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  • Lunedì 20 dicembre 2021

Il caso di molestie che ha agitato la magistratura

Il CSM ha condannato il procuratore Giuseppe Creazzo a una pena irrisoria, ma probabilmente ha messo fine alle sue ambizioni

Toghe di magistrati appese in tribunale a Roma (Foto Ansa/Alessandro Bianchi)
Toghe di magistrati appese in tribunale a Roma (Foto Ansa/Alessandro Bianchi)

Una vicenda di molestie sessuali avvenuta nel 2015 ha agitato il mondo della magistratura italiana negli ultimi mesi, ed è arrivata a una prima conclusione nei giorni scorsi. Giuseppe Creazzo, procuratore di Firenze, magistrato con grandi ambizioni di carriera e candidato al posto di procuratore nazionale antimafia, è stato riconosciuto colpevole dal Consiglio Superiore della Magistratura di aver molestato in un ascensore Alessia Sinatra, pubblico ministero all’antimafia di Palermo.

Ma ad attirare attenzioni e commenti è stata soprattutto la sanzione disciplinare decisa dal CSM, che è l’organo di autogoverno della magistratura: Creazzo è stato condannato alla perdita di due mesi di anzianità di servizio, un provvedimento che avrà conseguenze irrisorie sul suo trattamento economico dopo la pensione. Ma il fatto che sia stato riconosciuto colpevole dal CSM, dicono gli osservatori, di fatto compromette la sua carriera che ora sembra difficile possa farlo approdare a incarichi in vista e di prestigio.

Sinatra aveva deciso all’epoca di non denunciare le molestie subite, ma la vicenda era emersa nel corso dell’indagine che la procura di Perugia ha condotto su Luca Palamara, il magistrato al centro di un grosso scandalo, radiato e rinviato a giudizio per corruzione. Sia Creazzo sia Sinatra facevano parte di Unità per la Costituzione (Unicost), la corrente della magistratura di cui Palamara era leader. Entrambi si rivolgevano a lui in chat private. Tra le migliaia di messaggi che la procura di Perugia trovò nel corso delle indagini sul telefono di Palamara, c’erano anche riferimenti a ciò che Sinatra aveva subito. I procuratori di Perugia trasmisero il contenuto dei messaggi alla Procura generale della Cassazione che rinviò Creazzo alla sezione disciplinare del CSM, assieme alla stessa Sinatra, sospettata di aver tentato di bloccare la carriera di Creazzo: per lei non è ancora stata decisa un’eventuale sanzione disciplinare.

La prima decisione della sezione disciplinare del CSM è arrivata sabato, e Creazzo è stato ritenuto colpevole delle molestie. «Con il suo comportamento ha leso la propria immagine e il prestigio dell’intera magistratura», ha sancito la sezione disciplinare. La sanzione comporta, in sostanza, che quando si tratterà di andare in pensione Creazzo ci andrà con due mesi di contributi in meno: il taglio di retribuzione sarà inferiore allo 0,4%. Essendo però lo stesso organo che l’ha condannato – il CSM – a decidere le nomine della magistratura, sembra difficile che in futuro possa ottenere qualcuno degli importanti incarichi a cui ambiva.

Le molestie, secondo il racconto di Sinatra, avvennero nel 2015 all’interno dell’ascensore di un albergo romano dove si stava svolgendo il congresso dell’Unicost. Creazzo tentò di baciare Sinatra, le toccò il seno e il sedere, lei lo respinse con durezza e appena le porte dell’ascensore si aprirono si allontanò in fretta. Decise però di non denunciare il fatto e confidò quanto accaduto solo a pochi amici, tra cui Palamara. Sinatra gli chiese però di non rivelare a nessuno ciò che gli aveva confidato.

Quattro anni dopo, nel 2019, cominciò l’iter che avrebbe portato alla nomina del nuovo procuratore di Roma, in sostituzione di Giuseppe Pignatone. Creazzo era uno dei candidati più accreditati e cercò l’appoggio della sua corrente e del suo leader. Fu a quel punto che Sinatra iniziò a mandare messaggi a Palamara in cui si riferiva a Creazzo con il termine «il porco», chiedendo aggiornamenti sulle sue quotazioni. Quando apprese che Unicost voleva appoggiare Creazzo, scrisse: «Sono inorridita. Sento cazzate su valori e principi fondanti ed elevatissimi. E su queste basi il gruppo per il quale io mi sono spesa stando nell’angolo, farà di tutto per mettere sulla poltrona di Roma un essere immondo e schifoso».

