Il centrodestra è sempre più incartato sul presidente della Repubblica

Tra l'ostinazione di Berlusconi e la rivalità di Salvini e Meloni rischia di non riuscire a eleggere qualcuno della propria area politica

(Cecilia Fabiano/ LaPresse)
(Cecilia Fabiano/ LaPresse)

Dopo quattro elezioni per il presidente della Repubblica – Ciampi, Napolitano I, Napolitano II e Mattarella – in cui era stato il centrosinistra a proporre il candidato e a indirizzare le consultazioni, disponendo della maggioranza relativa in Parlamento, a questo giro sarebbe in teoria il centrodestra ad avere “il pallino in mano”, come si dice nel gergo politico, cioè ad avere la prerogativa di fare un nome da eleggere.

Ma la rivalità tra Matteo Salvini della Lega e Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia per la leadership della coalizione, la possibilità di elezioni anticipate e soprattutto la determinazione di Silvio Berlusconi nel portare avanti la sua candidatura per il Quirinale, hanno provocato un ingorgo di strategie, tatticismi e malumori che potrebbe impedire l’elezione di quello che di fatto sarebbe il primo capo dello stato espresso dal centrodestra da quando esiste la Seconda Repubblica, cioè dalla scomparsa della Democrazia Cristiana negli anni Novanta.

Nel pomeriggio di venerdì Berlusconi ha ospitato nella sua nuova residenza romana Salvini e Meloni, per una riunione organizzata per decidere la strategia da tenere alle elezioni che cominceranno il prossimo 24 gennaio. Berlusconi, che aveva iniziato a costruire la sua candidatura mesi fa, è ora nel pieno di quella che è stata definita “operazione scoiattolo”: cioè il tentativo concreto, portato avanti attraverso una zelante attività di centralinista del deputato Vittorio Sgarbi, di convincere telefonicamente i grandi elettori del Gruppo Misto e di altre formazioni esterne al centrodestra di votarlo per il Quirinale.

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Nonostante la sua candidatura continui a sembrare a molti qualcosa di irrealistico e farsesco, Berlusconi sembra estremamente determinato a provarci, e sta cercando di assicurarsi le decine di voti che gli servirebbero a essere eletto dal quarto scrutinio in poi – quando basterà la maggioranza assoluta dei voti – se il centrodestra lo votasse compattamente. Ma è un “se” bello grosso.

Infatti Salvini e Meloni hanno interessi, percezioni, strategie e timori frastagliati e per molti versi contrastanti che li hanno resi a lungo scettici sulla possibilità di votare Berlusconi. Per settimane avevano cercato di esprimersi in modo vago a riguardo, dicendo che Berlusconi è il candidato del centrodestra se tutti sono d’accordo, se non risulterà troppo divisivo, se i numeri per eleggerlo saranno certi, eccetera. Dopo l’incontro di venerdì, infine, hanno diffuso un comunicato congiunto in cui dicono che Berlusconi è «la figura adatta a ricoprire in questo frangente difficile l’Alta Carica con l’autorevolezza e l’esperienza che il Paese merita e che gli italiani si attendono». Gli chiedono quindi di «sciogliere in senso favorevole la riserva fin qui mantenuta», cioè di formalizzare la sua candidatura annunciandola pubblicamente (una cosa che peraltro non è un vero passaggio formale).

Ma è ancora tutto da vedere come andranno le cose. Sempre venerdì, infatti, Repubblica ha attribuito a Gianni Letta, storico consigliere di Berlusconi e considerato tra i più influenti anziani del centrodestra, il consiglio rivolto ai parlamentari della coalizione di «guardare agli interessi del Paese e non alle differenze di parte». Un’evidente indicazione a non scegliere un candidato divisivo come Berlusconi.

Il punto è che, a parte Berlusconi stesso, nessuno sembra convinto che Berlusconi possa davvero farcela. Per essere eletto al quarto scrutinio gli servono 505 voti: il centrodestra ne ha solo 480, e si dà già per scontato che almeno qualcuno non andrà a lui, per una quota fisiologica di “franchi tiratori”, parlamentari che votano contro le indicazioni di partito.

