A che punto sono le indagini sulla morte di Youns El Boussettaoui a Voghera

Si concluderanno in primavera, e ancora stanno provando a chiarire cosa successe prima che l'assessore Massimo Adriatici sparasse

I rilievi da parte dei carabinieri in piazza Meardi, a Voghera, la notte della morte di Youns El Boussettaoui (Foto Ansa/Paolo Torres)
I rilievi da parte dei carabinieri in piazza Meardi, a Voghera, la notte della morte di Youns El Boussettaoui (Foto Ansa/Paolo Torres)

Le indagini sulla morte di Youns El Boussettaoui, il cittadino marocchino ucciso la sera del 20 luglio scorso a Voghera da un colpo di pistola sparato dall’allora assessore alla Sicurezza Massimo Adriatici, saranno chiuse dalla Procura di Pavia probabilmente in primavera. La perizia balistica è stata consegnata a settembre, le testimonianze sono state ascoltate e i filmati delle videocamere della zona sono stati raccolti e analizzati dai magistrati, anche se non esiste un video che mostri l’istante dello sparo.

Solo al termine delle indagini si saprà se il procuratore aggiunto Mario Venditti e il pubblico ministero Roberto Valli chiederanno il rinvio a giudizio, e cioè il processo, per Adriatici: sembra comunque altamente probabile. Allora si saprà anche il reato eventualmente contestato: eccesso colposo di legittima difesa, per il quale l’ex assessore è attualmente indagato, o omicidio volontario. Il primo caso si verifica quando, nell’ambito della legittima difesa, c’è una reazione sproporzionata da parte di chi è aggredito, a causa di un errore sia nella percezione dell’aggressione sia nell’utilizzo dei mezzi utilizzati per difendersi.

Per ora la Procura ha indagato Adriatici proprio per questa ipotesi di reato, ma gli avvocati della famiglia di El Boussettaoui hanno ripetutamente chiesto che l’imputazione venisse cambiata in omicidio volontario. La loro tesi è che Adriatici non abbia sparato per difendersi da un’aggressione, e che anzi non fosse realmente in pericolo in quanto lui stesso autore di una provocazione nei confronti della vittima.

La sera del 20 luglio alle 22.19 arrivò una telefonata al 118. A Voghera, in piazza Meardi, c’era un uomo a terra ferito da un colpo di pistola al petto: si chiamava Youns El Boussettaoui, aveva 39 anni e fu dichiarato morto all’ospedale alle 23.40. El Boussettaoui era conosciuto a Voghera perché girava spesso per il centro della città. Alcuni cittadini testimoniarono il giorno successivo alla sparatoria che era spesso ubriaco e infastidiva i passanti. Emerse poco dopo che l’uomo aveva problemi psichici. A Vercelli, dove vivono i suoi familiari, era stato ricoverato con un trattamento sanitario obbligatorio, ma in seguito era fuggito per tornare a Voghera.

A sparare era stato Massimo Adriatici, assessore leghista alla Sicurezza con un passato da funzionario di polizia. Adriatici girava regolarmente armato, ha un porto d’armi per motivi di sicurezza personale anche se non risulta abbia mai subito minacce di nessun tipo. In città molti lo chiamavano “lo sceriffo”, e in passato alcuni dirigenti delle forze dell’ordine si erano lamentati con il sindaco perché più volte aveva cercato di interferire con il loro lavoro.

Nel primo interrogatorio Adriatici disse di aver sparato dopo essere stato colpito da El Boussettaoui, sostenendo che prima avesse dato fastidio ad alcuni passanti. L’ex assessore disse anche che l’uomo lo aggredì mentre stava chiamando la polizia, e che il colpo di pistola partì involontariamente. Negli interrogatori successivi disse invece di non ricordare la dinamica degli avvenimenti.

Massimo Adriatici, ex assessore alla Sicurezza di Voghera, indagato per aver ucciso Youns El Boussettaoui (Foto Ansa/Paolo Torres)

I video ripresi dalle telecamere della zona hanno permesso di ricostruire i minuti che precedettero lo sparo. La videocamera della chiesa di San Rocco riprese, alle 21.58, Adriatici spostarsi da piazza Meardi verso il centro di Voghera. Alle 22.02 la stessa videocamera filmò El Boussettaoui camminare in senso opposto, sull’altro marciapiede. Poco più di venti secondi dopo passò di nuovo Adriatici, che stava tornando indietro e seguiva l’uomo a distanza, con il telefono cellulare all’orecchio.

