Perché si riparla di taglio delle tasse

Il governo e i partiti hanno trovato un accordo per ridurre l'IRPEF: i risparmi maggiori dovrebbero riguardare il ceto medio

Il ministro dell'Economia Daniele Franco (ANSA/ EPA/MASSIMO PERCOSSI)
Il ministro dell'Economia Daniele Franco (ANSA/ EPA/MASSIMO PERCOSSI)

La scorsa settimana il ministro dell’Economia Daniele Franco e i responsabili economici dei partiti della maggioranza di governo hanno raggiunto un accordo per modificare le aliquote dell’IRPEF, la principale imposta sul reddito personale. L’accordo prevede riduzioni alle aliquote per diverse fasce di reddito, con i risparmi maggiori che secondo le prime stime riguarderanno il ceto medio. La riforma verrà presentata come emendamento alla legge di bilancio, ancora in discussione al Senato, e prima di entrare in vigore dovrà essere approvata dal Parlamento.

L’accordo è stato raggiunto dopo un’analisi su come ripartire i fondi destinati a ridurre le imposte a lavoratori e aziende, che erano stati inclusi nel disegno di legge di bilancio del 2022. Alla fine si è deciso che degli 8 miliardi di euro previsti, 7 saranno destinati al taglio dell’IRPEF, acronimo che sta per Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche, che lo stato esige da chiunque percepisca un reddito, e 1 miliardo per il taglio dell’IRAP, l’Imposta Regionale sulle Attività Produttive.

L’IRPEF funziona in maniera progressiva, attraverso aliquote crescenti: chi ha un reddito maggiore paga di più, in proporzione, rispetto a chi ha un reddito inferiore. L’accordo raggiunto dal governo prevede un abbassamento delle tasse sul reddito attraverso una riduzione delle aliquote e una rimodulazione delle fasce di reddito che comprendono.

Attualmente le aliquote sono cinque, e si applicano tenendo conto del reddito lordo annuo, ovvero lo stipendio mensile lordo, al netto delle ritenute, moltiplicato per le mensilità percepite. Fino a 8.000 euro c’è la cosiddetta No Tax Area, quindi un lavoratore che guadagna meno di questa cifra non paga l’IRPEF.

Con un reddito lordo annuo fino a 15.000 euro al momento si paga invece il 23 per cento (ma solo per la parte eccedente gli 8.000), fino ai 28.000 euro si paga il 27 per cento (ma solo per la parte eccedente i 15.000), fino ai 55.000 euro si paga il 38 per cento (ma solo per la parte eccedente i 28.000), fino ai 75.000 euro si paga il 41 per cento (ma solo per la parte eccedente i 55.000), oltre i 75.000 euro si paga il 43 per cento (ma solo per la parte eccedente i 75.000).

La riforma prevede che la fascia di reddito fino a 15.000 euro resterà con un’aliquota al 23 per cento, mentre per la fascia di reddito da 15.000 a 28.000 euro scenderà dal 27 al 25 per cento. Verranno invece eliminate sia l’aliquota del 38 per cento che quella del 41 per cento, che saranno unificate in un’unica aliquota del 35 per cento per una nuova fascia di reddito che va da 28.000 a 50.000 euro annui. L’ultima fascia riguarderà tutti i redditi superiori ai 50.000 euro, e sarà del 43 per cento.

In base alle simulazioni effettuate in questi giorni dagli economisti, i risparmi maggiori derivanti da questa rimodulazione delle aliquote IRPEF riguarderanno soprattutto il ceto medio, ovvero la fascia che ha un reddito lordo annuo compreso tra i 28.000 e i 50.000 euro: secondo le stime si andrà da un risparmio di circa 320 euro all’anno per chi ha un reddito di 30.000 euro fino a un massimo di 920 euro per chi ha un reddito di 50.000 euro. Per le due fasce più basse i risparmi saranno minori: per chi ha un reddito di 20.000 euro si stima un risparmio di 100 euro.

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L’ipotesi di riforma è stata criticata in questi giorni sia dal segretario della CGIL Maurizio Landini che da Confindustria. Secondo Landini «non è fattibile un’operazione che tuteli i redditi alti mentre per quelli bassi, che non arrivano a fine mese, non ci sono risposte». In particolare «l’ipotesi di lavoro per cui fino a 15mila euro di reddito non ci sarebbero benefici fiscali è una cosa che non si giustifica», ha detto Landini.

Le critiche di Confindustria riguardano invece il taglio dell’IRAP, che secondo l’accordo raggiunto nella maggioranza verrà abolita per autonomi, imprese individuali e start up. L’IRAP, che esiste dal 1997 e il cui gettito è quasi del tutto ripartito tra le regioni, è da anni una delle imposte più criticate dalle aziende: è infatti un’imposta pagata dalle imprese, dalle società, dagli enti e dalle amministrazioni pubbliche non in proporzione all’utile di esercizio, ma alla produzione netta.

Secondo Confindustria, che ha chiesto di poter discutere della riforma a breve con i rappresentanti del governo, «la soluzione raggiunta non dà certezze che tali benefici potranno essere mantenuti nelle annualità future, non dà alcuna risposta a poveri e incapienti» e limita il taglio dell’IRAP alle persone fisiche senza migliorare la competitività delle imprese, e senza intervenire «in alcun modo a favore di giovani e donne che hanno più di altri pagato questa crisi».

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