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  • Giovedì 29 luglio 2021

Le molestie e le discriminazioni in Activision Blizzard

Una delle aziende di videogiochi più famose al mondo è indagata in California, e contestata con un grande sciopero dei dipendenti

(AP Photo/Jae C. Hong, File)
(AP Photo/Jae C. Hong, File)

Dopo un’indagine durata due anni, la settimana scorsa il Department of Fair Employment and Housing della California (DFEH, il dipartimento del governo locale che si occupa di discriminazioni, molestie e diritti sul luogo di lavoro) ha fatto causa all’azienda di videogiochi Activision Blizzard per il trattamento riservato alle dipendenti, sistematicamente molestate, discriminate o sottopagate. La società ha reagito smentendo e attaccando il dipartimento, ma mercoledì 28 luglio centinaia di lavoratori e lavoratrici hanno protestato fuori dalla sede di Activision a Irvine, in California: hanno scritto una lettera aperta alla dirigenza e hanno presentato quattro richieste specifiche aggiungendo che fino a quando non saranno soddisfatte non smetteranno di lottare.

Activision Blizzard è una delle società di videogiochi più grandi e di maggior successo al mondo, che produce tra gli altri Call of Duty, World of Warcraft e Overwatch.

La causa del DFEH contro la società è stata depositata il 20 luglio al tribunale di Los Angeles: il dipartimento parla di promozione di un ambiente maschilista e tossico che è stato definito, in modo specifico, come una cultura lavorativa da “frat boy”, simile cioè a quello delle confraternite universitarie. Da lì in poi molte dipendenti ed ex dipendenti hanno cominciato a condividere e a raccontare pubblicamente la loro storia.

Nei documenti del DFEH si descrive nel dettaglio l’ambiente di lavoro di Activision Blizzard. Si parla, ad esempio, di una pratica definita “cube crawl”: i dipendenti si ubriacavano durante l’orario di lavoro e andavano da un cubicolo all’altro dell’ufficio comportandosi in modo inappropriato nei confronti delle colleghe. Si parla inoltre di dipendenti che «orgogliosamente» arrivavano al lavoro con i postumi di una sbornia, che giocavano ai videogiochi per lunghi periodi di tempo durante il lavoro delegando le loro responsabilità alle dipendenti, che facevano commenti espliciti sui corpi femminili o che «scherzavano» sullo stupro.

Nei documenti dell’accusa si parla, ancora, di dipendenti di sesso femminile «soggette a continue molestie sessuali». Molestie che non avevano alcuna conseguenza: benché siano stati presentati diversi reclami formali, Activision non è riuscita ad adottare misure efficaci per risolvere il problema. Anzi, il dipartimento californiano riferisce che «come risultato di queste denunce, le lavoratrici sono state sottoposte a ritorsioni, tra cui – e non solo – l’essere private dell’incarico di alcuni progetti, l’essere trasferite in unità diverse contro la loro volontà, e l’essere licenziate».

Il DFEH cita anche il caso di una dipendente che si è suicidata: aveva una relazione sessuale con il suo supervisore ed era stata molestata da altri colleghi che avevano condiviso a una festa aziendale, e senza il suo consenso, alcune sue foto intime.

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Nei documenti dell’accusa si parla anche di disparità retributiva e nell’avanzamento di carriera. Si dice che la dirigenza è esclusivamente di sesso maschile e bianca, che solo il 20 per cento della forza lavoro è di sesso femminile e che le donne hanno tutte una paga inferiore a quella dei maschi, oltre che scarse opportunità di promozione: «Le dipendenti ricevono una retribuzione iniziale inferiore e guadagnano meno dei dipendenti per lavori sostanzialmente simili», si dice. E ancora: «Promuovono le donne con più lentezza e le licenziano con più più rapidità rispetto ai colleghi».

Si racconta poi di una dipendente a cui era stato affidato un ruolo manageriale con maggiori responsabilità: aveva chiesto un aumento dello stipendio e una promozione, e il suo capo le aveva risposto che non potevano rischiare di promuoverla perché «sarebbe potuta restare incinta». Il DFEH ha anche rilevato che «le donne di colore erano bersagli particolarmente vulnerabili» di questa serie di pratiche discriminatorie.

