa nella stanza del residence Le Rose

L'arrivo di Marco Pantani al termine di una tappa del Giro d'Italia del 1998 (LaPresse)

Busta n° 9861
L'arrivo di Marco Pantani al termine di una tappa del Giro d'Italia del 1998 (LaPresse) Busta n° 9861

A 18 anni di distanza, la procura di Rimini ha ripreso a indagare sulla morte del ciclista Marco Pantani, avvenuta il 14 febbraio 2004 in una stanza del residence Le Rose, per overdose di cocaina e di psicofarmaci. La nuova inchiesta, aperta già dal 2019 e di cui però finora non si era saputo nulla, ha l’obiettivo di chiarire i dubbi che ancora rimangono su ciò che esattamente avvenne nelle ore precedenti la morte del ciclista.

Due inchieste, prima di questa, avevano concluso che Pantani fosse morto per overdose accidentale e che fosse da solo nella camera del residence. La nuova indagine sta concentrandosi soprattutto su due testimonianze. La prima è quella di Fabio Miradossa, l’uomo che aveva patteggiato una pena a quattro anni e dieci mesi per aver fornito a Pantani la cocaina che portò poi alla sua morte; la seconda è quella di un tassista di Cesenatico che sostiene di aver accompagnato due escort al residence Le Rose la mattina in cui Pantani morì. Le due donne, ipotizzano le indagini, potrebbero essere state le ultime a vedere Pantani vivo.

Miradossa ha sostenuto in passato che Pantani fosse stato assassinato. L’uomo fu ascoltato anche dalla commissione antimafia che, nel biennio 2018-2019, si occupò della morte di Pantani in relazione ai sospetti, avanzati dalla famiglia, che la morte del ciclista fosse stata voluta dalla criminalità organizzata. Quando il presidente della commissione gli domandò di spiegare perché pensava che Pantani fosse stato ucciso e da chi, Miradossa chiese di ricorrere alla segretazione dell’audizione, così come riportato dallo stesso verbale della seduta.

Quell’audizione, in versione integrale e compresa la parte segretata, è, dal gennaio del 2020, a disposizione della procura di Rimini. I magistrati stanno anche tentando di risalire all’identità delle due donne che, la mattina della morte di Pantani, furono accompagnate dal tassista al residence Le Rose. Il tassista poi le vide uscire con un marsupio e un maglione verde che non avevano al momento del loro arrivo.

Chi crede che Pantani sia stato ucciso sostiene che tutto abbia avuto inizio nel 1999, al Giro d’Italia, quando fu fermato da un controllo antidoping. In quella corsa a tappe, Pantani era largamente in testa: aveva 5 minuti e 38 secondi di vantaggio sul secondo, Paolo Savoldelli, e 6:12 su Ivan Gotti, terzo in classifica. Il 5 giugno era in programma la tappa da Madonna di Campiglio all’Aprica, con la scalata del Mortirolo. Il giorno prima Pantani aveva vinto la tappa da Predazzo a Madonna di Campiglio: sulle salite in quegli anni era praticamente imbattibile.

Alle 10.10 però furono resi noti i controlli svolti quella mattina sugli atleti in gara: nel sangue di Pantani c’era una concentrazione di globuli rossi superiore al valore consentito. In particolare, il valore di ematocrito rilevato a Pantani era del 51,8%, e oltrepassava il limite massimo consentito dai regolamenti (50%): lui negò con forza di essersi dopato. Andrea Agostini, all’epoca portavoce della Mercatone Uno, la squadra del ciclista, testimoniò poi che Pantani aveva fatto due controlli antidoping il giorno prima e lo stesso pomeriggio del controllo a Madonna di Campiglio (venerdì 4 giugno 1999 e sabato pomeriggio 5 giugno 1999) presso un centro specializzato di Imola ed entrambi avevano dato come risultato per l’ematocrito 48, e non 52. Non è chiaro però perché Pantani fece eseguire quell’esame privatamente prima di sottoporsi a quello dei giudici di gara.

