• Mondo
  • Giovedì 21 ottobre 2021

La complicata e confusa storia dell’uccisione di una pallavolista da parte dei talebani

È stata ripresa da giornali e politici italiani, ma nelle ultime ore sono emersi diversi dubbi sulla versione dei fatti più diffusa

Giovedì diversi giornali, siti di news, politici e commentatori italiani hanno raccontato e condiviso una notizia proveniente dall’Afghanistan: quella della morte di una giocatrice della nazionale giovanile di pallavolo afghana, Mahjubin Hakimi, decapitata dai talebani a Kabul a inizio ottobre. La notizia era iniziata a circolare un paio di giorni fa, raccontata inizialmente da alcuni giornali indiani (molti dei quali non particolarmente affidabili) e dalla versione in lingua farsi del quotidiano britannico Independent.

Giovedì, però, alcuni giornalisti afghani hanno messo in dubbio la ricostruzione iniziale dei fatti – come detto molto circolata anche in Italia – soprattutto riguardo alla data e alle circostanze della morte di Hakimi.

Dalle ricostruzioni disponibili finora, la storia sembra essere ancora piuttosto confusa, anche a causa della situazione attuale dell’Afghanistan. Dal 15 agosto, infatti, il paese è governato dai talebani, che hanno imposto un regime estremamente rigido e repressivo e che hanno limitato massicciamente la libertà di stampa e di espressione: è quindi complicato ottenere informazioni indipendenti, e le stesse persone coinvolte nella vicenda potrebbero non voler raccontare tutti i fatti per timore di eventuali ritorsioni.

– Leggi anche: Come vanno le cose con l’istruzione femminile in Afghanistan

La notizia dell’uccisione di Mahjubin Hakimi sembrava avere trovato iniziale conferma proprio nell’articolo dell’Independent, che citando una fonte informata dei fatti sosteneva che la pallavolista fosse stata decapitata dai talebani probabilmente a inizio ottobre a Kabul. La morte, aggiungeva l’Independent, era stata confermata anche da una delle allenatrici di Hakimi, citata nell’articolo con lo pseudonimo Suraya Afzali. L’allenatrice diceva che nessuno, a parte la famiglia di Hakimi, conosceva il modo in cui fosse stata uccisa la ragazza e aggiungeva che la famiglia stessa non aveva diffuso la notizia a causa delle minacce ricevute dai talebani.

L’allenatrice diceva poi che dallo scorso 15 agosto i talebani avevano cercato di identificare le atlete e perquisito le loro case, e che solo «due componenti della squadra erano riuscite a fuggire».

Non è stata diffusa l’identità né dell’allenatrice della squadra né delle due atlete fuggite, per ragioni di sicurezza. Una delle ipotesi che si possono fare a partire dalle informazioni disponibili – e che comunque rimane un’ipotesi, e va presa con estrema cautela – è che le due atlete fuggite potrebbero essere le stesse citate in un articolo di BBC dello scorso 23 settembre: anche in quell’articolo si parlava di una pallavolista uccisa, ma non si specificava la sua identità.

BBC aveva riportato la testimonianza di due pallavoliste afghane che erano scappate dal loro paese e che erano rimaste in contatto con le loro ex compagne di squadra: entrambe, parlando della paura e dei rischi che correvano le donne e le atlete in tutto l’Afghanistan dopo il ritorno dei talebani, riportavano brevemente la notizia dell’uccisione di una ex compagna, avvenuta un mese prima, a metà agosto: quindi due mesi prima rispetto alla data della morte di Mahjubin Hakimi indicata dall’Independent.

Una delle due intervistate, Zahra Fayazi, da poco arrivata nel Regno Unito dopo la conquista di Kabul da parte dei talebani, parlava di una giocatrice uccisa dicendo che i dettagli della sua morte non erano chiari. L’altra giocatrice rifugiata diceva di essere «sicura» che fossero stati i talebani. Entrambe non avevano fatto nomi. Non si sa se quella giocatrice fosse proprio Mahjubin Hakimi, ma non si può escludere.

– Leggi anche: Come vanno le cose con l’istruzione femminile in Afghanistan

Un’altra ricostruzione che sembra suggerire che Mahjubin Hakimi potrebbe essere morta in realtà ad agosto, e non a ottobre, è quella di Mauro Berruto, ex allenatore della nazionale di pallavolo italiana e oggi responsabile sport del PD, che dopo la presa di Kabul ha collaborato all’espatrio di diversi sportivi dall’Afghanistan.

