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  • Giovedì 2 settembre 2021

In Afghanistan si combatte ancora

Nel Panjshir i miliziani ostili ai talebani continuano a resistere, mentre a Kabul si prepara il nuovo governo che dovrà da subito affrontare l'emergenza economica

Esercitazione di miliziani fedeli ad Ahmad Massoud nel Panjshir - 30 agosto 2021 (AP Photo/Jalaluddin Sekandar)
Esercitazione di miliziani fedeli ad Ahmad Massoud nel Panjshir - 30 agosto 2021 (AP Photo/Jalaluddin Sekandar)

Mentre quasi tutto l’Afghanistan è da metà agosto sotto il controllo dei talebani, che stanno tornando a governare il paese dopo la fine della presenza militare degli Stati Uniti e dei loro alleati, la provincia del Panjshir a nord di Kabul continua a essere contesa e area di guerra. Compresa in una lunga e stretta valle, la provincia è difesa da ex soldati e membri delle forze di sicurezza afgane, che negli ultimi mesi hanno trovato rifugio nella zona e si sono uniti agli abitanti che non accettano il regime talebano. Gli scontri sono proseguiti anche in questi giorni, mentre l’attenzione dei media era concentrata sulla situazione caotica all’aeroporto di Kabul con le operazioni di evacuazione di soldati e civili prima della partenza degli ultimi soldati occidentali.

Nelle ultime ore Muhammad Jalal, tra i principali rappresentanti dei talebani, ha scritto sui social network che i combattimenti nel Panjshir si sono intensificati tra mercoledì e giovedì, con progressi nella conquista di alcuni avamposti da parte talebana. Jalal ha sostenuto che i combattenti talebani abbiano conquistato almeno una decina di postazioni dei ribelli, ma al momento non è stato possibile verificare da altre fonti le sue dichiarazioni. I presunti progressi sono stati attribuiti da Jalal al «governo», come avvenuto nei giorni scorsi per altre attività condotte dai talebani a Kabul e in altre aree dell’Afghanistan.

La valle del Panjshir fu un punto centrale sia della resistenza afgana contro i sovietici, che occuparono l’Afghanistan negli anni Ottanta, sia contro il successivo governo dei talebani, che non riuscirono mai a conquistarla.

I primi agenti della CIA che entrarono in Afghanistan dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 a New York e Washington, in preparazione dell’invasione americana che iniziò poi a ottobre, andarono proprio nel Panjshir per assicurarsi l’appoggio della resistenza anti-talebana che allora si chiamava Alleanza del Nord.

La situazione odierna è però diversa rispetto a venti anni fa: il Panjshir è sostanzialmente isolato e non può più contare sui territori verso il confinante Tagikistan controllati un tempo. Le stesse forze militari sono poche e non molto attrezzate, stimate intorno alle 2.000-2.500 unità. I talebani hanno molti più combattenti, possono contare sui rinforzi da altre province e sulla disponibilità di un maggior numero di armi, come quelle statunitensi confiscate all’esercito afgano man mano che si dissolveva.

Ahmad Massoud, figlio di Ahmad Shah Massoud, capo militare che si oppose sia all’occupazione dei sovietici sia ai talebani, sta cercando di accreditarsi come leader del nuovo movimento di resistenza. Ha detto di volere seguire l’esempio del padre e difendere «l’ultimo bastione dell’Afghanistan libero».

Amir Khan Muttaqi, altro esponente dei talebani, ha detto che nei giorni scorsi erano stati avviati senza successo alcuni contatti per trattare una resa pacifica del Panjshir: «Ora che tutto l’Afghanistan è pacificato, e i mujāhidīn sono vittoriosi, perché il popolo del Panjshir deve ancora soffrire? Coloro che vogliono continuare a combattere dovrebbero sapere quando è il caso di fermarsi. Non si poteva fare nulla senza il sostegno della NATO e degli Stati Uniti in questi anni. Non dovrebbero continuare a combattere, dovrebbero unirsi all’Emirato Islamico».

Il Panjshir è la provincia in cui si combatte di più, ma non è l’unica in cui si sono verificati scontri. Negli ultimi giorni sono stati segnalati sporadici combattimenti nelle province afgane di Wardak e di Daikundi, dove vivono alcuni gruppi di hazara, minoranza sciita da tempo organizzata in milizie. Alcuni di questi gruppi si sono rifiutati di arrendersi e di riconoscere il nascente governo talebano.

Nelle prime ore di giovedì alcuni rappresentanti dei talebani hanno detto che le trattative per formare il nuovo governo sono pressoché terminate, e che l’elenco dei suoi membri potrebbe essere annunciato a breve. Non sono stati diffusi ulteriori dettagli, ma nelle scorse settimane i talebani avevano orientato la propaganda per mostrarsi più moderati rispetto al regime che aveva governato il paese tra il 1996 e l’inizio dell’occupazione straniera. Molti osservatori hanno espresso il loro scetticismo su questa presunta “svolta moderata”, anche in considerazione dei numerosi episodi di violenza e repressione segnalati negli ultimi giorni a Kabul e non solo.

L’attenzione sulla formazione del nuovo governo è soprattutto orientata agli aspetti economici. Dopo 20 anni di guerra e nonostante i miliardi spesi dagli Stati Uniti e dai loro alleati, l’Afghanistan è in una profonda crisi economica e ha bisogno di denaro per finanziarsi. I nuovi responsabili della banca centrale afgana, nominati dai talebani, hanno cercato di rassicurare le banche e gli investitori esteri, dicendo di voler ripristinare le risorse finanziarie del paese. Le promesse sono state definite vaghe e poco consistenti dagli analisti, che intanto hanno segnalato come la popolazione non riesca nemmeno a prelevare denaro in banca a causa della mancanza di liquidità.

La mancanza di contanti rende difficile l’acquisto dei beni essenziali, come cibo e farmaci. L’Organizzazione delle nazioni unite (ONU) ritiene che in Afghanistan potrebbe iniziare una crisi alimentare entro poche settimane, con un terzo della popolazione senza cibo. L’emergenza umanitaria potrebbe sommarsi agli altri problemi del paese, causando ulteriore instabilità.