Activision Blizzard ha risposto alle accuse parlando di fatti distorti, di falsità e attaccando il Dipartimento: ha detto che il modo in cui viene dipinta la loro società non rispecchia la situazione attuale, che le procedure interne sono state modificate e che sono stati istituiti corsi obbligatori contro le molestie. L’azienda ha poi replicato in modo puntuale all’episodio della dipendente che si è suicidata: «Siamo disgustati dalla condotta riprovevole del DFEH di trascinare nella denuncia il tragico suicidio di una dipendente la cui scomparsa non ha alcuna pertinenza con questo caso e senza alcun riguardo per la sua famiglia in lutto. È questo tipo di comportamento irresponsabile da parte di burocrati statali irresponsabili che sta spingendo molte delle migliori aziende dello stato fuori dalla California».

Activision Blizzard ha infine criticato il dipartimento per essersi rivolto a un tribunale senza aver prima aperto un canale diretto con la società. Il DFEH ha a sua volta spiegato di aver tentato di risolvere le cose prima di avviare l’azione legale, ma che non è stato possibile arrivare a una differente risoluzione della controversia.

A causa della posizione ufficiale dell’azienda rispetto alle accuse, più di 2.600 dipendenti ed ex dipendenti hanno sottoscritto una lettera aperta in cui dicono che i loro valori non si riflettono nelle parole e nelle azioni della dirigenza: «Crediamo che queste dichiarazioni abbiano danneggiato la nostra continua ricerca di parità dentro e fuori la nostra industria. Classificare le affermazioni che sono state fatte come “distorte, e in molti casi false” crea un clima che porta a non credere alle vittime. Mette anche in dubbio la capacità delle nostre istituzioni di ritenere gli autori di abusi responsabili delle loro azioni e di promuovere un ambiente sicuro per le vittime che si faranno avanti in futuro».

Nella lettera definiscono come «inaccettabile» il fatto che la dirigenza ritenga che la causa sia senza fondamento proprio mentre ci sono così tante dipendenti ed ex dipendenti che «parlano delle loro esperienze di molestie e abusi»: «Chiediamo alla dirigenza una dichiarazione ufficiale, in cui venga riconosciuta la gravità di queste accuse, e che mostri compassione per le vittime di molestie e aggressioni». E infine: «Non verremo messi a tacere, non ci faremo da parte e non ci arrenderemo finché l’azienda che amiamo non diventerà un luogo di lavoro di cui possiamo sentirci orgogliosi di far parte. Noi saremo il cambiamento».

Dopodiché, i dipendenti e le dipendenti hanno indetto uno sciopero e mercoledì 28 luglio si sono radunate fuori da una delle sedi principali dell’azienda a Irvine, in California, ricevendo anche molto sostegno esterno.

I lavoratori e le lavoratrici in sciopero hanno anche avanzato quattro richieste specifiche per l’azienda: l’eliminazione da tutti i contratti delle clausole forzate di risoluzione delle controversie con la società tramite arbitrati privati (come ha fatto Google nel 2019) perché tali clausole proteggono chi abusa e limitano la possibilità di risposta delle vittime. In secondo luogo hanno chiesto nuove pratiche di assunzione e promozione perché quelle «attuali hanno portato le donne, in particolare le donne di colore e le donne transgender, le persone non binarie e di altri gruppi emarginati che sono vulnerabili alla discriminazione di genere, a non essere assunte in modo equo per nuovi ruoli rispetto agli uomini».

Hanno poi chiesto la pubblicazione dei dati sugli stipendi e sulle promozioni di tutti i dipendenti e infine il coinvolgimento di una società esterna per promuovere la diversità, l’equità e l’inclusione e per controllare il comportamento della dirigenza.

Nel frattempo, sui social e su alcuni giornali si è diffusa la richiesta di boicottare Activision Blizzard, di non condividere notizie che la riguardino ad eccezione di quelle che hanno a che fare con l’azione legale e le rivendicazioni dei lavoratori e delle lavoratrici, e di evitare recensioni o altri contenuti sui loro giochi.