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  • Giovedì 25 novembre 2021

A Napoli ci sono migliaia di altarini e murales dedicati a camorristi

Sono circa 15 mila secondo le stime della polizia: è in corso un censimento per dare il via alle rimozioni, ma è complicato

La rimozione del busto di Emanuele Sibillo
(Ansa/Ciro Fusco)
La rimozione del busto di Emanuele Sibillo (Ansa/Ciro Fusco)

Nelle strade di Napoli ci sono migliaia di luoghi dedicati a camorristi e rapinatori, boss e semplici soldati, cioè membri di basso grado dell’organizzazione criminale. Sono altarini, murales, fotografie, simboli realizzati in vari punti della città per commemorare i membri dei clan. Il numero è emerso da un’indagine condotta dalla polizia municipale di Napoli: «I primi risultati hanno lasciato attoniti anche noi», ha detto parlando con il quotidiano Il Mattino Agostino Acconio, responsabile dell’unità operativa antiabusivismo della polizia municipale di Napoli, «sono 15mila i luoghi individuati per ora nei quali sono esposti pubblicamente simboli, scritte o fotografie in memoria di un rappresentante di clan».

Il censimento comunque è ancora in corso, e quella di 15 mila altarini e murales è una stima preliminare. Quando sarà concluso, servirà alla polizia per avere un quadro completo e decidere eventuali interventi.

Il censimento degli altarini della camorra, concentrati soprattutto nel celebre quartiere Sanità, è stato deciso alcuni mesi fa. A gennaio, in occasione dell’apertura dell’anno giudiziario, il procuratore generale di Napoli Luigi Riello disse che i murales e gli altarini alla memoria di rapinatori e boss della camorra dovevano essere rimossi: «Sono una vergogna e la libertà di espressione non c’entra. Devono essere rimossi e lo stato deve impegnarsi per questo. È ora di mettere i valori al posto giusto. […] Con tutto il rispetto, chi ha perduto la vita commettendo reati non merita nessuna celebrazione».

Fu poi il prefetto Marco Valentini, sostituito a ottobre da Claudio Palomba, a lanciare la prima campagna per la rimozione di murales e altarini. Si iniziò da alcuni dei più celebri. A febbraio venne cancellato il murale dedicato a Luigi Caiafa, 17enne ucciso da un poliziotto durante una rapina nella notte del 4 ottobre 2020 in via Duomo, a Napoli. Caiafa e un suo complice, Ciro De Tomaso, tentarono di rapinare un gruppo di ragazzi a bordo di una Mercedes. Il complice di Caiafa aveva in mano una pistola poi rivelatasi giocattolo. Quando arrivò un’auto della polizia De Tomaso puntò la pistola contro i poliziotti: uno di loro sparò e un colpo raggiunse Caiafa al collo uccidendolo. L’indagine avviata dalla magistratura si è conclusa con una archiviazione.

Il murale dedicato a Luigi Caiafa (Ansa/Ciro Fusco)

Il murale dedicato a Caiafa venne realizzato in via Sedil Capuano, vicino a dove viveva la famiglia e dove, il 31 dicembre 2020, è stato ucciso in un agguato di camorra il padre di Luigi Caiafa, Ciro. La notte successiva alla cancellazione del murale da parte della polizia locale, sullo stesso muro apparve la scritta «Luigi Caiafa vive». Cancellata, tornò dopo alcuni giorni anche in molte altre strade del quartiere Forcella.

Uno dei problemi che affronta la polizia locale nel censimento e poi nella rimozione degli altarini e dei murales è proprio che, dopo l’intervento, spuntano spesso di nuovo, nello stesso luogo o altrove. Molti riferimenti o simboli dedicati alla camorra sono poi vicini o mescolati a statue o altarini dedicati a Padre Pio, a San Gennaro o alla Madonna.

«Il fatto che quei murales continuino ad apparire», dice Francesco Borrelli, consigliere regionale campano di Europa verde, «è un guanto di sfida. Non bisogna farsi prendere dalla stanchezza, bisogna continuare a denunciare e a chiedere la rimozione di quei simboli. La rimozione di scritte, murales ed altarini della criminalità è soltanto il primo passo verso l’estirpazione della cultura e della propaganda camorristica».

Tra i vari murales era diventato un vero luogo di culto, non legato ad altri simboli religiosi, quello dedicato a Emanuele Sibillo, giovanissimo capo camorrista ucciso il 2 luglio 2015. Sibilio era capo della cosiddetta “paranza dei bambini”, un clan di camorra costituito da ragazzi giovanissimi, molti anche minorenni, e legato all’alleanza camorrista di Secondigliano. La notte del 2 luglio 2015, lui e altri del suo gruppo entrarono sparando, a bordo di scooter, nel territorio dei Buonerba, meglio conosciuti come «i capelloni» e legati al clan Mazzarella. I Buonerba risposero al fuoco dai tetti delle case, Sibillo fu colpito alla schiena, morì poche ore dopo in ospedale: aveva vent’anni.

Da allora il suo volto con la lunga barba nera, e la sua sigla ES17 (le iniziali del suo nome e il numero della diciassettesima lettera dell’alfabeto, la S del clan Sibillo), sono apparsi ovunque soprattutto nel centro storico di Napoli.

I genitori di Sibillo fecero erigere un altarino nel vico Santi Filippo e Giacomo, nel palazzo chiamato della Buonanima. Lì erano conservate anche le ceneri del giovane camorrista. Il 28 aprile l’altarino è stato smantellato, il busto che raffigurava Sibillo sequestrato e 21 membri del clan arrestati. La Procura di Napoli aveva anche scoperto che commercianti vittime del racket venivano presi, portati davanti all’altarino e costretti a inginocchiarsi in segno di sottomissione. Davanti all’altarino venivano fatte le richieste di estorsione del clan.

L’altarino che conservava le ceneri di Emanuele Sibillo (Ansa/Ciro Fusco)

Nel quartiere Forcella c’è anche una squadra di calcio che ha preso il nome di FS, Famiglia Sibillo. Nessuno può indossare la maglia 17 che è appesa al muro del club. Tanti ragazzi del quartiere Forcella si sono fatti tatuare la sigla ES17 mostrandola con orgoglio sui social network. Tatuaggi e scritte in memoria dei boss non sono però caratteristica solo delle nuove generazioni della camorra. Molti appartenenti ai clan espongono sui social network il santino di Raffaele Cutolo, O’professore, storico capo della NCO, Nuova Camorra Organizzata, morto in carcere il 17 febbraio. Dietro al santino c’è il testo di una poesia scritta dallo stesso boss.

A maggio, nel rione Traiano, sono stati smantellati altri tre altarini dedicati a giovani camorristi. Tra questi c’era quello eretto per Fortunato Sorianello, assassinato nel febbraio 2014 mentre era seduto sulla poltrona di un barbiere. Davanti alla sua abitazione, nel 2017, la processione della Madonna dell’Arco si fermò per un “inchino” (la processione passa sotto la casa del boss che deve essere omaggiato) che suscitò molte polemiche.

Il censimento di tutti gli altarini e dei murales dedicati a esponenti della camorra sarà lungo. Poi il prefetto deciderà come intervenire con un piano che presumibilmente inizierà dai luoghi considerati più importanti a livello simbolico. Saranno segnalate anche le tante cappelle votive fatte costruire come ex voto da camorristi scampati ad agguati. La pistola del nemico che si è inceppata, la mira sbagliata, il colpo non mortale meritano, nella tradizione dei clan, un omaggio che deve essere ben visibile da tutti.

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