L’ematocrito (HCT) è un esame del sangue che indica la percentuale di globuli rossi nel sangue. Il suo valore medio varia dal 37 al 47% per le donne mentre normalmente per gli uomini è più alto (42-52%). Il valore sale quando il sangue si arricchisce di ossigeno, e per gli sportivi è un parametro fondamentale: una maggiore concentrazione di ossigeno nel sangue significa avere più energia per i muscoli. I livelli di guardia sono 50 per gli uomini e 48 per le donne: superato questo limite, significa che il sangue è diventato troppo denso e c’è il pericolo di andare incontro a una trombosi.

La sostanza all’epoca più utilizzata per aumentare l’ossigeno nel sangue era l’eritropoietina sintetica (Epo). L’eritropoietina è normalmente prodotta negli esseri umani dai reni e in misura minore dal fegato ed è fondamentale per la produzione di globuli rossi. In medicina l’Epo è usata per curare le anemie; nello sport è stata spesso largamente utilizzata come sostanza dopante.

La squalifica di Pantani, che l’anno prima aveva vinto sia Giro d’Italia sia Tour de France ed era nel pieno della sua carriera, ebbe una grande risonanza. I suoi tifosi parlarono apertamente di complotto: secondo la loro teoria, Pantani sarebbe stato incastrato con un test del sangue manipolato. A organizzare tutto sarebbe stata, secondo questa tesi, la camorra che aveva investito molti soldi nel giro delle scommesse clandestine sull’ipotesi, assai improbabile, che Pantani avrebbe perso il Giro d’Italia. Oppure, e questa è un’altra versione, la camorra sarebbe stata spaventata dall’enorme numero di scommesse che davano Pantani vincente e, temendo di dover sborsare capitali ingenti, sarebbe corsa ai ripari.

Chi invece non ha mai creduto a questa tesi ricorda che quelli erano anni in cui il doping nel ciclismo era molto diffuso. Dal 1996 al 2005 tutti i vincitori del Tour de France ebbero a che fare con il doping. Lo stesso Pantani, in passato, era stato trovato con parametri anomali. Per quattro anni, dal 1992 al 1996, aveva frequentato lo studio del professor Francesco Conconi, scienziato al centro di molte polemiche proprio perché accusato di sottoporre gli atleti che aveva in cura a trattamenti con sostanze dopanti: venne condannato nel 2003.

I parametri ematici conservati nelle cartelle dello studio di Conconi misero in evidenza, come riporta il Corriere della Sera, oscillazioni di ematocrito nel suo sangue dal 41-42% al 52-56%. I valori maggiori corrispondevano ai migliori risultati nelle gare. Nel 1995 durante la gara Milano-Torino Pantani ebbe un incidente piuttosto serio: in ospedale vennero riscontrati livelli di ematocrito al 60,1%, tanto che gli furono somministrate forti dosi di una sostanza diluente per prevenire un’eventuale trombosi. Lo staff di Pantani, inoltre, in quegli anni, si muoveva con una centrifuga portatile per il controllo dell’ematocrito.

Dopo la squalifica del giugno 1999, Pantani iniziò a soffrire di depressione e, secondo testimonianze successive, a fare uso costante di cocaina. Tornò a correre nel 2000. Partecipò al Giro d’Italia e al Tour de France senza però riuscire a ottenere risultati importanti. La Federazione ciclismo lo volle poi portare alle Olimpiadi di Sydney nonostante il parere negativo di un membro importante del Comitato scientifico del Coni, Pasquale Bellotti, che spiegò che il quadro ematologico dell’atleta era molto preoccupante, anche se per il regolamento ancora nella norma. I compagni di squadra dissero poi che la depressione di Pantani sembrava peggiorare. Nel 2002 e 2003 partecipò a una serie di gare senza ottenere risultati di rilievo. Nella seconda metà del 2003 entrò nella clinica Parco dei Tigli, a Teolo, in Veneto, specializzata nella cura della depressione e della dipendenza da alcol.

