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  • Mercoledì 26 gennaio 2022

I Savoia rivogliono i gioielli della Corona

Da 76 anni sono custoditi in un caveau della Banca d'Italia, e il governo non vuole restituirli agli eredi della famiglia reale

Da sinistra, Marina Doria, Vittorio Emanuele, Emanuele Filiberto e Clotilde Courau, alla tomba di Vittorio Emanuele II al Pantheon, a Roma (ANSA / ALESSANDRO DI MEO)
Da sinistra, Marina Doria, Vittorio Emanuele, Emanuele Filiberto e Clotilde Courau, alla tomba di Vittorio Emanuele II al Pantheon, a Roma (ANSA / ALESSANDRO DI MEO)

Vittorio Emanuele di Savoia e le sorelle Maria Gabriella, Maria Pia e Maria Beatrice, figli dell’ultimo Re d’Italia Umberto II, faranno causa al governo italiano per riavere i gioielli della famiglia reale, che da 76 anni sono custoditi in un caveau della Banca d’Italia, a Roma. L’avvocato della famiglia Savoia, Sergio Orlandi, ha detto che la causa segue un tentativo di mediazione fatto con il governo italiano, che ha però rifiutato di restituire i gioielli sostenendo che siano di proprietà dello Stato. Sono in tutto una quindicina: orecchini, collier, diademi e spille ricoperti di migliaia di brillanti, perle e diamanti.

La storia dei gioielli della Corona della famiglia Savoia e di come siano finiti nella Banca d’Italia risale al 5 giugno del 1946, tre giorni dopo che si era svolto il referendum con cui l’Italia aveva scelto che la forma istituzionale dello stato sarebbe stata la repubblica e non più la monarchia.

Quel giorno il presidente del Consiglio dei ministri, Alcide De Gasperi, chiese al re uscente Umberto II di consegnare i gioielli della Corona che erano custoditi in una cassaforte del palazzo del Quirinale, fino ad allora residenza ufficiale della famiglia reale. La richiesta venne fatta perché i gioielli della Corona, in base a quanto stabilito dallo Statuto Albertino (la Costituzione del Regno d’Italia), erano dati “in dotazione” ai re per l’adempimento delle proprie funzioni, ma non come proprietà personale.

Umberto II consegnò quindi i gioielli all’avvocato Falcone Lucifero, ministro della Real Casa, che a sua volta li portò all’allora governatore della Banca d’Italia Luigi Einaudi, futuro presidente della Repubblica. Da allora i gioielli sono custoditi in un piccolo astuccio di pelle nera in un caveau della sede della Banca d’Italia in via Nazionale, a Roma.

Nel verbale che testimonia la consegna dei gioielli il 5 giugno del 1946 alla Banca d’Italia si legge che questi devono essere conservati e «tenuti a disposizione di chi di diritto». Non è chiaro però a chi si faccia riferimento in questo passaggio, se allo Stato italiano o ai Savoia. Secondo l’interpretazione degli eredi della famiglia reale, questa formula implicherebbe che i gioielli vadano restituiti a loro, ma il governo italiano e la Banca d’Italia finora hanno respinto questa ipotesi.

Con la nascita della Repubblica tutti i beni della famiglia reale vennero confiscati dallo Stato Italiano, come previsto dalla tredicesima disposizione della Costituzione italiana. Ma se per i beni immobili la confisca venne effettuata immediatamente, per i gioielli non venne mai esercitata. I gioielli della Corona sono quindi rimasti sempre nel caveau della Banca d’Italia, protetti da 11 sigilli.

Sui gioielli venne peraltro posto un vincolo della procura di Roma, rimosso nel 2002, che prevedeva che per un’eventuale apertura sarebbe servito il via libera dei giudici. In questi 76 anni l’astuccio è stato aperto una sola volta, nel 1976, quando si decise di sottoporre il contenuto a un controllo e a una catalogazione, per il timore che nel frattempo i gioielli potessero essere stati trafugati. La perizia venne affidata alla società di gioielleria Bulgari, che valutò i gioielli intorno ai 2 miliardi di lire (circa 10 milioni di euro attuali).

– Leggi anche: I Savoia visti dal New York Times