Cosa prevede la riforma del CSM

Riorganizza l'organo di autogoverno della magistratura per limitare il peso delle correnti, e interviene sulle carriere dei magistrati che entrano in politica

La ministra della Giustizia Marta Cartabia, il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro dell'Economia Daniele Franco. (Roberto Monaldo / LaPresse)
La ministra della Giustizia Marta Cartabia, il presidente del Consiglio Mario Draghi e il ministro dell'Economia Daniele Franco. (Roberto Monaldo / LaPresse)

Il governo ha presentato una proposta di riforma del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), l’organo di autogoverno della magistratura, e delle carriere dei magistrati che entrano in politica, che verrà presentata prossimamente al Parlamento. La riforma riorganizza il CSM nel tentativo di togliere peso alle “correnti” politiche al suo interno, soprattutto in seguito ad alcuni grossi scandali che hanno coinvolto la magistratura italiana negli ultimi anni, e in generale interviene per limitare la politicizzazione del CSM, la lottizzazione delle nomine e stabilire le condizioni da rispettare per i magistrati che vogliono entrare in politica.

I punti più importanti sono due: l’elezione dei membri del CSM scelti dalla magistratura, secondo la proposta, avverrà con un sistema misto, maggioritario e proporzionale. Serve a evitare che, come succede attualmente, le elezioni di fatto fossero una formalità, perché si candidavano pochi magistrati ed erano praticamente certi di essere eletti. Il secondo punto riguarda il destino dei magistrati che entrano in politica: non potranno candidarsi nelle regioni in cui hanno esercitato la funzione nei tre anni precedenti, e al loro eventuale rientro nella magistratura potranno svolgere solo incarichi amministrativi o ministeriali.

La proposta del governo, a cui si è arrivati dopo settimane di trattative tra i partiti della maggioranza, è uno dei tre punti principali di una più ampia riforma della giustizia, che ha portato già a modifiche del processo penale e civile, e che l’Italia si è impegnata ad approvare per poter ottenere dall’Unione Europea i finanziamenti del Recovery Fund. In un Consiglio dei ministri che si è tenuto oggi sono stati inclusi nella bozza di riforma gli emendamenti al testo presentato inizialmente lo scorso giugno ai capigruppo dei partiti alla Commissione Giustizia della Camera.

«È stata una discussione ricchissima e anche molto condivisa», ha detto il presidente del Consiglio Mario Draghi presentando la riforma, aggiungendo che c’è l’impegno per approvarla in tempo per le prossime elezioni del CSM, previste per luglio, e senza fare ricorso alla fiducia (cioè lavorando per mettere d’accordo tutta la maggioranza). «Era una riforma ineludibile», ha detto la ministra della Giustizia Marta Cartabia, perché la magistratura recuperi la fiducia necessaria di fronte ai cittadini.

La riforma, i cui contenuti sono stati sintetizzati dai giornali dopo il Consiglio dei ministri, prevede di riportare il numero dei membri elettivi del CSM da 24 a 30, come erano prima di una riforma approvata nel 2002. Venti saranno scelti dagli stessi magistrati – due saranno giudici di Cassazione, 13 giudici di merito e 5 pubblici ministeri – e dieci dal parlamento, selezionati tra professori universitari in materie giuridiche e avvocati (i cosiddetti membri “laici”). A questi si aggiungono le tre persone che vi fanno parte per diritto: il presidente della Repubblica, che lo presiede, il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione.

Per quanto riguarda il sistema elettorale, 14 dei 20 magistrati del CSM saranno scelti con un sistema maggioritario che prevederà dei collegi nei quali saranno eletti i due magistrati più votati, su un minimo di sei candidati (se non ci sono, i candidati verranno sorteggiati). Un quindicesimo seggio sarà assegnato a un pubblico ministero sulla base di un calcolo ponderato che individuerà uno tra i terzi più votati. Gli ultimi cinque seggi saranno assegnati invece con un sistema proporzionale nazionale. Non ci saranno liste nazionali, ma ci si potrà candidare individualmente.

È un sistema piuttosto articolato che serve soprattutto a introdurre una componente di imprevedibilità nelle elezioni del CSM, accusate da anni di favorire clientelismi, lottizzazioni delle cariche, avanzamenti di carriera legati all’appartenenza politica, e in generale di compromettere la neutralità e l’efficienza dell’organo, paragonato dai critici a un «mini parlamento, al cui interno albergano le divisioni per gruppi, le faziosità, le lotte fratricide, l’accaparramento di voti per interessi di parte, il mercato delle nomine e dei favori», come ha scritto Andrea Reale sul Riformista.

La magistratura è infatti divisa in “correnti” che funzionano in modo non molto diverso dai partiti politici: alcune sono più centriste, altre più vicine alla sinistra oppure alla destra. Queste fazioni si contendono la guida del sindacato dei magistrati, l’ANM, e di conseguenza anche le cariche elettive all’interno del CSM, dove decidono procedimenti disciplinari e promozioni alleandosi e scontrandosi tra loro. Tra i compiti più importanti del CSM ci sono infatti le nomine e i trasferimenti: per esempio da mesi una delle questioni più importanti e discusse di cui si sta occupando l’organo sono le nomine alla procura di Milano, dopo il pensionamento di Francesco Greco.

Un altro punto della riforma prevede che le nomine d’ora in poi vengano gestite in ordine cronologico, occupandosi cioè prima di quelle vacanti da più tempo. Serve a evitare che il CSM le decida sulla base di accordi a “pacchetto”, spartendo gli incarichi liberi tra le correnti.

L’altro aspetto più rilevante della riforma presentata dal governo riguarda cosa succede ai magistrati che vogliono candidarsi in politica.

Sarà vietato esercitare contemporaneamente funzioni giurisdizionali e avere incarichi elettivi e di governo o amministrativi. I magistrati non potranno candidarsi nelle regioni in cui hanno esercitato la funzione nei tre anni precedenti, e al loro eventuale rientro nella magistratura potranno svolgere solo incarichi amministrativi o ministeriali. Nel momento della candidatura, i magistrati andranno in aspettativa senza percepire il compenso.

Per quanto riguarda l’eventuale ritorno in magistratura dopo la candidatura in politica, saranno previste varie casistiche a seconda dell’incarico che aveva in precedenza il magistrato e a seconda che sia stato eletto o meno. Chi viene eletto non potrà più svolgere alcuna funzione giurisdizionale, quella cioè che riguarda l’applicazione delle norme e delle leggi, ma sarà messo fuori ruolo in incarichi amministrativi. Chi non viene eletto o viene chiamato a ricoprire incarichi apicali nei ministeri dovrà aspettare invece tre anni prima di poter di nuovo esercitare funzioni giurisdizionali.