Giuseppe Creazzo (Ansa/Maurizio Degli Innocenti)

Creazzo alla fine non divenne procuratore a Roma: le varie correnti della magistratura si accordarono su Michele Prestipino. Nel 2019 iniziarono le indagini della procura di Perugia, competente per ciò che riguarda le ipotesi di reati che riguardano magistrati del distretto di Roma, su Luca Palamara. Il leader dell’Unicost, che fu anche presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati dal 2008 al 2012, fu sospettato di essere mediatore e regista nell’assegnazione di incarichi di rilievo all’interno della magistratura. Un ruolo che Palamara non ha mai negato ma che, ha sempre sostenuto, non costituiva alcun reato. La procura di Perugia ipotizzò invece reati per episodi di corruzione e, in particolare, corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio e corruzione in atti giudiziari. Nel luglio del 2021 Palamara è stato rinviato a giudizio. È anche stato radiato dalla magistratura.

È nel corso dell’inchiesta perugina che tutte le mail, le chat, i messaggi del telefono cellulare di Palamara furono intercettati, grazie a un software apposito. Tra migliaia di messaggi c’erano anche quelli scambiati da Palamara con Sinatra, accusata di aver tentato di convincerlo a non appoggiare Creazzo, e quelli invece dello stesso Creazzo che cercava appoggio per la sua carriera. I fascicoli con il contenuto dei messaggi furono inviati dalla procura di Perugia alla procura generale della Cassazione, che aprì un’indagine.

Quando la vicenda divenne pubblica e finì sui giornali, Sinatra spiegò in un’intervista al Giornale che aveva deciso di non denunciare Creazzo perché «aveva prevalso la scelta di non danneggiare l’istituzione cui appartengo e in cui credo». Parlando con il Riformista, Sinatra disse: «Ho sempre incoraggiato le vittime di questi reati a fare denuncia. Ho indicato loro gli strumenti per affrontare i processi. Rispettando comunque la volontà delle persone anche quando ritrattavano la testimonianza». E poi: «Dopo quello che è successo non riesco ad occuparmi più di vittime di reati sessuali. Non sono più andata ai convegni, nelle scuole».

Sentito dal procuratore generale, Creazzo negò con risolutezza che le molestie fossero mai avvenute. Sinatra raccontò invece la sua versione dei fatti. Giovanni Salvi, procuratore generale presso la Corte di Cassazione, decise di mandare entrambi a giudizio davanti al Consiglio Superiore della Magistratura: Creazzo per la presunta molestia e Sinatra per essersi rivolta a Palamara per impedire la nomina di Creazzo. Secondo il procuratore Salvi, Sinatra aveva fatto «un uso improprio di quei fatti al fine di ricercare una “privata giustizia”». «Valuterà la Sezione disciplinare» aveva scritto, «se ciò costituisca condotta scorretta e se, in tal caso, essa possa considerarsi giustificata dagli aspetti personali coinvolti». Sinatra potrebbe ricevere una sanzione più pesante di quella decisa per Creazzo.

Luca Palamara (Ansa/Cesare Abbate)

Quando apprese di essere stata mandata a giudizio davanti alla sezione disciplinare del CSM, Sinatra disse all’Ansa: «Avrei preferito non essere creduta piuttosto che si ipotizzasse, anche lontanamente, che possa avere utilizzato quell’episodio per alterare le istituzioni e ottenere una giustizia riparativa alla quale ho rinunciato in maniera sofferta. Il mio dolore non è quantificabile e non avrebbe trovato soddisfazione né nella sconfitta di chiunque né nella vittoria di altri».

Dopo aver appreso della sanzione ricevuta, i due mesi di anzianità tolti, Creazzo ha definito la sentenza «ingiusta perché sono innocente», e «conforme alla condanna mediatica che avevo già subito allo scoppiare della notizia». Ha annunciato il ricorso in Cassazione.

Mario Serio, difensore di Sinatra, ha detto: «Resta forte e grave l’impressione che la magistratura italiana ed il suo organo di governo debbano proseguire ancora a lungo nella strada dell’acquisizione di una maggior consapevolezza del valore della dignità della donna nell’ambiente di lavoro giudiziario e dell’adeguatezza della relativa tutela».