Il più grande esperto di bollicine al mondo

Da vent'anni Gérard Liger-Belair studia le proprietà delle bevande spumanti e frizzanti, bevendo un sacco di champagne

(Michael Maasen/Unsplash)
(Michael Maasen/Unsplash)

Il fisico francese Gérard Liger-Belair nel 2001 scrisse una tesi di dottorato intitolata “Studi preliminari sui processi fisici alla base dei fenomeni di effervescenza riscontrati nei vini champagne”. Da allora, Liger-Belair non ha mai smesso di studiare gli champagne in tutti i loro aspetti chimico-fisici, scrivendo oltre cento ricerche sull’argomento e un libro di discreto successo intitolato Uncorked: The Science of Champagne, pubblicato nel 2013. Per usare le parole di un articolo di Knowable Magazine, Liger-Belair è insomma la persona che forse «sulle bollicine ne sa di più di chiunque altro al mondo».

«Quando ero un ragazzino rimanevo incantato a soffiare e a guardare le bolle di sapone» ha raccontato Liger-Belair a Knowable Magazine, e da allora il fascino per le bolle gli è rimasto e lo ha portato a specializzarsi in quel campo. Adesso è a capo di un’équipe dell’Università di Reims – città della regione dello Champagne, appunto – che si occupa nello specifico della fisica relativa ai vini spumanti e altre bevande frizzanti (come la birra).

Ma la competenza di Liger-Belair lo ha portato anche a esplorare campi assai lontani dai vini da tavola: tra le altre cose ha fatto ricerche sulle piccole bolle della schiuma del mare, individuando un legame tra queste e la formazione delle nuvole, e ha contribuito alla scoperta di bolle di azoto sulla superficie di uno dei satelliti di Saturno, Titano.

Più prosaicamente, la squadra guidata da Liger-Belair si interroga invece su tutta una serie di aspetti relativi al rapporto tra champagne e anidride carbonica: per esempio se il tipo di sughero del tappo influenzi in qualche modo la formazione delle bollicine, se queste abbiano un effetto sul sapore della bevanda, come si propagano gli aromi nell’aria e così via.

Nelle loro ricerche, hanno scoperto che con un tappo adeguato l’anidride carbonica all’interno di una bottiglia di champagne si può conservare almeno per settant’anni. Tra le altre cose sono arrivati a questa conclusione potendo esaminare alcune bottiglie di champagne vecchie di 170 anni, trovate nel 2010 in un relitto affondato nel mar Baltico. Il gruppo scoprì che il liquido non aveva praticamente più bollicine, e si era ridotta anche la quantità di alcol (probabilmente consumata da qualche reazione chimica successiva al naufragio). La concentrazione di metalli era invece alta, provenienti forse dai chiodi delle botti dove era invecchiato lo champagne o dai pesticidi usati sulle uve.

Una bottiglia di champagne Pol Roger del 1914, mostrata prima di essere battuta all’asta a Londra per 7.154 euro, nel 2014 (AP Photo/Kirsty Wigglesworth)

Un altro aspetto studiato da Liger-Belair e dai suoi colleghi è la quantità di bollicine che si forma nei bicchieri. È stato rilevato che se si versa lo champagne direttamente in un bicchiere flute tenuto verticalmente, si possono formare fino a un milione di bollicine. Viceversa, tenendo il bicchiere inclinato come si fa con la birra, se ne formano solo qualche decina di migliaia.

Secondo Liger-Belair, si può dissolvere una gran quantità di anidride carbonica se si versa lo champagne impropriamente, cosa che ne compromette poi la qualità. L’obiettivo di chi lo versa dovrebbe essere quello di far formare le bollicine senza che queste si disperdano, come accade quando la superficie interna del bicchiere è leggermente irregolare in alcuni punti (per questo motivo alcuni produttori di bicchieri praticano piccole incisioni sul vetro).

La scienza ha «implicazioni dirette su come servire e gustare al meglio lo champagne» dice Liger-Belair, e non è l’unico in ambito accademico a pensarla così. Per esempio Sigfredo Fuentes, ricercatore specializzato in agricoltura dell’Università di Melbourne, sta lavorando a un dispositivo elettronico dotato di un software in grado di rilevare il livello di alcol, anidride carbonica e altri gas presenti nell’aria sopra al bicchiere, misurare il volume e la durata della schiuma e persino versare lo champagne stesso in modo adeguato. Il dispositivo si adatta anche alla birra, con cui peraltro Fuentes sta facendo la gran parte dei test dato che è più economica.

Anche se i gusti variano, a molti interesserà probabilmente sapere quali preferenze ha sviluppato Liger-Belair in anni di studi ed esperimenti: predilige gli champagne invecchiati perché contengono meno anidride carbonica; dice poi che la bottiglia deve essere servita a una temperatura intorno ai 12 °C e versata con gentilezza, per evitare dispersioni di gas; infine, rispetto ai flute preferisce i calici a tulipano, utilizzati spesso anche per i vini bianchi fermi.

«Da quando sono diventato uno scienziato, un sacco di gente mi dice che mi sono ritrovato col miglior lavoro al mondo, dato che mi sono costruito una carriera intorno alle bolle e lavoro in un laboratorio pieno di champagne prestigiosi» dice Liger-Belair. «Tendo a essere d’accordo».

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