• Libri
  • Giovedì 20 gennaio 2022

Perché una casa editrice cambia logo

Dopo più di dieci anni e dopo aver cambiato molte cose, add fa un "rebranding": per farsi notare di più

I più curiosi tra i frequentatori assidui di librerie e acquirenti di libri – quelli che hanno comprato il primo numero di Cose spiegate bene, per esempio – si fanno un po’ alla volta una competenza e una familiarità anche con le case editrici che li pubblicano e con le loro scelte e tratti particolari. Ed è probabile che abbiano familiarità con le tre lettere, la seconda delle quali inclinata verso destra, del logo con cui add editore, la casa editrice fondata a Torino nel 2010, si è fatta conoscere (anche se magari non hanno mai deciso se chiamarla add o a-di-di).

Da ieri, però – con l’obiettivo di farsi notare e riconoscere di più sia dai lettori attenti che da quelli distratti – add cambia logo, grafica, carta e caratteri, in una operazione di quelle che vengono chiamate rebranding. Lo fa per rinnovarsi e rilanciarsi, ma anche, secondo chi se ne è occupato, per assecondare altri cambiamenti, più che d’aspetto.

Nel 2010, quando nacque, add editore attirò attenzioni per i nomi noti dei suoi tre fondatori, le cui tracce sono evidenti anche nelle lettere del suo nome: Andrea Agnelli, il già editore Michele Dalai e Davide Dileo (più noto come Boosta, musicista dei Subsonica). Poi nel 2014 add (il cui nome è anche il verbo “aggiungere” in inglese) fu acquisita da Paolo Benini, imprenditore di successi e profitti con un’azienda di software da lui fondata, e da Francesca Mancini, ex insegnante ed esperta di comunicazione aziendale.

«I libri» dissero Mancini e Benini alla Stampa «erano una passione privata, ma da anni pensavamo di spostarci a un altro settore. Ora lo abbiamo trovato: con un progetto culturale, e con l’idea che si possano realizzare profitti e offrire posti di lavoro. Non tutta l’editoria è in crisi, e in ogni caso i periodi di crisi sono il momento ideale per nuove iniziative».

Per trasformare la passione privata in lavoro, i due prima aprirono una libreria a Torino, la Bodoni, e il loro interesse a comprare incrociò quello di vendere che aveva Agnelli, che già da diversi mesi era diventato l’unico proprietario di add e che a quanto sembra non aveva grande voglia o interesse nel continuare il progetto.

All’inizio Agnelli mantenne un 20 per cento, poi Mancini e Benini arrivarono a controllare il 100 per cento di add, a cui si aggiunge il 49 per cento di SUR, specializzata in letteratura latinoamericana e angloamericana.

Mancini e Benini si trovarono insomma a gestire una casa editrice senza averlo mai fatto prima, dopo averla comprata da Agnelli, che a sua volta si era trovato a gestirla senza avere grande esperienza in materia, e probabilmente senza grandi risultati economici. Dopo l’acquisizione (e dopo che la nuova proprietà scelse di tenere i due editor della precedente gestione) ci fu una di fase di assestamento e apprendimento, in cui – anche grazie alla collaborazione con SUR – add prese le misure all’editoria.

– Leggi anche: Il mestiere dell’editor

Negli anni add è cresciuta, ha pubblicato circa venti libri l’anno, è arrivata ad avere le sue attuali sei collane: Saggi, Asia, Fumetti, Sport, Young Adult e Atlanti. Ha pubblicato, tra gli altri, Esilio dalla Siria, La felicità araba, Una vita cinese, Storie straordinarie delle materie prime, L’atlante delle donne e Lo sport di domani. Tutto questo, senza mai cambiare logo rispetto alla sua prima fase e venendo spesso presentata, anche in tempi recenti e nonostante nessuno dei tre se ne occupi più, come la casa editrice fondata da Agnelli, Boosta e Dalai.

Secondo chi lavora in add, il primo vero anno di pubblicazione di libri da parte della nuova gestione fu il 2016, e quindi ora, dopo cinque anni di «continua e costante crescita», si è pensato a un rebranding.

La sensazione è che, nonostante le attenzioni per i nomi dei suoi tre fondatori (due dei quali lasciarono prima di Agnelli), nei suoi primi anni add non ottenne sufficienti riconoscibilità della sua identità editoriale, malgrado la pubblicazione di diversi libri e autori notevoli e capaci di entrare nelle classifiche di vendita, su temi e indirizzi diversi. Negli anni, e con la prospettiva di ulteriore crescita futura, la nuova proprietà ha invece insistito molto su una identità più definita – molto in breve, sulla saggistica e su temi percepiti come molto legati alla contemporaneità (una parola molto pronunciata da chi lavora in add) – e, ora, su una nuova identità grafica.