Un’altra videocamera riprese l’arrivo di El Boussettaoui davanti al Bar Liguria di piazza Meardi alle 22.32, e Adriatici alle sue spalle circa un minuto dopo (22.33): l’ora segnata però era sbagliata, visto che la telefonata al 118 arrivò alle 22.19. Circa dieci minuti più tardi (la videocamera segnava le 22.42) i filmati mostrano El Boussettaoui avvicinarsi all’assessore che, estraendo dalla tasca la mano destra, gli mostra la pistola senza mai smettere di parlare al telefono. Un attimo dopo, El Boussettaoui sferra un pugno o una manata in faccia ad Adriatici che cade al suolo. Poi i due scompaiono dietro l’angolo di via Fratelli Rosselli, dove parte lo sparo.

Secondo i legali della famiglia di El Boussettaoui, Debora Piazza e Marco Romagnoli, l’elemento fondamentale per ricostruire la dinamica dello scontro tra i due è che Adriatici pedinò l’uomo per circa dieci minuti prima di ucciderlo. Questo, hanno dichiarato ai giornali, proverebbe che «sia stato Adriatici ad aver scientemente deciso di esporsi al rischio di una lite decidendo di pedinare un soggetto che lui stesso reputava pericoloso, e decidendo di osservarlo per oltre dieci minuti in ogni suo singolo spostamento. I video dimostrano come sia stato El Boussettaoui a difendersi legittimamente dal pericolo di una lesione alla propria incolumità colpendo a mani nude l’uomo che lo aveva pedinato e osservato e che gli aveva puntato contro un’arma da fuoco».

La tesi dei difensori dell’ex assessore, Colette Gazzaniga e Gabriele Piscitelli, è che Adriatici non avesse nessuna intenzione di uccidere El Boussettaoui. Lo dimostrerebbero le sue telefonate alle forze dell’ordine. Anche il gesto di mostrare la pistola sarebbe stato, secondo la versione della difesa, intenzionato ad avvertire il suo interlocutore di non avvicinarsi ulteriormente. Lo sparo sarebbe avvenuto insomma in seguito all’aggressione subita. È la tesi che sembra prediligere anche la Procura, almeno finora, contestando ad Adriatici il solo eccesso colposo di legittima difesa.

Riguardo al pedinamento, i difensori di Adriatici sostengono che il loro assistito stesse cercando soltanto di rispondere alle preoccupazioni dei gestori dei locali della zona che proprio quella sera, come già avvenuto in passato, gli avrebbero riferito atteggiamenti molesti tenuti da El Boussettaoui nei confronti di una donna.

Accertato che non esiste un video che abbia ripreso il momento dello sparo, sia la Procura sia gli avvocati delle parti contavano molto sulla perizia balistica del Ris, il reparto investigazioni scientifiche dei carabinieri. Nella relazione di 300 pagine viene indicata come «più probabile» l’ipotesi che Adriatici abbia sparato mentre stava cadendo, colpito da El Boussettaoui. Gli esperti balistici hanno ipotizzato una distanza tra 40 e 90 centimetri tra lo sparatore e la vittima.

I periti del Ris hanno anche accertato che l’arma di Adriatici, una Beretta modello 21H calibro 22 “corta”, era dotata di proiettili espansivi Winchester calibro 22 Long Rifle, comunemente chiamati proiettili dum dum. Sono proibiti per la difesa personale: nel 2008 una sentenza della Corte di Cassazione li equiparò a munizioni da guerra. Questi proiettili, a punta cava, si espandono provocando maggiori danni al momento dell’impatto con il bersaglio. Non succede sempre, perché dipende dal calibro e dalla velocità dello sparo. «Se la velocità è idonea», scrive la relazione, «le palle a punta cava subiscono una deformazione a fungo, che ne aumenta la sezione sino al diametro di otto millimetri. Il proiettile sparato da Adriatici, pur essendo del tipo espansivo non si espanse, probabilmente per la bassa velocità dello sparo».

Nell’incidente probatorio, un’udienza in cui, durante le indagini preliminari, si anticipa l’acquisizione di prove perché siano “cristallizzate” prima che per esempio un testimone si renda irreperibile o venga influenzato da fattori esterni, sono state ascoltate le testimonianze di tre persone. I primi due testimoni sono comparsi in aula il 10 ottobre. Uno di loro ha detto di aver visto Adriatici alzare il braccio e sparare mentre era a terra.

Un’altra testimone è stata sentita il 10 dicembre scorso. Ha detto che quella sera si trovava in piazza Meardi al bar Liguria quando vide arrivare El Boussettaoui: secondo lei non offese o minacciò i clienti, ma diede un calcio a una sedia nella direzione del cane di una ragazza. A quel punto, secondo la testimonianza, sarebbe uscito dal bar avvicinandosi ad Adriatici con cui iniziò una discussione. El Boussetteaoui avrebbe quindi colpito con un pugno l’assessore, che finì a terra sparando mentre si rialzava. La testimone ha anche detto che, dopo l’arrivo della polizia, Adriatici continuò a telefonare e a mandare messaggi mentre erano in corso gli accertamenti.