Per alcuni mesi di lui non si seppe più nulla, finché il 14 febbraio 2004 venne ritrovato morto. L’autopsia rivelò che la morte era stata causata, fra le 11:30 e le 12:30 del 14 febbraio, da un edema polmonare e cerebrale, conseguente a un’overdose di cocaina e, secondo una perizia effettuata in seguito, anche da psicofarmaci. Le indagini e il processo che ne seguì stabilirono che il decesso fu la conseguenza della cocaina e dei farmaci assunti e di un successivo attacco di collera, durante il quale Pantani si fece male da solo. Morì in seguito per un arresto cardiaco.

La famiglia da subito non credette alla versione della morte accidentale. A supporto della sua tesi vennero presentati alcuni elementi. Innanzitutto, il corpo di Pantani al momento del ritrovamento era sul fianco sinistro: se fosse rimasto in quella posizione per molte ore, secondo i medici interpellati dalla famiglia, sarebbe stato proprio il polmone sinistro a essere pieno del sangue provocato dall’emorragia interna, mentre al momento dell’autopsia il polmone destro risultava più pesante di 200 grammi. Il corpo, quindi, secondo la famiglia era stato spostato subito dopo la morte.

La stanza del residence era sottosopra, ma in quello che venne definito «ordine disordinato». Tutto era stato appoggiato a terra, compreso uno specchio divelto in bagno, ma non rotto. È certo che nella stanza del residence dopo il ritrovamento del corpo entrarono più persone di quante sarebbero dovuto entrare: nelle prime fasi del sopralluogo ci fu una notevole confusione e d’altra parte da subito venne data per scontata la morte per overdose.

L’autopsia parlò di «intossicazione acuta da cocaina agevolata, nel suo estrinsecarsi a livello cardiaco e successivamente polmonare, dalle preesistenze patologiche miocardiche indotte da un prolungato abuso della stessa sostanza». La camera in cui fu ritrovato morto Pantani era chiusa dall’interno, non furono trovate impronte digitali sospette. Accanto al cadavere fu trovato un bolo di cibo, soprattutto pane, misto a cocaina. Gli investigatori esclusero però che fosse stato lasciato da qualcun altro. Il bolo era succhiato e presentava segni di masticazione. Testimoni vicini a Pantani, inoltre, riferirono che oltre a sniffarla e assumerla sotto forma di crack, il ciclista negli ultimi tempi la ingerisse direttamente o mischiata al cibo o bevendola con l’acqua.

Una cameriera del residence testimoniò che quella mattina sentì dei rumori provenire dalla camera del ciclista. Provò ad aprire con il passepartout, ma sentì la voce di Pantani e si allontanò. Subito dopo il ciclista chiamò la hall, dicendo concitatamente e confusamente che c’era qualcuno che lo disturbava, e chiedendo di chiamare i carabinieri. Pochi istanti dopo disse però che non ce n’era più bisogno.

Il corpo di Pantani portato fuori dal residence Le Rose di Rimini (Pasquale Bove/LaPresse)

Cinquantacinque giorni dopo la morte alcune persone vennero accusate di aver portato la cocaina a Pantani. Fabio Miradossa, che già nei mesi precedenti aveva procurato la droga al ciclista, e Ciro Veneruso vennero condannati per spaccio e morte come conseguenza di altro reato. Nelle motivazioni della sentenza venne scritto:

«Non sono poi emersi elementi che possano far ritenere che nell’appartamento si sia svolta una colluttazione e che Pantani sia stato indotto a forza ad assumere cocaina. Quest’ipotesi, alla luce di quanto emerso, non è affatto praticabile. Giova anzitutto rimarcare come il consulente abbia radicalmente escluso che il decesso possa essere dipeso da una lesività da energia fisica, segnatamente meccanica ed esogena. A ciò s’aggiunga: nessuno dei dipendenti della struttura ha riferito d’avere sentito voci, litigi, discussioni provenire dalla camera la mattina del 14 febbraio. La percezione allucinata rientra del resto, tipicamente, nelle distorsioni sensoriali innescate dall’abuso di cocaina; parimenti, il grave disordine nel quale versava la camera, messa completamente a soqquadro, è del tutto compatibile con l’aggressività, il delirio paranoide, la rabbia estrema provocati dall’uso smodato di cocaina nella sua fase acuta».