Lo scorso 25 settembre Berruto aveva raccontato su Facebook la storia di una pallavolista afghana che era riuscita a scappare dal paese durante le operazioni di evacuazione. A un certo punto Berruto citava una compagna di squadra di questa ragazza che, secondo la sua ricostruzione, era stata uccisa perché giocava «a pallavolo senza hijab».

Dopo la diffusione della notizia della presunta decapitazione di Mahjubin Hakimi, Berruto ha raccontato al Corriere di avere sentito la stessa ragazza che era riuscita a fuggire da Kabul, la quale gli ha confermato che la pallavolista uccisa per giocare «a pallavolo senza hijab» era proprio Mahjubin Hakimi. Berruto ha aggiunto: «Probabilmente è stata uccisa nella prima metà di agosto, prima della presa di Kabul, ma la notizia è uscita solo ora perché la famiglia era stata minacciata di ritorsioni da parte dei talebani. Non è confermata la circostanza della decapitazione, ma questo cambia poco».

Tra mercoledì e giovedì sono emersi nuovi dettagli che sembrano confermare l’ipotesi che Mahjubin Hakimi fosse morta ad agosto, e non a ottobre, anche se c’è molta poca chiarezza sulle circostanze.

Uno dei giornalisti che hanno smentito la notizia data dall’Independent è stato Miraqa Popal, ex direttore della tv locale Tolo News (emittente che ha buona reputazione per la sua indipendenza) e che ora è rifugiato in Albania. Miraqa Popal ha ripreso la notizia dell’uccisione di Hakimi e ha scritto su Twitter che «non è vero» che la donna era stata uccisa a inizio ottobre dai talebani: Hakimi si sarebbe suicidata dieci giorni prima del ritorno dei talebani nel paese, quindi a inizio agosto.

Matiullah Shirzad, direttore della testata afghana Aamaj News, ha detto che Hakimi era morta in circostanze ancora poco chiare prima dell’ingresso dei talebani a Kabul, quindi prima del 15 agosto. Shirzad ha anche detto che la famiglia di Hakimi aveva confermato la notizia.

L’agenzia italiana Dire, che ha parlato con Matiullah Shirzad, cita un documento secondo cui la morte della donna sarebbe avvenuta il 22 del mese di Mordad dell’anno 1400 nel calendario persiano, equivalente al 13 agosto 2021 (è una notizia che va presa comunque con cautela, altre ricostruzioni parlano di qualche giorno prima). Shirzad ha definito «senza fondamento» la notizia che Hakimi fosse stata uccisa dai talebani.

Anche la giornalista Deepa Parent ha smentito, giudicandola «fuorviante», la notizia della morte per decapitazione da parte dei talebani di Hakimi, dicendo di aver parlato con la sua famiglia.

Alt News, un sito indiano che ha ricostruito le notizie sulle morte di Hakimi, ha scritto di aver rintracciato la pagina Facebook del fratello della ragazza dove compaiono diversi post di condoglianze per la morte della sorella, risalenti ai primi di agosto.

Alt News dice anche di aver contattato un altro membro della famiglia di Hakimi, il quale avrebbe spiegato che la donna sarebbe morta il 6 agosto e che il suo corpo sarebbe stato trovato nel bagno della casa del suo fidanzato a Kabul. Il familiare ha aggiunto che la donna sarebbe morta per soffocamento e che ci sarebbe il sospetto che nella sua morte possano avere avuto un ruolo i genitori del suo fidanzato.

In sintesi: è molto complicato ricostruire la notizia la notizia che Hakimi sia stata decapitata dai talebani. Si può dire con certezza che sia morta – notizia confermata anche dai familiari della ragazza – e sembra probabile che sia successo ad agosto e non a inizio ottobre, diversamente da quanto ricostruito dall’Independent. Non c’è invece chiarezza sulle circostanze della morte: mentre la compagna di squadra sentita da Berruto e l’allenatrice parlano di omicidio (ma non espressamente di decapitazione), alcuni giornalisti afghani hanno sostenuto si sia trattato di suicidio. Anche la famiglia non ha voluto diffondere notizie precise (forse per timore di una ritorsione): si è limitata a escludere la decapitazione, e poi ha chiesto che non se ne parli più.