Dopo l’incidente probatorio i legali della famiglia di El Boussettaoui hanno detto che le testimonianze rendono «ancora meno convincente l’ipotesi di reato di eccesso colposo di legittima difesa».

Ciò che avvenne dopo lo sparo ha suscitato molte polemiche. Anche dopo l’arrivo dei carabinieri, con El Boussettaoui agonizzante a terra, Adriatici fu lasciato libero di girare per la scena del crimine parlando sia con i militari sia con i testimoni. L’assessore rimase sulla scena fino alle 23.10.

Un video pubblicato da Lapresse mostra Adriatici che si avvicina a un testimone che in quel momento sta parlando con un carabiniere e dice, inserendosi nella discussione: «Hai visto che ha fatto per darmi un calcio in testa? L’importante è quello, che hai visto che stava dandomi un calcio in testa».

 

Adriatici in quel momento aveva ancora in mano sia il telefonino sia la pistola utilizzata per colpire El Boussettaoui. Un altro video, secondo quanto riportato da Repubblica, mostra poi l’arrivo di un’auto del reparto scientifico: «I funzionari scendono dall’auto, uno saluta con il gomito Adriatici che sale a bordo sul sedile anteriore del passeggero. Poi l’auto va via, con lui e l’autista. La stessa auto, con lo stesso funzionario, ritorna pochi minuti dopo per i rilievi nella piazza». L’avvocato Romagnoli ha evidenziato come a «un soggetto indagato che ha appena sparato a una persona» sia stato consentito di girare sulla scena del crimine, e «di modificare potenzialmente elementi utili alla ricostruzione delle indagini: parla con i carabinieri come se nulla fosse successo, influenza palesemente il ricordo di un testimone».

L’autopsia sul corpo di El Boussettaoui si svolse meno di dodici ore dopo la sua morte. I legali che già seguivano l’uomo per i suoi problemi di droga non furono informati, nonostante la vittima fosse domiciliata presso il loro studio legale per diversi procedimenti. La procura si scusò dicendo che i carabinieri non sapevano che vi fossero parenti in Italia. Eppure il fratello e il padre, otto giorni prima, erano andati in caserma per chiedere aiuto dopo che El Boussettaoui era scappato dall’ospedale di Vercelli.

Nelle settimane successive emersero varie storie e particolari su Adriatici e sulla giunta comunale. Furono pubblicati gli screenshot di una chat risalente ai mesi precedenti in cui il sindaco e gli assessori parlavano della presenza in città di immigrati e scrivevano, per esempio: «Purtroppo, ormai non bastano più i nostri vigili! Ci vuole ben altro!», accompagnando le considerazioni con l’emoji di una bomba. Un assessore leghista scriveva: «Finché non si comincerà a sparare, sarà sempre peggio». Repubblica pubblicò anche la notizia dell’esistenza del video di un convegno elettorale della Lega a cui, nel 2020, aveva partecipato il procuratore aggiunto di Pavia Mario Venditti.

La sorella di Youns El Boussettaoui depone dei fiori nel luogo in cui è morto il fratello (Foto Ansa)

Il 21 luglio Massimo Adriatici venne messo agli arresti domiciliari, poi si autosospese e infine si dimise dalla carica di assessore. Il 20 ottobre la misura cautelare nei suoi confronti è terminata e ora ha ripreso pienamente a esercitare la sua professione di avvocato. Poche settimane fa ha rilasciato un’intervista alla trasmissione Zona Bianca in cui si è detto «fortemente dispiaciuto dall’epilogo che ha avuto la vicenda», aggiungendo però di avere «la consapevolezza di essersi difeso da un’aggressione subita in strada».

Alla domanda sul perché girasse armato Adriatici ha risposto che lo faceva per «necessità concrete legate al lavoro che ha prestato nella polizia di stato per 16 anni e poi per episodi che si sono verificati nell’esercizio delle funzioni di avvocato penalista». Adriatici ha poi detto che non conosceva El Boussettaoui e che non aveva mai avuto rapporti con lui, ma che sapeva «della sua situazione, della sua pericolosità a fronte di diversi video che i cittadini di Voghera mi hanno condiviso». L’ex assessore ha poi negato che quella sera stesse seguendo El Boussettaoui: «Assolutamente no», ha risposto, «facevo la mia passeggiata serale per problemi di digestione, l’ho incontrato  casualmente».

Adriatici ha concluso l’intervista dicendo: «Il dolore più grande è che sia morto un uomo, fa molto male essere chiamato assassino quando è chiaro dai video che ero stato aggredito». L’ex assessore ha detto anche che il primo pensiero quando si sveglia la mattina e l’ultimo quando va a dormire è sempre rivolto «a quel dannato 20 luglio».