Tre anni dopo la morte del ciclista, nel 2007, il boss della criminalità milanese Renato Vallanzasca, tuttora detenuto nel carcere di Bollate, scrisse una lettera alla madre di Pantani in cui diceva che un suo conoscente in carcere, introdotto nel mondo delle scommesse clandestine, gli aveva detto cinque giorni prima della vicenda di Madonna di Campiglio di scommettere sulla sconfitta di Pantani per la classifica finale, assicurandogli che «il Giro non lo avrebbe vinto sicuramente lui».

Nove anni più tardi, nel 2016, una trasmissione sportiva di Mediaset trasmise un’intercettazione in cui un detenuto vicino ad ambienti legati alle scommesse clandestine parlava di un intervento della camorra al Giro del 1999. Se avesse vinto Pantani, si diceva, i clan avrebbero rischiato la bancarotta per l’enorme numero di scommesse sulla sua vittoria, motivo per cui il sangue del ciclista sarebbe stato manipolato. Augusto La Torre, boss di Mondragone, in provincia di Caserta, e collaboratore di giustizia, parlò esplicitamente del coinvolgimento dell’alleanza di Secondigliano (il patto tra alcuni dei gruppi più forti della camorra napoletana) nella squalifica di Pantani.

Due anni prima della pubblicazione di queste intercettazioni, la procura di Rimini, dopo un esposto della famiglia Pantani, aveva riaperto le indagini con ipotesi di reato «omicidio volontario». Secondo l’esposto dei legali della famiglia, Pantani fu picchiato da due uomini e costretto a bere cocaina. Nel settembre del 2015 la procura di Rimini chiese però l’archiviazione delle indagini ribadendo ancora una volta che la morte del ciclista era stata causata da overdose accidentale ed escludendo l’ipotesi del suicidio.

Quattro anni più tardi, nel 2019 Fabio Miradossa fu intervistato dalla trasmissione Le Iene, e ribadì la versione del presunto omicidio:

«Marco è stato ucciso. Non si vuole la verità. Marco è stato ucciso, l’ho conosciuto 5-6 mesi prima che morisse e di certo non mi è sembrata una persona che si voleva uccidere. Era perennemente alla ricerca della verità sui fatti di Madonna di Campiglio, ha sempre detto che non si era dopato. Qualcosa stava facendo per arrivare alla verità, quest’ultima è però una mia convinzione. Marco non è morto per cocaina. Marco è stato ucciso. Magari chi l’ha ucciso non voleva farlo, ma è stato ucciso. Non so perché all’epoca giudici, polizia e carabinieri non siano andati a fondo. Hanno detto che Marco era in preda del delirio per gli stupefacenti, ma io sono convinto che Marco quando è stato ucciso, era lucido ».

Il residence Le Rose, dove morì Marco Pantani (LaPresse)

Nei mesi scorsi la madre di Pantani è stata sentita dal pubblico ministero di Rimini Luca Bertuzzi. Ha ribadito le sue perplessità di sempre. Ha detto il suo avvocato, Fiorenzo Alessi, parlando con Repubblica: «Tonina Bellotti chiede di capire una volta per tutte se il figlio è morto per un mix di antidepressivi con la cocaina assunta precedentemente, oppure se ci sono altri motivi. La Procura lavora dal 2019 senza far trapelare nulla ed è giusto che sia così: per quanto ci riguarda siamo pronti a collaborare alle indagini (…). La famiglia Pantani è ovviamente rimasta sorpresa alla notizia del nuovo fascicolo e sa bene che si tratta dell’ultima occasione per capire se dietro la morte di Marco c’è ancora qualcosa da scoprire».