Nonostante in questi giorni stia contattando deputati e senatori semisconosciuti adulandoli con toni assai amichevoli – Repubblica dice che si è presentato come «collega» a un deputato che è anche presidente di una squadra di calcio – assicurarsi 30-40 voti esterni al centrodestra non è per niente facile. E probabilmente gliene serviranno di più, fino a 60.

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Meloni e Salvini insomma temono prima di tutto che se asseconderanno Berlusconi, dando indicazione ai loro partiti di votarlo dal quarto scrutinio, non raggiungeranno comunque i 505 voti. Sarebbe un bel guaio: a quel punto, dopo aver rifiutato di discutere una candidatura trasversale con il centrosinistra e il Movimento 5 Stelle ed essersi impuntati su Berlusconi, e dopo quattro scrutini andati a vuoto, probabilmente non sarebbe più possibile costruire una nuova proposta per un presidente della Repubblica di centrodestra.

Sarebbe un fallimento piuttosto plateale, ancora peggiore di quando il Partito Democratico non riuscì a eleggere Romano Prodi nel 2013, visto che all’epoca si riuscì a rieleggere comunque Napolitano, un presidente di sinistra.

Questa situazione di stallo e di diffidenze reciproche rende l’elezione del presidente della Repubblica di quest’anno particolarmente incerta. Nonostante le incertezze e i rischi, Berlusconi è così deciso e convinto che per Salvini e Meloni è diventato difficile sganciarsi dai suoi piani. A meno che nei prossimi giorni non lo convincano che non ha abbastanza voti e che deve rinunciare.

Questo consentirebbe loro di proporre un candidato o una candidata sempre di centrodestra, ma votabile anche dal PD e dal M5S, che invece non ne vogliono sapere di Berlusconi: si parla per esempio dell’ex presidente del Senato Marcello Pera, dell’ex ministra Letizia Moratti, dell’attuale presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati, o dell’ex presidente della Camera Pier Ferdinando Casini, ciascuno con i suoi vantaggi e svantaggi in termini di popolarità nell’arco parlamentare.

È tutto insomma molto complicato, e c’è anche la possibilità che alla fine il centrodestra non si metta d’accordo e si divida tra chi rimarrà fedele a Berlusconi e chi, per esempio la Lega, preferirà votare qualcun altro insieme all’attuale maggioranza. Anche perché in tutto questo c’è anche Italia Viva di Matteo Renzi, partito di centro che in una situazione così incerta ha la possibilità di diventare molto rilevante indirizzando le trattative. E c’è anche Cambiamo di Giovanni Toti, più piccolo, che sembra non voglia votare Berlusconi.

La candidatura di Draghi è notoriamente quella che metterebbe maggiormente d’accordo le forze politiche, ma Berlusconi per ora sta facendo di tutto per sabotarla e per convincere gli alleati del centrodestra a non appoggiarla.

I retroscena dicono che comunque Salvini ci sta pensando e che da giorni parla con Enrico Letta del PD e Matteo Renzi di Italia Viva, tenendo insomma il piede in due scarpe per avere un piano di riserva nel caso crolli quello che ha al centro Berlusconi. Le cronache politiche dicono che anche Meloni sarebbe tutto sommato favorevole a un’elezione di Draghi, perché crede che per lei sarebbe più facile andare al governo se ci fosse Draghi come presidente della Repubblica a rassicurare il resto d’Europa.

Le cose potrebbero sbloccarsi anche se Berlusconi si convincesse a rinunciare alla sua candidatura e invece a sostenere proprio Draghi, da subito o dal quarto scrutinio. Vorrebbe dire cambiare radicalmente strategia, ma Berlusconi potrebbe a quel punto provare a presentarsi come artefice di un’elezione trasversale e di prestigio (in passato si è spesso vantato di aver fatto eleggere Draghi come presidente della Banca Centrale Europea) evitando di uscire come personaggio sconfitto e tenendo unito il centrodestra.

L’eventuale elezione di Draghi in ogni caso si porterebbe dietro il problema di fare un nuovo governo: non è detto che la maggioranza attuale si possa accordare su un nuovo presidente del Consiglio, e se non ci riuscisse si andrebbe a votare. Con il taglio del numero dei parlamentari e la perdita di consensi di diversi partiti, decine di attuali parlamentari sono già sicuri che non saranno rieletti: e questo influirà sulle loro scelte di voto.