Giorgio Gianotto, che dall’ottobre 2021 è direttore editoriale di add, spiega che la casa editrice ha scelto di fare un rebranding per «dimenticarsi il passato», per tenere il passo della sua «nuova produzione editoriale e della sua diversa proprietà», e inoltre perché ormai, dopo dieci anni, «c’è un ambiente diverso e serve una nuova comunicazione».

«Il nome add – che è un acronimo che ora ha perso significato, ma anche una parola che lo possiede – non è mai stato messo in discussione», spiega Gianotto, che prima di add editore era stato in Codice edizioni, Baldini&Castoldi e minimum fax, e che dal 2017 è consulente del Salone del Libro di Torino.

Altre cose, invece, sono state messe in discussione, e per arrivare al nuovo logo ci sono stati molti ragionamenti. «Siamo partiti dal fatto di avere molti lettori che leggevano nostri libri di collane diverse ma non realizzavano fossero dello stesso editore: c’è gente che ha letto un fumetto di add, un saggio di add, un volume della nostra collana sul continente asiatico, ma forse non ha chiuso il cerchio». Secondo Gianotto, è comprensibile «perché non sta al lettore essere super attento; il lettore legge il singolo libro».

L’idea di rifarsi un’immagine è venuta nel mezzo della pandemia, nei primi mesi del 2021, e per occuparsi del proprio rebranding l’azienda ha incaricato Nero, un’agenzia di comunicazione e anche una casa editrice, nota soprattutto per la collana NOT.

L’obiettivo, spiega Gianotto, era «fare un poco di ordine, perché quando sei curioso ti scappa la curiosità fra le mani» e c’è insomma il rischio di perdere un po’ il filo delle cose. Per fare un rebranding, prosegue Gianotto, «devi spiegare a qualcuno fuori chi sei tu, questo qualcuno ti fa delle domande, e questo dialogo produce una maggiore consapevolezza». In una sorta di effetto uovo-gallina, è difficile dire se si cambia logo perché sono cambiati i contenuti, o perché li vuoi cambiare di più, o un po’ entrambe le cose: «C’è un effetto volano», dice Gianotto, «perché hai un’idea di contenuti che non sta più nel logo, e se cambi il logo cambi anche i contenuti».

In termini più pratici, il nuovo logo è piuttosto minimale e ottenuto per sottrazione: di fatto, sono stati riempiti i vuoti della “a” e delle due “d” e tolti i contorni. Perché il logo vecchio iniziava a sentire il peso degli anni (secondo Gianotto «se lo mettevi su Instagram si scardinava e in qualche maniera si sbriciolava») e perché add sentiva il bisogno di differenziarsi, dal suo passato e dalle altre case editrici. Francesco Serasso, grafico di add, parla di una «rivoluzione estetica» e dice che, specie nel caso di una casa editrice, il logo vale moltissimo, perché spesso «è la prima cosa che vedi». In copertina, così come sul dorso, il nuovo logo di add editore sarà solo, senza accanto le parole “add editore”: «il nome lo metteremo in quarta di copertina» dice Gianotto, «non in prima».

Serasso parla di un design «quasi olandese e meno da casa editrice per come siamo abituati a intenderle noi», per superare il fatto che «il logo precedente era pulito e tipografico, ma sulle copertine, con l’evolversi degli stili, andava quasi perso».

Gianotto ammette che è un cambiamento che può anche essere rischioso, «perché qualcuno potrebbe non riconoscerti più, per via di certi meccanismi di affezione a cui vai a esporti». È però evidentemente fiducioso, perché «quando fai questi cambi la riflessione è profonda e devi essere convinto del risultato». Secondo lui quel che sembra essere solo un cambiamento è, negli intenti della casa editrice, molto altro: «credi di dover cambiare il logo, poi ti rendi conto che devi cambiare tutte le parole».

Le prime copie del primo libro con il nuovo logo (e tutto il resto) saranno nelle librerie dal 26 gennaio: Una storia d’amore. Lettera a mia figlia transgender, di Carolyn Hays.

In un anno in cui add editore conta di pubblicare almeno 30 nuovi libri, uno degli obiettivi di Gianotto è che «anziché trovare dei nostri libri, il lettore cerchi add, perché in noi ha riconosciuto qualcosa».